SPECIALE NATALE: IL CAPODANNO di Aurora e Devon Scott

Presso i Romani i calendari più antichi mettevano il Capodanno al primo di marzo. Nel 191 a.C. il collegio dei pontefici ne fissò ufficialmente la nuova data al 1° gennaio.
All’avvento dell’Impero la tradizione era ormai consolidata. Ovidio nei Fasti si immagina che gli appaia il dio Giano, per spiegargli le usanze del primo giorno dell’anno. A Giano il sacerdote offriva farro mescolato a sale, ed anche una focaccia fatta con cacio grattugiato, farina, uovo ed olio, cotta al forno, per propiziarsi il dio ed ottenerne l’aiuto durante l’anno, in particolare nel momento del raccolto.

Il primo di gennaio i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi, il tutto accompagnato da ramoscelli d’alloro, detti “Strenne“, come augurio di fortuna e felicità. Quella delle strenne  era un’usanza che in origine risaliva al primo di marzo, quando davanti alle porte del Rex Sacrorum, delle Curie e del  tempio di Vesta si mettevano fasci di rami di alloro, in sostituzione di quelli ormai secchi messi l’anno precedente.

Il nome “strenna” derivava dal fatto che i rami venivano staccati da un boschetto della via sacra a una dea di origine sabina: Strenia, che aveva uno spazio verde a lei dedicato sul Monte Velia. La dea era apportatrice di fortuna e felicità; il termine latino strena, presagio fortunato, deriva probabilmente proprio dalla dea. La leggenda attribuisce la nascita di questa tradizione a Tazio, re dei Sabini, che per primo avrebbe avuto l’idea del dono. Ma non si faceva festa, contrariamente a quel che si potrebbe pensare; anzi, si consacrava il lavoro proprio il primo di gennaio, perché andasse bene tutto l’anno.

Ai nostri tempi, la giornata del Capodanno è dedicata al riposo, dopo le feste ed i divertimenti della notte di San Silvestro che, con la sua atmosfera orgiastica, ricorda i Saturnali romani.
A pranzo, se non lo abbiamo già fatto a mezzanotte, si devono mangiare le lenticchie, perché si dice che propizino la prosperità economica nell’anno nuovo. Anticamente gli Ebrei le mangiavano quando erano in lutto, in ricordo di Esaù, il personaggio della Bibbia che, per mangiarsi un piatto di questi legumi, aveva perso ciò che aveva di più prezioso: la primogenitura.

In ogni caso, è la mezzanotte il momento culminante: fuochi d’artificio, botti, tappi di bottiglie di spumante per salutare l’anno vecchio che muore e quello nuovo che nasce. I fuochi d’artificio, come la fiaccolata, si possono collegare al nuovo Sole, alla sua luce che illumina il nuovo anno; ma il baccano, i botti, le stoviglie vecchie lanciate dalla finestra sono un modo per allontanare dalla casa, per chi ci crede, gli spiriti maligni.
Allo scoccare della mezzanotte in molti paesi persone armate di fucili si dispongono in circolo e sparano tre volte in aria per allontanare la malasorte e le streghe, che fuggono spaventate.

E per finire, una filastrocca di buon augurio per il prossimo anno.

FILASTROCCA DI CAPODANNO
di Gianni Rodari

Filastrocca di capodanno:
fammi gli auguri per tutto l’anno:
voglio un gennaio col sole d’aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un giorno senza sera,
voglio un mare senza bufera;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore del pesco;
che siano amici il gatto e il cane,
che diano latte le fontane.
Se voglio troppo, non darmi niente,
dammi una faccia allegra solamente.

Autore: Aurora e Devon Scott
Messo on line in data: Dicembre 2004