GEOMETRIA OCCULTA: L’ASINO DI ALI’ di Gaetano Barbella

Nell’arco della storia dell’uomo le svolte radicali sono sempre coincise col profilarsi di uomini straordinari, dirò, per coerenza, “quasi uomini”. È una mia definizione peculiare per indicare una certa razza di esseri moltosoffusi di spiritualità, ma, anche, in qualche modo specifico, pregni di un’“impropria” umanità. È questa una mia certa intravisione, in relazione al presente tema su «L’asino di Alì», attraverso la superstizione popolare, “giocando”, tra l’altro, sul possibilismo letterale. Ma è un mio modo “lucido” che intende distanziarsi dalla pratica ermetica che si avvale del linguaggio, cosiddetto, «argotique» (2).

Non è quindi un linguaggio disposto per non essere capito prudentemente dagli estranei ad occulti intenti di ricerca spirituale interiore. Tuttavia è, comunque, un procedere, per certi versi, simile all’ermetismo che mira ad un sorpasso generativo. Perciò se i cosiddetti «Argonauti», una delle tante definizioni attribuite ai ricercatori in questione, si definivano «Figli» o «Bambini del sole», perché la loro arte era «l’arte della Luce e dello Spirito», col mio argomentato “sorpasso”, la stessa definizione, da stimarsi per questo filiale, è resa cosciente, per quanto sia “incertamente” concepibile sul piano della vita dei sensi esteriori.

Ho parlato di un “gioco” perché è particolarmente congeniale “all’infante” in ogni uomo, essendo peculiarmente refrattario alla visione dell’orrido ed osceno, al limite della morte stessa, grazie al suo candore nei casi in cui non è stata violata la sua innocenza. Si tratta di qualcosa di somigliante all’apocalittica «mente che abbia saggezza» (Ap 17, 9). Ma il tema che si dovrà sfiorare è il sacrificio personale per intenti superiori, perciò la dura prova da affrontare è la “morte” relativa ma senza dover impazzire o, comunque, soffrire tanto. Per “morte” non intendo assolutamente quella corporale, o, comunque, una impossibile privazione, ma una concezione che per necessità deve poter dar luogo ad una vitale inevitabile “mutazione” senza conseguenze letali. Tuttavia, per necessità transiterò per la strada “antica” della morte corporale. Si capirà che le argomentazioni a riguardo non debbono, minimamente, sfiorare la semplice e piccola coscienza dei “piccoli”, dei bambini, per i quali viene raccomandato di non “scandalizzarli”, perché sono loro gli artefici, alla fin fine, della serenità al cospetto della morte.

A ragione di ciò è comprensibile la cautela antica del parlare d’«Argot»:da qui, per l’argomentato “sorpasso”, per “addottorare” senza danni il «Bambino del sole», potendo e dovendo procedere alla luce del giorno, per una intravisibile ricercata “lucidità” mentale. Se questo è il futuro che si prospetta, si capirà in pieno che il “bambino” e il “somarello” corporeo, sono due facce della stessa medaglia. Riandando al passato di Gesù Cristo in Galilea, il «puledro», che aveva chiesto di cavalcare il Signore alla festa delle Palme a Gerusalemme, doveva essere eccezionale, per permettergli, poi, di salire sul Golgota per farsi crocifiggere. Era altissima la sofferenza cui andava incontro Gesù Cristo, ma poteva contare su un valido sostegno nella cavalcatura argomentata. Di questo ne era talmente conscio da riconoscere, però, qualcosa di superiore a lui, da venire nel futuro, in una situazione pari alla sua, se non di più. In Luca 23, 31 viene riportata questa frase del Cristo mentre era sul Golgota: «Se fanno questo al legno verde, che sarà dei quello secco?»

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Autore: Gaetano Barbella
Messo on line in data: Gennaio 2006