MAGIA DI ODINO di Giovanni Corbetta

Odino: una figura affascinante e moderna

Tutti noi, che viviamo in un’area contrassegnata dall’eredità greco-romana, abbiamo familiarità con antichi dei come Zeus, Hermes, Afrodite, Giove, Mercurio… ma ritengo che pochi conoscano le figure divine della tradizione nordica, tra le quali spicca Odino. Questa divinità, al centro del pantheon germanico-nordico, mi pare estremamente affascinante, per così dire “moderna”, per cui cercherò di descriverne alcuni aspetti fondamentali, dedicando al contempo queste righe al dio.


Occorre affermare subito che con Odino siamo in presenza di una figura multiforme ed estremamente complessa, sfuggente e ambigua. Per quanto mi riguarda, proprio questo suo carattere di polivalenza e inafferrabilità me lo rende particolarmente suggestivo e interessante, fino a porlo al centro di un mio ideale teatro interiore.
Odino è presente in tutte le saghe nordiche, nel ciclo dei Nibelunghi, da cui Wagner trasse ispirazione per il celebre ciclo drammaturgico dell’“Oro del Reno”, e soprattutto nei capolavori letterari della letteratura nordica Edda antica ed Edda di Snorri; presso tali fonti è chiamato con un’enorme varietà di appellativi in riferimento alla molteplicità di funzioni e aspetti che via via assume.

Nell’immagine a lato,
il dio Odino in trono con in mano la lancia Gungnir insieme ai lupi Geri e Freki e i corvi Huginn e Muninn. Illustrazione del libro Walhall di Felix e Therese Dahn, 1888, Salzwasser-Verlag GmbH

Odino e le sue caratteristiche

Odino è la divinità centrale tra gli dei del Nord, la più potente e terribile: signore della guerra e dei guerrieri, del vento e della tempesta, ispiratore dei poeti e inventore delle rune, maestro di saggezza e mago tra i maghi, colui che regna sui morti e guida la loro schiera di ombre, nonché mercante e protettore dei commerci e delle ricchezze.
È raffigurato munito della magica lancia Gungnir, in grado di tornare sempre nella mano di chi l’ha scagliata, cavalca lo stallone dalle otto zampe Sleipnir, che gli consente di volare nel Cosmo come il vento, ed è sempre accompagnato dai due corvi Huginn e Munninn, che gli riportano le notizie degli accadimenti dell’intero universo. Inoltre, l’anello d’oro Draupnir gli dona all’infinito delle sue copie identiche, fornendogli una fonte di ricchezza eterna.
A stretto contatto con Odino, le Valchirie sono incaricate di scegliere e accompagnare nel Walhalla, la dimora degli dei, i guerrieri morti valorosamente in battaglia.

Odino come sciamano

Ciascuna delle caratteristiche elencate meriterebbe un adeguato approfondimento, ma per la sede in cui propongo questo scritto, penso sia più interessante soffermarsi sulle particolarità sciamaniche di Odino, invece che fare riferimento ai suoi tratti di guerriero o di sovrano degli dei… Dalle saghe sappiamo che il dio è descritto con un solo occhio per aver sacrificato l’altro al gigante Mimir, il custode della fonte magica che scorre ai piedi dell’Albero del Mondo, come pegno per poter bere un sorso dell’idromele prodigioso che costituiva il liquido di tale sorgente. Ciò, oltre ad apparentare Odino ad altre divinità ed eroi illustri (Vulcano il dio zoppo, Muzio Scevola ecc.), ci suggerisce una serie di riflessioni in relazione al potere dello sguardo e allo “specifico” della diversità fisica quale condizione caratteristica degli sciamani.

L’occhio magico del dio

Dal momento che Odino, secondo gli antichi poemi, annichilisce con lo sguardo oltre che con le armi, risulta evidente come il dio concentri la sua forza nell’unico occhio, forza magica capace di “legare” e costringere ogni essere al suo potere.
E questo allude alla concentrazione di chi non usa la comune visione, banalmente descrittiva, ma trapassa il velo del profano per cogliere lo schema nascosto delle cose che si cela sotto la superficie. L’occhio unico di Odino è così sempre “a fuoco” su tutti i nove mondi del Cosmo, rimandando al vedere mistico, alla chiaroveggenza che, come tale, si differenzia dall’uso normale del senso della vista per fondarsi sull’intuizione, su una percezione sottile che oltrepassa la normale capacità senziente. Se, infatti, la percezione sensoriale soggiace alla varietà delle impressioni e si lascia fuorviare dall’apparente caos del mondo esterno, il vedere mistico rivolge il proprio sguardo in equilibrio tra l’interno del proprio essere e l’esterno, senza mai perdere il suo centro, di modo che tale sapere nasce proprio dal superamento della dispersione e della confusione. Inoltre, lo stato di “diverso” che comporta una menomazione è un dato importante nella condizione sciamanica, in quanto sottrae il soggetto al destino delle persone comuni, costringendolo all’approfondimento della propria natura interiore. Così la disabilità fisica diviene accesso per percorrere il sentiero del sacro, esaltando le qualità spirituali rispetto a quelle fisiche.


Nell’immagine sotto,
Odino in sella a Sleipnir. Illustrazione di Brynjúlfsson Ólafur dal manoscritto islandese del Sæmundar og Snorra Edda (XVIII secolo)

Il divino impiccato

Il sacrificio dell’occhio da parte di Odino trova collegamento in un’altra pratica sacrificale del dio, che si sottopone sempre per propria scelta all’impiccagione rituale e si trafigge con la sua stessa lancia. È evidente il nesso con le cerimonie sciamaniche di iniziazione tramite prove che contemplano la mutilazione (chi non ricorda i riti dei nativi americani nel film “Un uomo chiamato Cavallo”?). Lo scopo di queste pratiche consiste nel sollecitare l’anima a “uscire” dal corpo per viaggiare nei mondi sottili, e infatti Odino raggiunge proprio durante la sua impiccagione l’ispirazione necessaria per inventare le rune. Citiamo l’Edda antica in cui si dice:

Io so che dall’albero al vento
per ben nove notti pendei,
ferito di spada a Odino immolato, io stesso a me stesso;
quell’albero niuno conosce
da quale radici ei germogli.

Bevanda né cibo nessuno mi diede;
io giù mi chinai e le verghe raccolsi,
le presi gemendo e precipitai
e caddi giù a terra…

Allora sol crebbi e ben prosperai
e saggio divenni
e l’una parola condussemi l’altra
e d’opera in opera, a grand’opera giunsi

Havamal, 138-141

Esaminando il canto appare chiaro il senso iniziatico di tale prova, in cui il corpo viene totalmente sottomesso allo spirito, “svuotato”, e dunque irrompe l’intuizione estatica, che trova compimento nella formulazione delle rune. In riferimento a ciò, Odino è anche detto nelle saghe “signore degli impiccati”, e la forca viene disegnata come cavalcatura. Infatti, proprio liberando così il suo spirito, il dio può viaggiare liberamente tra tutti i nove mondi, tra cui il regno dei morti, condizione anche questa necessaria per il risveglio iniziatico.
Il nostro pensiero non può non andare a questo punto all’arcano dei tarocchi “L’impiccato”, e riflettere sulla relativa simbologia, dove si manifesta la tensione interiore tra il Cielo e la Terra – essere appesi –, lo strazio doloroso in cui la singola entità accoglie in sé l’infinito.

Odino, inoltre, riconosce la condizione della sofferenza come porta necessaria per attraversare i livelli del Cosmo e svuotare il proprio essere fino a renderlo recipiente per la totalità. Allora, nell’estasi – si pensi anche al digiuno – esplode come un lampo la conoscenza magica.
Occorre però evitare possibili fraintendimenti. Odino non cerca il dolore come punizione della carne (come i martiri e i santi), non ama il patire in quanto tale, ma sceglie di attraversare il dolore come pegno per la padronanza sull’intero arco della realtà, sia materiale sia spirituale. Nel dio non trova spazio una prospettiva ascetica, ma una visione magico-iniziatica, il cui culmine è costituito dal raggiungimento della conoscenza, non teorica ma operativa come chiariscono le rune, le chiavi divinatorie e interpretative dei nodi cruciali della vita.

Autore: Giovanni Corbetta
Messo on line in data: Marzo 2010