RACCONTO: DREAM CATCHER di Astfelia

La ragazza sta ferma nel buio appena rischiarato da un’insegna al neon. Guarda l’ingresso della piccola discoteca di periferia: una vera topaia.
Decide di entrare. E’ tutta vestita di nero: stivaletti dai tacchi altissimi, calze a rete, minigonna, giubbetto di pelle. Eccentrica. I capelli d’ebano sono raccolti in una treccia che le ricade lungo la spalla sinistra con una curva sinuosa. Al collo ha uno strano ornamento: un dream catcher indiano composto da una reticella chiusa in un disco rosso, perline, piume, e, in più, cinque piccoli pendagli cilindrici d’acciaio di varie lunghezze, che formano una piccola campana eolica tintinnante ad ogni movimento dell’esile corpo. E’ alta, magrissima, con due gambe lunghe e affusolate che la gonna corta lascia in gran parte scoperte. Il suo viso ha lineamenti delicati e una carnagione molto chiara; gli occhi nerissimi brillano fra le lunghe ciglia arcuate. Non è tipo da passare inosservato.
Al suo ingresso nella discoteca, diverse paia d’occhi maschili si appuntano su di lei. Procede sicura, con lo sguardo fisso davanti a sé, si ferma al bar e chiede da bere, ignorando i mormorii, i fischi d’ammirazione che l’accompagnano. Un uomo grasso dall’alito fetido d’alcol le si avvicina, le bisbiglia qualcosa di volgare, le offre una sigaretta. Lo ignora, si allontana incurante e raggiunge il centro della pista da ballo. Abbandonandosi all’onda vorticosa della musica, prende a danzare da sola, selvaggiamente. Più d’un paio di ragazzi tentano di ballare con lei, ma non riescono a sostenere il suo ritmo. In breve, crea un vuoto intorno a sé e getta indietro la testa con soddisfazione: la pista è tutta per lei.
Gioia effimera, fittizia.
“Devo farlo!”, grida dentro di sé la ragazza, sentendosi disperata. “Devo farlo presto!”
E lunghe lacrime sgorgano dai suoi occhi di tenebra, rigando le candide guance.
Diego se ne sta appoggiato al bancone del bar, sorseggiando il suo quarto drink. Si annoia, si sente di nuovo male, ma all’improvviso la ragazza in nero che balla da sola al centro della pista attrae la sua attenzione.
“E’ bella e strana”, pensa, e decide di andare a ballare.
La ragazza rallenta il ritmo della danza, incurva le belle labbra scarlatte in un lieve sorriso, le lacrime scompaiono dalle sue guance di latte. Permette al giovane di avvicinarsi, di ballare con lei.
Le piace: è così fragile e dolce con quei lisci capelli biondi che gli ricadono sulla fronte e quel suo sguardo azzurro e vuoto…
Alessandro, dall’altro capo del locale, osserva pensieroso il fratello gemello ballare con la ragazza in nero.
“Un’altra stranita”, pensa. “Non troverà mai una brava ragazza che lo aiuti a venirne fuori in posti come questo. Due anni di comunità non sono serviti a nulla, c’è dentro di nuovo, non lo dice, ma io lo so, non può fingere con me… Lei è carina però, magari una distrazione gli farà bene…”
Poco dopo vede Diego dirigersi verso l’uscita del locale con la ragazza, mano nella mano. Alessandro sospira: “Non posso stargli sempre appresso, sono stanco…”
Diego e la ragazza se ne stanno seduti su un muretto, poco lontano dalla discoteca, ma abbastanza per non esser raggiunti dalla luce bluastra dell’insegna al neon. Il buio della notte senza luna è un amico fidato per entrambi.
“Io mi chiamo Diego, e tu?”
Lei ride, la campanella eolica del dream catcher tintinna leggermente.
“Quale nome ti piacerebbe?”
“Non so… Anna?”
“Hai indovinato, bravo!”
“Ma dai, non è possibile! Non vuoi dirmi il tuo nome?”
“Te l’ho detto, Anna!”
Diego scuote la testa, con un vago sorriso: “Allora, se è vero, è un gran bel nome, il mio preferito…”, la guarda negli occhi. “E tu sei molto carina.”
“Anche tu”, sorride dolcemente lei. “Ma sei stanco e triste.”
“Stanco e triste, proprio così. Come lo sai?”
“Lo vedo da qui…”, gli sfiora con un dito il contorno dell’occhio sinistro. “Il tuo occhio del cuore mi dice che non sei felice.”
Lui le prende la mano, la stringe nella sua: “Che manina delicata e fresca, mia dolce streghetta!”
“Non ti piaceva che ti toccassi?”
“Sì, certo.”
“Allora perché hai fermato la mia mano? Vieni qui…”, lo attrae dolcemente contro di sé. “Riposati un po’ su di me…”
Gli fa appoggiare il capo sul suo grembo, prende ad accarezzargli la fronte, scostando delicatamente il ciuffo di capelli biondi.
“Ecco, così, chiudi gli occhi e rilassati. Non ti piace molto la vita, vero?”
Il ragazzo non le risponde. Ora non vuole più parlare, non vuole più pensare al suo maledetto bisogno d’una dose d’eroina. Vuole solo toccare il morbido corpo di quella strana ragazza di nome Anna, il suo nome femminile preferito, il nome della donna che amava e che l’ha lasciato, quando è precipitato nell’abisso della droga.
Diego respinge da sé i ricordi e muove una mano sotto il giubbetto di Anna, sotto la maglietta nera, cercando i suoi turgidi seni, ma lei gli ferma subito il braccio.
“No, no, ora devi solo chiudere gli occhi, rilassarti e non pensare… Guarda!”
Tiene il dream catcher sospeso sul volto di lui, scuotendolo leggermente e facendo tintinnare la campanella.
“Cos’è quest’affare?”, bisbiglia Diego, con scarso interesse.
“Un piccolo strumento magico: cattura tutti i brutti sogni, tutti i brutti pensieri e li porta lontano da te. Guarda fisso il centro della rete, ascolta col cuore il suono della campanella: non è dolce, non ti trascina via?”
Diego si sente debole, confuso, assonnato. Gli si presentano alla mente immagini e parole remote. Alle scuole medie aveva un’insegnante d’italiano tremenda che obbligava gli studenti a imparare a memoria un sacco di poesie. Ce n’era una strana del Pascoli, come diceva? Ne ricorda solo un frammento e lo ripete lentamente, con voce strascicata:
“… squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento…” , poi aggiunge: “Ma che diavolo erano i sistri? Ah sì, strumenti egizi per il culto dei morti…Chi se ne frega…”
“Zitto”, gli sussurra Anna, sfiorandogli la fronte con le piume del dream catcher. “Non parlare più, lasciati andare…”
E gli occhi di Diego si chiudono, il suo respiro diviene sempre più lento.
Anna lo scosta piano da sé, gli poggia delicatamente il capo sul muretto, si piega su di lui e lo bacia a lungo, inebriandosi del suo debole respiro…
Fugge via di corsa verso la vicina fermata della metropolitana, il tintinnio del dream catcher confuso col rumore dei tacchi alti sull’asfalto. All’ingresso della stazione c’è sempre un vecchio barbone accartocciato a terra, col suo povero cane decrepito. Non si muove quasi mai da lì, si finge cieco per chiedere l’elemosina, in realtà ci vede benissimo. Sta per mettersi a dormire sul suo cartone, sotto la logora coperta, quando la ragazza in nero gli passa accanto di corsa, col suo rumore sordo di tacchi alti e il tintinnio sinistro di strumenti di morte. Il vecchio guarda il suo sorriso scarlatto, vede le lacrime sulle sue guance di latte, sente l’eco dell’urlo d’infinito piacere e infinito dolore che le sfugge dal cuore. Il cane socchiude gli occhi, solleva leggermente la testa e drizza le orecchie, inquieto.
La ragazza scende le scale a precipizio, sparisce nell’oscurità infernale della stazione, chissà dove: è notte fonda e non ci sono più treni.
Il vecchio sospira e si mette a dormire insieme al suo cane.
Alessandro getta un’occhiata all’orologio: le due e un quarto, Diego non è tornato al locale, ormai è inutile aspettarlo. Sarà andato a divertirsi con quella ragazza, tanto meglio per lui. Decide di andarsene a casa, ha un gran sonno e domani deve lavorare. Fuori dalla discoteca, si avvia verso la sua moto parcheggiata lì vicino e, camminando a passo svelto, costeggia il muretto. Una figura totalmente immobile, accasciata sul muretto, attira la sua attenzione.
“Un altro ubriaco crollato qui”, pensa, ma quella sagoma d’uomo, nel buio, gli si rivela subito familiare. Si avvicina e guarda meglio: Diego!
Si lancia sul fratello, prende a scuoterlo, gridando il suo nome.
E’ ubriaco, si è fatto… No, è morto!
Alessandro passa lunghi giorni in una totale insensatezza. Metà della sua stessa vita se n’è andata insieme al suo fratello gemello. Non c’è nessun altro con lui a piangere la scomparsa di Diego: i suoi genitori sono morti in un incidente diversi anni fa, non ci sono altri parenti, non c’è una donna vicino a lui.
Alessandro se ne sta disteso sul letto senza mangiare, né dormire. Forse non riuscirà mai più a muoversi. Un solo pensiero gli riempie la mente: com’è morto Diego?
Roba tagliata male, overdose, ha pensato all’inizio. Ma poi c’è stata l’autopsia e la rivelazione che Diego non si era fatto di niente. Aveva bevuto parecchio, sì, ma non abbastanza da… E sul suo corpo non c’erano segni di aggressione, nemmeno la più piccola ferita, nulla di nulla.
Com’è morto Diego? La sua morte è avvolta nel mistero, ma quel mistero per Alessandro ha un volto: il volto diafano di una ragazza vestita di nero, l’ultima persona che ha visto con suo fratello, quella maledetta sera. Se solo riuscisse ad alzarsi dal letto per correre fuori a cercarla… Ma non sa nemmeno come si chiama…
“Anna… è davvero un bel nome, Anna, forse me lo terrò, visto che non ne ho un altro”, pensa la ragazza. “Diego… Andrò a trovarlo, certo, povero ragazzo, ma non ora, ora devo di nuovo… Se solo potessi non sentirmi così… Tornerò in quella discoteca.”
Nella discoteca c’è una creaturina che stona con l’ambiente: una bimba di circa sei anni, mezza addormentata su un divanetto. Sua madre è uscita, stasera, e l’ha affidata alla sorella maggiore. Ma Erika non ha voluto saperne di restare a casa a far da balia alla sorellina, rinunciando ad andare in discoteca, come aveva deciso. Così si è portata dietro la piccola, l’ha sistemata su quel divanetto, raccomandandole di non muoversi, e ora è in pista che sfoga, ballando, la sua prorompente energia adolescenziale. I vigilantes chiudono un occhio, bastano due moine di una bella ragazza e non vedono più niente.
Anna invece ha visto tutto. Si avvicina alla bambina, si siede accanto a lei.
“Ciao, che fai qui tutta sola?”
La bimba la guarda con gli occhioni azzurri pieni di sonno: “Mi ha portato mia sorella, ma io qui non ci voglio stare”, piagnucola.
“Perché? Non ti piace?”
“No, c’è tanto rumore e ho tanto sonno!”
Anna sorride e accarezza i riccioli biondi della bambina.
“Che bella che sei! Mi dici come ti chiami?”
“Cinzia”, mormora la piccola, imbronciata.
“E non me lo fai un sorriso, Cinzia? No, non me lo fai, sei tanto triste e non ti piace la vita, vero?”
La bimba non capisce e ripete: “Ho sonno, voglio andar via di qui!”
Anna sorride ancora e sfiora il dream catcher, facendo tintinnare l’acciaio.
“Guarda, ti piace?”
La bambina tenta di toccare le piume, ma la ragazza glielo impedisce dolcemente.
“Ora ti porto via di qui, va bene?”
“Ma mia sorella…”
Anna prende in braccio la bambina, la bacia sui capelli e le sussurra: “Non preoccuparti di tua sorella, lei non pensa a te. Su, andiamo, ti farò tante carezze, ti canterò una dolce ninna nanna e tu ti addormenterai…”
Erika guarda l’orologio e scopre che è tardissimo. Se sua madre non è già tornata a casa e non ha scoperto la sua fuga, è un miracolo. Deve far presto. Saluta in fretta gli amici, corre al divano, dove ha lasciato la sorellina, ma non la trova più. La cerca ovunque nel locale, chiede a tutti: nulla. Panico. Si precipita fuori, si guarda intorno nel buio, grida con voce incrinata: “Cinzia, Cinzia, dove sei? Rispondi!”
Nulla.
Erika corre, corre alla cieca nell’oscurità, col cuore in gola, continuando a chiamare invano la sorellina. Infine la vede adagiata sul muretto e si sente rinascere. La crede addormentata, le sembra un angelo. Si precipita ad abbracciarla. La stringe a lungo fra le braccia e passa del tempo prima che possa intuire la verità: sua sorella non sta dormendo, è morta.
Il vecchio barbone vede ancora la ragazza in nero scendere a precipizio le scale della stazione della metropolitana, col suo sorriso scarlatto sulle labbra e le lunghe lacrime sulle guance di latte.
Sente il rumore dei suoi tacchi alti misto al tintinnio metallico.
Sente l’urlo agghiacciante che le sfugge dal cuore.
Sospira e accarezza il suo cane inquieto, prima di rannicchiarsi sul cartone per dormire.
La notizia di un’altra morte misteriosa nei pressi della discoteca raggiunge anche Alessandro e lo scuote finalmente dal suo torpore. Deve alzarsi dal letto, deve uscire, deve cominciare a cercare. Non si sente di prendere la moto, raggiunge la discoteca in metropolitana e, all’uscita della stazione, al solito posto, trova Angelo, il vecchio barbone col suo amico a quattro zampe.
Lo conosce praticamente da sempre, non ha mai mancato di lasciargli qualche spicciolo, pur sapendo benissimo che non è cieco e che finge. Ha simpatia per il vecchio e per il suo fido compagno, un meticcio di taglia media tutto nero, ormai macilento, ma dagli occhi ancora vivaci e attenti. Black si alza sulle zampe magre e scodinzola, riconoscendo Alessandro. Il ragazzo gli accarezza la testa e si ferma a parlare col vecchio barbone.
“Hai saputo di mio fratello, vero Angelo?”
“Sì, mi è dispiaciuto molto…”, il vecchio non sa cos’altro dire.
“Non si era fatto, sai?”
Il vecchio annuisce, guardando per terra.
“Quella sera Diego era con una ragazza, una bruna vestita di nero, con una lunga treccia, alta, magra, carina. La sto cercando. Tu l’hai vista, per caso?”
“Sì, l’ho vista. Sia quella sera che dopo, quando è successo della bambina. Correva giù per le scale, dentro la stazione, anche se ormai non c’erano più treni…”
“Angelo, la devo trovare. Sono certo che c’entri qualcosa con la morte di mio fratello e con quella della bambina.”
Il vecchio si stringe nelle spalle, senza rispondere.
Poi, all’improvviso, mormora: “Lei uccide…”
Alessandro sussulta: “Cosa? Che ne sai?”
“Non so nulla, l’ho sentito. Anche Black l’ha sentito, quando ci è passata vicino.”
“Che dici? E non l’hai fermata, non…?”
“Come potevo fermarla? Sono un povero vecchio, come il mio cane, e forse lei non è nemmeno umana. Un demone, o forse un angelo o tutt’e due… Ci sono tante di quelle creature ibride fra cielo e terra… Ho sentito che soffriva molto, sai?”
Alessandro scuote la testa, deluso e spazientito: “Vaneggi, Angelo, come sempre.”
Allunga al vecchio un paio di monete: “Tieni, mangia qualcosa. Io vado.”
Il vecchio e il suo cane lo guardano fisso con i loro occhi profondi: “Stai attento.”
In discoteca la ragazza non c’è. Alessandro chiede a tutti nel locale, qualcuno si ricorda d’averla vista, ma non sa dirgli nulla di lei. Il giovane aspetta invano, torna la sera dopo e l’altra ancora, fa la spola fra la discoteca, il muretto, la stazione della metro. Gli sguardi del vecchio e del cane lo seguono sempre. E il vecchio non finge nemmeno più di essere cieco.
La ragazza si dirige decisa verso la stazione della metro per andare chissà dove. All’ingresso della stazione c’è solo il vecchio cane, il suo padrone non si vede. Black sonnecchia tranquillo sul cartone, ma le sue orecchie si drizzano, la coda prende ad agitarsi nervosamente, non appena sente avvicinarsi la ragazza. Lei si ferma, sorride all’animale, si china e tende la mano per accarezzargli la testa, incurante del suo ringhiare e digrignare i denti.
“Buono, buono, non c’è motivo d’aver paura. Sei così vecchio e stanco, povero Black… Guarda qui, ti piace il suono di questa campanella?”
Fa ondeggiare il dream catcher davanti al muso del cane e l’animale si placa, si accuccia, abbassa le orecchie, smette di ringhiare.
“Bravo, Black, bravo, così…”, sussurra la ragazza, accarezzandolo con dolcezza. “Tranquillo, così…”
Una voce imperiosa alle sue spalle la fa sussultare: “No, lui no!”
La ragazza scatta in piedi e vede Angelo a un passo da lei. Black salta su, abbaiando e ringhiando.
Un soffio denso e bianco come la nebbia esce dalle labbra scarlatte, mentre gli occhi si stringono in due nere fessure e sul volto diafano aleggia un sorriso simile a un ghigno, che svela una fila di denti madreperlacei. Il sorriso si allarga in una grottesca, immensa risata e la ragazza fugge via in un lampo col suo tintinnio metallico confuso nel fragore di tacchi alti.
Va a sbattere contro Alessandro che sta salendo le scale. Per un istante rimangono immobili a fissarsi. Poi lei riprende la sua corsa precipitosa, lui non fa in tempo a fermarla. Angelo e Black, in cima alle scale, osservano in silenzio la scena.
“E’ lei, Angelo!”, grida Alessandro, riprendendosi dalla sorpresa e lanciandosi all’inseguimento della ragazza già scomparsa nel buio delle gallerie.
Non riesce più a vederla, si scontra con la gente che sale e scende dai treni, corre a perdifiato lungo le gallerie, per tutta la stazione, rincorrendo quel tintinnio, quel fragore di tacchi alti che si fa sempre più lontano, irraggiungibile.
Sa di averla persa.
Esausto, si lascia cadere a terra, si prende la testa fra le mani e ricorda un verso d’una poesia che, alle scuole medie, studiava a memoria con Diego:
“… squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento…”
La ragazza si aggira fra le colonne, sotto i ponti, fra i palazzi d’aria. Nel mondo etereo, corpi più sottili dell’aria vagano senza meta con lei, senza accorgersi di lei. Solo Diego la vede e la chiama: “Anna!”
Lei si volta e sorride: “Diego! Ti cercavo.”
“Ti chiami ancora Anna?”
“Certo, mi hai dato tu questo nome. Mi piace.”
“Che fai qui?”
“Te l’ho detto, ti cercavo.”
Diego la fissa con un mesto sorriso.
“Per me hai fatto bene, sai? Ma per quella bambina no. L’ho vista: piangeva, voleva sua madre.”
Gli occhi neri di Anna si riempiono di lacrime: “Cinzia piangeva? No, povera piccola, non voglio che pianga! Dov’è?”
“Non so. Si aggirava spaurita qui, come me, come tutti… Perché l’hai fatto, Anna? Perché tu uccidi?”
Ora le lacrime scorrono copiose sulle guance di latte:
“Devo farlo, Diego, sono costretta. Non farmi domande, ti prego…”, fra le lacrime un debole sorriso.
“Ma tu… Ora stai bene, lo so, con questo nuovo corpo non hai più bisogno di nulla, di nessuna droga. Anche Cinzia starà bene lontano da quella sorella cattiva… Lontano… Veramente non vi ho portato lontano, no, siete sempre qui, nello stesso spazio, nello stesso tempo, solo in un’altra forma, più dolce, più morbida, che loro non possono vedere… Non è bello così?”
“Non lo so, questa è la morte… E tu cosa sei? Non l’ho ancora capito. Sei viva? Sei morta?”
“Non farmi domande, ti ho detto!”, grida Anna, turbata. Abbassa lo sguardo, sussurra pianissimo: “Io non lo so…”, e infine, decisa: “Devo andar via!”
“Aspetta! Dimmi di mio fratello: l’hai visto? Come sta?”
“Sì, l’ho visto e lo rivedrò ancora, molto presto. Devo andare ora.”
E, in un battito di ciglia, la ragazza si dilegua fra le infinite colonne d’aria…
Alessandro sa che l’incontrerà di nuovo, non deve far altro che aspettarla.
Lei: la puttana assassina.
Dopo un tempo che gli sembra eterno, la trova una sera in discoteca, la vede ballare da sola al centro della pista. Non le si avvicina, aspetta.
Anche lei lo vede e gli regala un fugace sorriso. Più tardi la segue fuori dalla discoteca, nel buio cieco della notte senza luna. La seguirà ovunque, anche all’inferno. Lei costeggia il muretto, si dirige rapida verso la fermata della metro. La stazione è ormai deserta, non ci sono più treni. Solo Angelo e Black, come sentinelle, al loro solito posto.
La ragazza scende le scale veloce. Alessandro, alle sue spalle, pensa: “Ora la prendo.”
Finita la breve scalinata, come una discesa agli inferi, le piomba addosso nel buio, all’imbocco della prima galleria.
Un urlo lungo, rauco, non umano, una forza insospettabile in una donna così esile.
Alessandro si ritrova con la schiena a terra. La ragazza è sopra di lui, gli comprime il torace con un ginocchio, nel buio i suoi occhi neri scintillano di sinistri bagliori, il tintinnio d’acciaio del dream catcher scandisce lentamente i secondi.
“Alessandro…”, sussurra la ragazza, avvicinando il viso a quello di lui e soffiandogli sulle labbra il suo alito bianco e denso. “Sei bello e dolce come tuo fratello…”
Lui cerca di divincolarsi, ma le piume del dream catcher gli sfiorano la fronte e le sue forze si affievoliscono, si dileguano, non riesce più nemmeno a gridare. Il sussurro lungo e lento della ragazza: “Sei stanco, riposa…”
Nel buio, accanto al corpo esanime, resta inginocchiata ansante di piacere e dolore, con le labbra scarlatte sorridenti, le guance di latte rigate di lacrime.
E’ stanca.
Un rumore di passi alle sue spalle, il fascio luminoso di una torcia elettrica su di lei. Si volta di scatto a guardare il barbone e il suo cane.
Il vecchio osserva il corpo senza vita di Alessandro e annuisce con aria soddisfatta: “Bene!”
“Quante volte ancora?”, gli chiede lei, ansiosa. “Quanto tempo ci vorrà prima che tu decida cosa devo essere? Demone, angelo o cosa? Sono stanca!”
“Deciderò quando avrò sentito prevalere in te il piacere o il dolore per la morte”, le risponde tranquillamente il vecchio. “Non fai che piangere e ridere ogni volta! Come faccio a capire, così?
La ragazza scuote il capo, smarrita: “Non so nulla di me e non so nulla nemmeno di te, so solo che devo ubbidirti. Non mi hai mai detto chi tu sia. Tutti i servi sanno chi è il loro padrone, ma io no, e non faccio che chiedermelo invano. Sei un dio? Un principe dei demoni? Chi?”
Il vecchio si stringe nelle spalle, lisciandosi la barba incolta, e mormora impercettibilmente: “Magari tutt’e due…”. Poi aggiunge a voce più alta: “Chi vuoi che io sia? Lo sai: un vecchio furbo che si finge cieco per racimolare qualche monetina…”
Accarezza il suo cane scodinzolante, sbadiglia e si volta per avviarsi verso le scale: “Ora me ne vado a dormire… A proposito, quando scendi di corsa le scale, a notte fonda, cerca di non far tanto rumore con quei tuoi tacchi e quel coso tintinnante. Io e Black abbiamo il sonno leggero, ci disturbi…”

 

Autore: Astfelia
Messo on line in data: Luglio 2006