DA CIRCE A MORGANA. SCRITTI DI MOMOLINA MARCONI di Anna De Nardis

Da Circe a Morgana. Scritti di Momolina Marconi a cura di ANNA DE NARDIS
Edizioni Venexia, Roma, 2009, 212 pagine, Euro 22,00
www.venexia.it

Non molti la conoscono, eppure Momolina Marconi, autrice dei testi di questo bel saggio edito da Venexia Editrice, è stata una delle più grandi studiose di miti, simbolismo e spiritualità delle culture prepatriarcali; quelle in cui la donna non era relegata ai margini della società ma giocava un ruolo di spicco all’interno del suo ambiente famigliare e culturale, immedesimandosi nella dea dai mille volti. Allieva di Pestalozza, la Marconi insegnava Storia delle Religioni presso l’Università di Milano e ha pubblicato diversi libri, tutti concernenti la religione mediterranea al femminile.
Anna De Nardis è la curatrice del libro, nonché voce che fa da collante e da guida agli articoli raccolti nel volume, mettendone in luce gli aspetti più brillanti della scrittura elegante e vivace, mai noiosa, che ha reso omaggio alle figure archetipiche della mitologia d’Asia e d’Europa con parole e uno stile che rievocano in molti tratti quelli delle fiabe per adulti.

Come filo d’arianna, lo studio della Marconi ha infatti fuso in un unico quadro d’insieme i colori, le storie, i simboli di culture diverse tra loro per tempo e per spazio, ma al cui nucleo pulsa lo stesso cuore, quello devoto a una divinità primeva che nulla aveva da invidiare ai molteplici dèi dell’Olimpo e che ha ispirato, nei secoli, la classificazione e diversificazione dei pantheon della storia greca, celtica, mediterranea. È la dea Elargitrice di vita e di fecondità, Madre dell’umanità e di tutti gli esseri viventi, sorgente di saggezza e conoscenza, la stessa a cui si rivolsero le ricerche di un’altra grande pioniera nel campo: Marija Gimbutas. Non si pensi, però, a una scrittura, quella della Marconi, votata a far emergere il femminile a discapito del maschile: nei suoi articoli i due universi si incrociano, si interscambiano e si nutrono a vicenda, a partire dalla matrice universale, fondando i miti e le loro radici. Ne risulta un riscatto della dea per lunghi secoli dimenticata o venerata in silenzio, come se la fede nella Grande Madre fosse un fiume sotterraneo che, alimentando i sogni e lo spirito di chi non ha dimenticato le proprie origini, viene recuperato e nuovamente vissuto alla luce del sole.

Leggiamo così l’interpretazione della Teogonia esiodea, in cui Gaia è protagonista di un tempo addirittura antecedente agli dèi, assieme a Caos; è da lei che nasceranno le divinità immortali, da questa presenza eurysternos (ovvero, “dal largo seno”) la cui fecondità non ha limite. Ed è in questa pienezza assoluta che, come spesso avviene nel mito archetipico, ella diventa madre e amante, genitrice e compagna, in un’evoluzione delle schiere celesti che darà il via alla storia sacra. Ogni singola parola chiave del mito viene analizzata dall’autrice, che ne svela perfino gli aspetti più nascosti e impliciti, come quando traccia la sottile linea di confine tra il concetto di androginia (integrazione perfetta dei due opposti e bastante a se stessa) e di autonomia generativa, confacente a Gaia, che permette la nascita senza “l’aiuto del tenero amore”. Seguendo il mito greco, si scivola di pagina in pagina nell’Assassinio di Uranos e nel lungo, ma travolgente capitolo sulle Spose di Zeus, fino a scorgere il collegamento che unisce la Colchide, l’area del Caucaso sul Mar Nero e le isole britanniche: maga, pothnya fyton (ovvero, signora delle erbe e del mondo vegetazionale), signora degli armenti e delle fanciulle prossime alle nozze, la dea si incarna in Circe, Medea, Morgana, esaltando attraverso il mito il suo duplice aspetto che contempla luce e ombra; questo le consente di seguire di giorno in giorno l’agire dell’umano e di fornirgli benessere e salute grazie alla sua profonda conoscenza degli elementi presenti in natura. Ecco cosa promette la lettura di questo saggio: un viaggio all’indietro nel tempo, a quei giorni in cui l’umano e il divino, immanente e mai trascendente, vivevano a stretto contatto attraverso una ritualistica volta ad alzare il velo che separa i due mondi e a permetterne l’incontro. In questo contesto vanno lette le forme cultuali preposte alla fertilità e alla trasumanazione dell’essere umano, come anche la ierogamia, così tipica di quell’area culturale che faceva della dea il suo fulcro e della terra l’humus di forze ed energie da invocare ed evocare “per il rinnovamento e la purificazione dell’intera comunità”. È quello che Pestalozza definiva “un ripetersi del gesto primordiale … e, dunque, un suo rinnovamento, un rigenerarsi della sua vita passata” (Recensione di Titti Fumagalli).

 

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