RENE GUENON – LE OPERE di Redazione

René Guénon – Le Opere

Due sono i concetti cardine del pensiero di uno dei più grandi pensatori del mondo occidentale, René Guénon: la tradizione e la crisi del mondo moderno. Entrambi vanno di pari passo e l’analisi dell’uno è inscindibile dall’analisi dell’altro.
Col termine tradizione René Guénon faceva riferimento ad una Conoscenza Suprema, scevra da qualsiasi vincolo dogmatico, che risale agli albori dei tempi e si riverbera nei simboli e nel Linguaggio Universale. Tradizione in accezione guenoniana significa quindi Conoscenza eterna, perenne, che non cambia e non muta né appartiene alla sfera umana. È raggiungibile attraverso la via dell’intuizione ed esprimibile attraverso la mente che diventa, così, strumento di accesso ad una sfera che sembra sfuggire ai sensi, ma il cui significato profondo risiede, in realtà, dentro ad ognuno di noi. Questo assunto portò il pensatore occidentale a credere fermamente, quindi, in una Tradizione unica ed unificante che si nasconderebbe dietro le quinte delle religioni “moderne” e continuerebbe a fluire, come fiume sotterraneo, sui fondali di tutte le dottrine dedicate al sacro, a prescindere dalle loro presunte somiglianze o differenze. 

Questa scintilla di Conoscenza Suprema sarebbe così instillata in ognuno di noi e presente nelle più disparate forme di culto della e/o anelito alla divinità: dalla religione cattolica, a quella induista, a quella sufica (da lui prediletta e scelta come via iniziatica) e così via. Si tratta di una unità metafisica (dal greco metà – oltre, dopo – e physis – natura) primordiale, precedente a tutte le differenziazioni frutto del lavorio umano ed accessibile al cuore dell’iniziato. Il mondo Occidentale ne avrebbe perduto l’essenza – o, meglio, dimenticata – poiché tristemente compromesso nella ricerca del piacere effimero ed immediato, tipico di una società frenetica e febbrilmente protesa verso la sfera del materiale.

È in questo mondo che si verificano la frammentarietà, la perdita di senso e la sensazione di smarrimento di un essere umano che sembra aver disimparato il linguaggio arcaico che ricongiunge l’anima al divino. Se il compito, o quantomeno il fine, di un’esistenza dovrebbe essere quello di cercare e poi riscoprire quel linguaggio, facendo riemergere la scintilla di Tradizione che attraverso di esso si possa esprimere, la crisi del mondo moderno esemplificata da Guénon risiede proprio nel tentare, invece, di dare un senso alla quotidianità stanca attraverso l’appagamento della sfera pragmatica, a discapito di quella spirituale che, pure, costituisce l’altra faccia della moneta. L’immanente ha preso il sopravvento sul Trascendente, ne ha sfumato il ricordo che l’anima umana porta con sé come traccia indelebile di un connubio antico ed ha finito con l’idolatrare valori e principi dubbi e facilmente estinguibili.

Speranza di Guénon, attraverso i suoi scritti, fu quindi quella di risvegliare le coscienze di coloro ai quali comincia a non bastare più l’esperienza cumulativa di una vita dedita al danaro, alla materia e alla coltivazione di sentimenti edonistici e al cui orizzonte si profila un desiderio, o dir si voglia bisogno, di varcare la soglia della dimensione dello spirito e di ricongiungersi alla Tradizione universale. Contrapponendosi alla filosofia moderna che tendeva a porre l’accento sull’individuo e sulle esperienze singole, Guénon diede vita ad una polarizzazione tra essere e divino, in cui il Divino è il nucleo, la fonte, l’elemento in posizione “zero”, che tutto raccoglie e che a tutto dà vita, e l’essere ne è la prima, ma incompleta e imperfetta manifestazione, rappresentata dal numero “uno”.

L’uomo Occidentale sembrava, agli occhi di Guénon, aver smarrito il senso della sua missione, a differenza dell’uomo Orientale che sentiva ancora forte il vincolo di appartenenza ad una cultura e ad un sapere metafisico di tipo tradizionale vicino quanto più possibile a quell’idea di Tradizione che Guénon aveva accarezzato per così tanta parte della sua vita.
Julius Evola ne ha tracciato con chiarezza i punti cardine:

 

… le civiltà tradizionali, hanno dei punti metafisici di riferimento. Sono caratterizzate dal riconoscimento di un ordine superiore a tutto ciò che è umano e temporale; dalla presenza e dall’autorità esercitata da élite che traggono da questo piano trascendente i principi e valori necessari per raggiungere un più alto sistema di conoscenza, come pure per far sorgere un’organizzazione sociale basata sul riconoscimento di principi gerarchici e per dare all’esistenza un significato veramente profondo. […] L’esatto opposto della civiltà tradizionale è la civilizzazione moderna, sia occidentale che orientale. Questa è caratterizzata dalla negazione sistematica di tutto ciò che è superiore all’uomo – sia esso considerato come individuo sia come comunità – e dall’organizzazione di forme insoddisfacenti di conoscenza, di azione, di vita, che non vedono niente al di là delle realtà temporali e contingenti, il che porta alla legge del numero e per necessità logica esse portano in sé sin dall’inizio i germi di quelle crisi e disordini dei quali il mondo offre ora tale lampante e diffusa evidenza”.

Della crisi del mondo moderno Guénon parlò a lungo nel suo saggio La crisi del mondo moderno. Il pensatore vi descrisse il mondo a lui contemporaneo come caotico e in preda a false illusioni; andando alla ricerca di una via d’uscita dal pragmatismo asfittico in cui versava, l’uomo moderno rischiava di cadere nelle false promesse di movimenti spirituali fantocci e di pseudo-religioni che avevano incominciato a brulicare in Europa proprio a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Guénon presagì che si era vicini alla fine del mondo, intesa però non nel senso stretto del termine, bensì come eclissi di un certo modo di intendere ed esperire l’esistenza, per far spazio all’alba di una nuova dimensione del vivere. Era, quella intuita da Guénon, il tramonto della civiltà Occidentale – intesa come civiltà dell’utilitarismo, della dissoluzione dei valori tradizionali e metafisici – in cui, coloro che avevano sguazzato in questa dimensione per lungo tempo e senza alcuno scrupolo, avrebbero avvertito, non senza qualche timore, l’imminente fine del “loro” mondo.
Lo spiegò benissimo Guénon nella prefazione al libro sopra citato:

Questa fine non è certo la “fine del mondo”, nel senso totale in cui molti vogliono intenderla, ma è almeno la fine di un mondo: e se quel che deve finire è la civiltà occidentale nella sua forma attuale, è comprensibile che coloro che si sono abituati a non veder più nulla fuor di essa, a considerarla come “la civiltà” per eccellenza, credano facilmente che tutto finirà con essa e che, se essa scomparirà, sarà veramente ‘la fine del mondo”.

Pur delineando questa fase come “età oscura” della storia, la posizione di Guénon fu comunque conciliante e sottese l’idea secondo cui, pur trattandosi di crisi, questa sarebbe stata comunque una fase necessaria, di transizione, che, nonostante fosse caratterizzata da squilibri e asimmetrie, rientrava nel quadro coerente di un equilibrio ultimo, in cui la Tradizione e l’ordine avrebbero fatto da padroni. La tensione tra le due forze opposte era destinata ad annullarsi in una reintegrazione dei valori originari.

Affinché l’uomo andasse incontro alla nuova era con animo pronto, Guénon auspicò un’iniziazione che venisse dal profondo dell’Io e, semmai, guidata da un Maestro il cui unico e vero compito avrebbe dovuto essere quello di guidare la scintilla dell’intuizione a riemergere e a riesumare, dalle viscere del Sé, il “vero Maestro” (quello Interiore).
Guénon mise in guardia dai falsi maestri, parola con cui tanta parte di  falsi istruttori spirituali si era riempita la bocca al fine di reclutare proseliti (si vedano le dissertazioni ad opera del filosofo contro i movimenti dello Spiritismo, della Società Teosofica ecc.). Il Maestro Interiore, se ben illuminato durante il suo “viaggio spirituale”, sa dove dirigersi e come tentare di raggiungere il traguardo, proprio perché è parte integrante, alle origini, dell’Unità divina.

Per agire secondo questa retta via, seppur irta di ostacoli, Guénon si auspicò un recupero delle dottrine tradizionali, presenti in ogni cultura e/o sistema di pensiero. Questo non voleva dire ricorrere ad un miscuglio amorfo ed insensato di frammenti di conoscenza derivanti dalle più disparate tradizioni, perché avrebbe avuto come unico effetto quello di perdersi nel marasma di elementi differenti che non trovano un filo conduttore ed ordinatore. Era questo l’atteggiamento tipico delle peudo-religioni tanto confutate da Guénon. Cosa ben diversa da quello che Guénon definiva “sincretismo” era la “sintesi”, ovvero l’elaborazione di principi interiori in un movimento che va dal nucleo verso la periferia e non resta, come avviene in un mero atto di “sincretismo”, in periferia, sulla superficie.

L’idea portante del discorso di Guénon, finalizzata a risvegliare la coscienza di un uomo assopito sul proprio ego e a promuovere un viaggio di tipo “iniziatico” che sollevasse il velo sul mondo dello Spirito fu, quindi, riecheggiata e ben esemplificata in un articolo comparso sulla rivista italiana Arthos nel 1973:

Le forme tradizionali possono esser paragonate a delle vie che conducono tutte allo stesso scopo, ma che, in quanto vie, non per questo cessano di esser ben distinte. E’ evidente che non se ne possono percorrere simultaneamente diverse, e che, una volta che ci si è impegnati in una di esse, è d’uopo seguirla sino in fondo senza scostarsene, poiché voler passare dall’una all’altra sarebbe il miglior modo per non andare avanti, se non anche per smarrirsi del tutto. Solo colui che è giunto al termine, per ciò stesso domina tutte le vie, in quanto non deve più seguirle. Se occorre, egli potrà praticare forme diverse, proprio perché le ha superate e perché per lui esse sono ormai unificate nel loro comune principio. D’altronde, in generale, costui continuerà a tenersi esteriormente fedele ad una data forma, se non altro a titolo di « esempio » per coloro che non sono pervenuti al suo stesso punto; ma, se delle circostanze speciali lo richiedessero, potrà egualmente bene far uso di altre forme, allo stesso modo che chi conosce varie lingue, pur facendo prevalentemente uso della sua propria, ha la facoltà, ove occorra per farsi intendere, esprimere gli stessi concetti nei termini di un altro linguaggio” (Articolo presente al link www.geocities.com).

 

Autore: Redazione
Messo on line in data: Luglio 2006