ALCHIMIA PRATICA di Ivan Buttignon

L’alchimia sembra essere un’antica pratica protoscientifica che combina elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, medicina, metallurgia, semiotica, misticismo e religione (1). La storia dell’alchimia nasce nel VII secolo dell’era cristiana con le invasioni arabe; questo popolo conquistò vastissimi territori e venne in contatto con le conoscenze chimiche dei popoli più diversi.
Fu così che l’antica kemeia greco–egiziana diventò al chimia, dove la parola “al” fu un apporto della lingua araba, corrispondente al nostro articolo determinativo (2).
Vi sono tre grandi obiettivi che si propongono gli alchimisti. Il più importante traguardo dell’alchimia è la trasmutazione dei metalli in oro e argento. Essi tentarono di creare la panacea universale, un rimedio che dovrebbe curare tutte le malattie e prolungare indefinitamente la vita. La Pietra Filosofale era la chiave per questi obiettivi. Questa mitica sostanza (che potrebbe essere una polvere, un liquido o una pietra) avrebbe avuto il potere di rendere possibili entrambe. Il terzo obiettivo consisteva nel creare la vita. L’alchimia può essere considerata come il precursore della chimica moderna prima della formulazione del metodo scientifico (3).

Il DELI sembra ratificare questa asserzione, definendo l’alchimia “scienza empirica che, specialmente in passato, tentò, tra l’altro, di trasformare i metalli meno pregiati in oro e di creare l’elisir di lunga vita mediante la pietra filosofale: da essa, per lenta evoluzione, è nata la chimica” (4).
In diversi e significativi casi, però, tale collegamento diacronico tra l’alchimia tradizionale e la chimica classica, è respinto. Scrive Vincenzo Nestler nella sua opera La telepatia:

Non è proprio necessario consultare le opere di Fulcanelli, Canceliet, ecc., e neanche le chiose alchemiche di Tron e Ricciarelli, per convincersi che la chimica non è che un sottoprodotto dell’alchimia; basta leggere, per esempio, la Storia della Chimica di Gino Testi, compianto Docente di Chimica all’Università di Roma” (5).

L’alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un’esperienza di crescita ed un processo di liberazione e di salvezza dell’artefice dell’esperimento. In quest’ottica la scienza alchemica veniva metafisicizzata e sacralizzata, assumendo connotati mistici ed esoterici, cosicché i processi e simboli alchemici posseggono sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale in connessione con quello prettamente materiale della trasformazione fisica.

Il termine alchimia, giunto dal basso latino (chimia),“scienza occulta che ricercava la pietra filosofale”) (6)deriva dall’arabo al-kimiya, che è probabilmente composto dall’articolo al e la parola greca chymeia, che significa “mescolanza di liquidi” (7) (da khumatos,”che è stato colato, un lingotto (8). Un’altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa “l’arte egizia”, dato che gli antichi Egizi chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa “succo per fare l’oro”.

 

Distillazione con un alambicco
Per poter capire gli alchimisti, bisogna considerare come la conversione di una sostanza in un’altra, che formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine del Neolitico, sarebbe dovuta sembrare magica in una cultura senza alcuna conoscenza formale di fisica e chimica. Per gli alchimisti non vi era ragione alcuna di separare la dimensione materiale da quella simbolica o filosofica. In quei tempi una fisica priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale ed incompleta al pari di una metafisica sprovvista di manifestazione fisica.
La trasmutazione dei metalli di base in oro simbolizza un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza. Gli alchimisti credevano che l’intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l’oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la più perfetta delle sostanze. Era anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell’immutabilità dell’oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l’intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell’alchimia medievale.

La scienza dell’alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come un’appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi, trasformandosi nel misticismo ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne.
Fino al XVIII secolo l’alchimia era considerata una scienza seria in Europa; per esempio, Isaac Newton impiegò molto più tempo allo studio dell’alchimia piuttosto che a quello dedicato all’ottica o alla fisica, per le quali è famoso. Tuttavia Newton mantenne sempre un notevole riserbo intorno ai suoi studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull’argomento. Fu l’economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici dei manoscritti newtoniani sull’alchimia, dei quali era entrato in possesso ad un’asta. Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, San Tommaso d’Aquino, Tycho Brahe, Thomas Browne ed il Parmigianino. Il declino dell’alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della chimica moderna, che fornì una più precisa e reale struttura per le trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo grande disegno dell’universo basato sul materialismo razionale (9)
Inoltre, gli alchimisti basavano la loro scienza su un principio centrale, detto Principio di Scambio Equivalente (10) per ottenere una sostanza di un determinato valore, bisognava sacrificare una medesima quantità di un’altra sostanza di medesimo valore. La Pietra Filosofale tanto agognata dagli alchimisti ha in questo senso grandissimo valore in quanto permette di disobbedire a questo principio fondamentale, senza avere conseguenze.

 

Le tre fasi dell’Opera
L’alchimia si definisce anche con il nome di Arte Regia o Arte Regale, e il lavoro dell’alchimista (il maestro alchemico) veniva detto Grande Opera o Magistero Alchemico e si articolava in tre fasi fondamentali (11).
L’Opera al Nero era la prima fase, durante la quale la pietra grezza (in simboli l’uomo materiale) deve essere distrutta: è necessaria una mortificazione totale della propria materialità completa, per poter costruire un uomo nuovo.
Seguiva l’Opera al Bianco, nel corso della quale l’alchimista doveva riuscire a prendere coscienza della propria anima; la materia che era stata distrutta nella prima fase veniva ricostruita, ma questa volta non più nera, ma bianca, purificata e luminosa.
Veniva da ultimo l’Opera al Rosso, la fase più difficile, che richiedeva al discepolo di raggiungere la consapevolezza sul piano dello spirito, cioè della propria parte di energia di natura divina, della quale non si è neppure consapevoli, tanto è grande il divario tra la sua purezza e la fisicità.
Il nome dato alle tre fasi dell’Opera è in relazione con il colore che assume la materia lavorata dall’alchimista nel suo alambicco (12) nella prima fase il liquido è nero, come la terra e la putrefazione, nella seconda la materia che si ricompone è bianca come la calce e nella terza fase il liquido che si forma è rosso come il sangue.

 

La conquista dell’immortalità
La tradizione accenna ad alchimisti che, raggiunta l’Opera al Rosso, grazie alla Pietra Filosofale avrebbero ottenuto l’elisir di lunga vita e conquistato l’immortalità (13). Ma non era quello della morte fisica il problema che assillava gli alchimisti, bensì quello della seconda morte: la morte dell’anima. Non dimentichiamo che secondo la tradizione esoterica l’anima è immortale per definizione, ma può, degenerando una vita dopo l’altra, ridursi a un barlume della sua originaria luminosità e perdere la coscienza di sé.

La conquista dell’immortalità si articola dunque su due livelli: il primo è quello di far raggiungere al proprio corpo fisico e ai corpi sottili una vibrazione sufficientemente spirituale (rapida) da non subire la tentazione della materia, correndo il rischio di disperdersi nel nulla; il secondo è quello di passare da una vita all’altra mantenendo intatta la memoria di tutte le vite precedenti. L’uomo che risultava da questa difficile alchimia era l’Uomo Celeste, pur sempre in carne e ossa, ma invece di essere nella condizione di avere un corpo materiale che condiziona la psiche e soffoca lo spirito era in primo luogo un essere spirituale, che attraverso la psiche domina la sua parte materiale.

 

Simboli alchemici
L’universo alchemico è pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la pietra filosofale. Così per esempio lo zolfo ed il mercurio acquisiscono nell’iconografia alchemica i tratti simbolici del Sole e della Luna, della luce e delle tenebre, del principio maschile e femminile, che si uniscono nella coniunctio oppositorum della Grande Opera (14).

 

Simboli astrologici
I simboli utilizzati hanno una corrispondenza univoca con quelli utilizzati nell’astrologia del tempo. Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base alla credenza che ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto.
Tradizionalmente, ognuno dei sette pianeti del sistema solare conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo. La lista del dominio dei pianeti sui metalli è la seguente (15).
– Il Sole governa l’Oro
– La Luna è connessa con l’Argento
– Mercurio col Mercurio
– Venere col Rame
– Marte col Ferro
– Giove con lo Stagno
– Saturno col Piombo.

 

Simboli animali
Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure animali e fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l’albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal Corvo, dal Cigno e dalla Fenice. Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio del “nulla si crea e nulla si distrugge”, tema centrale della speculazione alchimistica.
Inoltre, era sempre la fenice a deporre l’uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare. Anche il serpente Uroboro che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e del “tutto in uno”.

 

Varietà diatopiche dell’alchimia
L’alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile tracciare le loro mutue influenze e relazioni (16).
Si possono distinguere almeno due grandi canali, che sembrano essere in gran parte indipendenti, almeno nelle tappe più remote: l’alchimia orientale, attiva in Cina e nella zona della sua influenza culturale, e l’alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è slittato tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico e infine l’Europa. L’alchimia cinese fu strettamente connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema filosofico, connesso solo superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto una comune origine e fino a che punto si siano influenzate l’una con l’altra è tuttora oggetto di questione.

 

Alchimia e psicoanalisi
Il simbolismo alchemico è stato occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicanalisti, il primo dei quali, Carl Jung, ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed ha iniziato a mettere in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale. L’esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova nelle opere Psicologia e alchimia, Saggi sull’alchimia e Mysterium Coniunctionis. La tesi dello psicanalista svizzero consiste nell’identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell’immaginazione ed in particolare a quella onirica. Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l’opus alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell’io interiore. Mentre l’alchimia non sarebbe altro che la proiezione nel mondo materiale degli archetipi dell’inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l’itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell’io dai conflitti interiori (17).

 

Considerazioni finali: l’ermetismo in alchimia
In realtà, parlare di alchimia oggi suscita solitamente il riso perché l’alchimista viene considerato o una sorta di stravagante illuso, che tentava di arricchirsi trasformando con la magia il piombo in oro, oppure un chimico alle prime armi, capace più di far saltar per aria alambicchi che di reali scoperte.
Ma gli alchimisti non furono né l’una né l’altra cosa; sembrerebbe invece che essi furono gli adepti di una filosofia spirituale, devoti ad essa come a una religione. L’alchimia sembra essere stata prima di tutto una tecnica spirituale, tesa a migliorare profondamente l’uomo, insegnandogli a superare la schiavitù della materia e a riprendere coscienza della scintilla divina che si nasconde in ciascuno di noi (18).

 

I filosofi ermetici
Gli alchimisti definivano se stessi filosofi ermetici: ma che cosa significa l’aggettivo “ermetico”? L’aggettivo deriva dal dio greco Hermes, corrispondente al romano Mercurio, e il mercurio era proprio uno degli elementi fondamentali del lavoro dell’alchimista, dal momento che unisce in sé le caratteristiche del metallo e quelle dell’acqua, essendo liquido a temperatura ambiente. Inoltre i riferimenti originari dell’opera alchemica si collegano alla Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto: con questo nome era indicata la manifestazione greca del dio egizio Thoth, mitico inventore della scrittura, della magia della astronomia, della medicina e dell’alchimia.
La Tavola di Smeraldo sarebbe stata in origine una tavoletta di smeraldo che portava inciso l’insegnamento segreto di Ermete Trismegisto, rinvenuta nella sua tomba, tra le sue mani. Il testo è breve, sotto forma di formule; numerosi filosofi ed alchimisti lo riportarono nei loro libri, trasformandolo fino a noi. Di fatto, non conosciamo la sorte di questa tavoletta. Tra gli autori che citano la Tavola di Smeraldo figura anche il filosofo neoplatonico Apollonio di Tiana, del I secolo d.C., che ebbe fama di guaritore e di grande mago. Nella “tavola” si trova, tra l’altro, il famoso assioma “ciò che è in alto è come ciò che sta in basso” (19).
Oggi, tuttavia, la parola “ermetico” viene riferita soprattutto a qualcosa di chiuso in modo da non poter essere aperto, oppure di scritto in modo incomprensibile. Questo secondo significato è derivato dal fatto che gli alchimisti non intendevano, molto saggiamente, far conoscere a tutti i loro segreti. E da qui i cosiddetti simboli ermetici.

Ma poniamoci una domanda: perché gli alchimisti nascondevano con tanta cura le loro conoscenze? In primo luogo perché la profonda trasformazione spirituale che si operava in loro sembra conferisse anche poteri notevoli (capacità di guarire, telepatia) che sarebbero potuti risultare pericolosi nelle mani di chi non fosse degno. Ma c’era anche un’altra ragione, più prosaica e pratica: nel Medioevo, e fino al Settecento, nessuno si sognava di negare le meravigliose realizzazioni degli alchimisti, l’efficacia dei loro elisir e i prodigi scaturiti dai loro laboratori; ma poiché queste realizzazioni erano straordinarie e superavano di gran lunga le conoscenze della scienza contemporanea, non potevano avere altra spiegazione “logica” che una terribile connivenza con il demonio. Così gli alchimisti, e i presunti tali, finivano sul rogo.

 

L’androgino ermetico
L’alchimista parte dal presupposto che l’anima dell’uomo scese nella materia scegliendo un corpo fisico: ma in questo modo i corpi fisici sono o maschili o femminili. L’anima, però, essendo partecipe della perfezione divina, non può essere maschio o femmina, ma necessariamente maschio e femmina. Solo quando è accecato dal suo aspetto materiale, l’uomo può considerare i due sessi come due realtà diverse; viceversa il discepolo, che avverte dentro di sé le valenze dell’anima, non potrà che considerare i due sessi come parti di un’unica unità. E’ il simbolo del Tao che vede indissolubilmente uniti, seppur diversi, il principio maschile con quello femminile (20): lo Yang e lo Yin, ciascuno con le sue caratteristiche eppure indispensabili l’uno all’altro per costruire la perfezione (21). Tutte le connessioni tra il maschile e il femminile rimasero perciò patrimonio della conoscenza segreta, ivi comprese quelle pratiche che consentono di fondere e utilizzare i due tipi di energia per raggiungere livelli superiori di conoscenza esoterica più segreta.

L’alchimia, legata indissolubilmente al ricordo primordiale delle analogie simboliche, riaccoppia il maschile e il femminile nella figura dell’androgino ermetico, l’essere nel contempo femmina e maschio, che può essere riferito a due realtà. Da una parte l’alchimista per compiere il suo lavoro di restaurazione dell’originaria purezza doveva realizzare l’androgino dentro di sé, riunendo e riconciliando l’anima e il corpo, dall’altra due esseri predestinati, l’uno maschile e l’altro femminile, potevano ricostruire l’unità anche attraverso l’unione sessuale rituale e rifondere le due anime costituendo un’entità perfetta. Sono le nozze chimiche, che hanno lo stesso significato dell’unione tantrica.

 

Autore: Ivan Buttignon
Messo on line in data: Maggio 2008

 

Note

(1) L’utilizzo del condizionale, in questo caso, è d’obbligo, considerando le distinte definizioni attribuite al termine in esame.
(2)  www.racine.ra.it/curba/rivoluzioni/, consultato in data 14/08/2006.

(3) J.R. Price, Il manuale dell’alchimista, Macroedizioni, Firenze, 2002, pp. 27-29.

(4) M. Cortellazzo, P. Zolli, DELI, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna, 1999, p. 80.

(5) V. Nestler, La telepatia, Edizioni Mediterranee, Roma, 2004, p.100.

(6) Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, cit., p. 80.

(7) Ibidem, p. 80.

(8)  www.racine.ra.it/curba/, consultato in data 14/08/2006.

(9) J.R. Price, Il manuale dell’alchimista, cit., pp. 27-29.

(10) www.racine.ra.it/curba/rivoluzioni/, consultato in data 14/08/2006.

(11)  AA.VV., Il grande libro del mistero, cit., p. 228.

(12) Ibidem, p. 229.

(13) Ibidem, pp. 231-233.

(14) Tommaso d’Aquino, L’Alchimia ovvero Trattato della Pietra Filosofale, Newton & Compton Editori, Roma, 2006, pp. 93-95.

(15)  http://it.wikipedia.org/wiki/Alchimia, consultato in data 14/08/2006.

(16) Tommaso d’Aquino, L’Alchimia ovvero Trattato della Pietra Filosofale, cit., pp. 93-95.

(17) http://it.wikipedia.org/wiki/Alchimia, consultato in data 14/08/2006.

(18) AA.VV., Il grande libro del mistero, cit., p. 225.

(19) Ibidem, p. 226.

(20) Ibidem, p. 233.

(21) Ibidem, p. 234. L’intero l’universo, infatti, si basa su questa dualità: il campo magnetico ha un polo positivo e un polo negativo, così pure il campo elettrico, le forme energetiche, la Donna e l’Uomo.