IL DOLCE STIL NOVO di Gaetano Dini

Dante Alighieri e il suo tempo: il Dolce Stil Novo e i Fedeli d’Amore

I libri di letteratura italiana parlano del “Dolce Stil Novo” come di un movimento poetico sviluppatosi in Toscana e specialmente a Firenze negli ultimi decenni del ‘200. Questa corrente poetica segue le precedenti scuole letterarie e poetiche italiane, la Scuola Siciliana fiorita alla corte di Federico II di Svevia e la Scuola Toscana il cui maggior esponente è stato Guittone d’Arezzo.

Nell’immagine a lato,
Sei poeti di Giorgio Vasari (1511-1574), pittura a olio raffigurante Dante Alighieri con Guido Cavalcanti, Boccaccio, Petrarca, Cino da Pistoia e Guittone d’Arezzo. Minneapolis Institute of Art


Il Dolce Stil Novo è, come dice il termine, un nuovo e dolce stile di poetare, dove viene cantata la Donna, simbolo della vera Conoscenza.
I nomi che i vari poeti davano alla propria Donna (o Monna) erano nomi inventati e solo una critica ottusa ha cercato di fornire un volto storico a queste Donne che in realtà simboleggiavano solo la Conoscenza, la Sapienza assolute.
Inoltre gli Stilnovisti si nominavano e si scrivevano tra loro con nomi propri di Donne.

Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Durante (Dante) Alighieri, Cino da Pistoia, Gianni Alfani, Lapo Gianni, Francesco da Barberino, Cecco d’Ascoli: questi i nomi dei più importanti Stilnovisiti.
Nessun libro di letteratura italiana però dice che questi Stilnovisti appartenevano tutti a un ordine segreto iniziatico chiamato Fedeli d’Amore, vicino come istanze ai Cavalieri Templari e criticanti il decadimento spirituale e la corruzione materiale della Chiesa.
Questi “Fedeli” dovevano quindi parlare tra loro in gergo perché erano in sospetto di eresia da parte della Chiesa e allora c’era il rogo per gli eretici. Il gergo da loro usato, loro stessi lo avevano chiamato Dolce Stil Novo. Gli adepti si chiamavano tra loro Fedeli d’Amore in quanto erano tutti Fedeli, cioè devoti all’Amore che era un altro termine, un’altra immagine per simboleggiare da parte loro la Conoscenza sacra, la Sapienza divina.

 

L’Islam e l’Amor Cortese

L’Islam sapienziale, culturale, quello cui la maggioranza dei fedeli oggi non accede intellettualmente, può essere una religione affascinante, anche “romantica”, se vogliamo. Gli studiosi tutti concordano infatti che l’Amor Cortese medievale, quello dei Trovatori francesi alle corti medievali da cui derivò il Dolce Stil Novo in Italia, sia stato influenzato da un Islam culturale proveniente da ambienti dotti di Barcellona, città che era culturalmente a contatto con gli emirati arabi spagnoli e faceva politicamente parte dell’Europa carolingia come sua ultima città a Sud.
Era infatti il canto sulla donna, composto dai poeti musulmani persiani, che prevaleva nell’Islam del IX-X secolo e che influenzò gli ideali alla base dell’Amor Cortese.
I primi Trovatori erano poeti di corte che componevano poesie lirico/amorose in lingua occitana, la lingua d’oc. Gli argomenti di canto erano in chiave allegorica quelli sulla Cavalleria e sull’Amor Corteseche si basa questo sulla “Misura” che è il giusto rapporto tra passionalità amorosa e corteggiamento aristocratico/poetico. In seguito i Trovatori italiani scrissero in volgare.

Teniamo presente che nella Persia antica (l’Iran di adesso) verso il 1500 a.C. erano arrivati gli “Iraniani” il cui nome significa “Ariani”, i quali facevano etnicamente parte dei popoli indeuropei cui appartenevano gli Indi, i Greci, i Romani, i Germani, i Celti, gli Slavi, gli Hittiti, gli Armeni (il loro nome vuol dire Har Mann, cioè Uomini Nobili).
La radice indeuropea Ar significava infatti nobile, illustre, da cui il nostro termine “Ar”istocratico.
Quindi l’Islam persiano era elaborato da Indeuropei e non da Semiti, risultandone una religione più viva, pulsante, meno stereotipata e meno dogmatica rispetto all’Islam degli Arabi semiti.

 

Un sonetto di Dante

Come esempio prendiamo un sonetto di Dante nelle Rime, dedicato agli amici Guido Cavalcanti (fondatore dello Stilnovismo) e Lapo Gianni de’ Ricevuti, notaio e poeta stilnovista:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ‘l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
Con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuno di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

 

Interpretazione allegorica

Premetto che nel saggio di Luigi Valli Dante e i Fedeli d’Amore non ho trovato il commento al Sonetto. Peccato perché è un Sonetto importante.
Dante si rivolge a Guido Cavalcanti dicendo che vorrebbe che loro due con Lapo Gianni navigassero per mare nel vascello della Sapienza, della Conoscenza. E che nessun impedimento si frapponesse a questo. E vorrebbe che su questo vascello entrassero anche Monna Vanna e Monna Lagia. Vanna e Lagia erano i nomi con cui venivano indicati da Dante due poeti stilnovisti la cui identità era ben conosciuta da Dante, Guido e Lapo.

Dante vorrebbe che assieme a Monna Vanna e Lagia entrasse nel vascello anche un’altra Monna di cui non dice il nome, ma che è quel poeta entrato come trentesimo adepto nella loro confraternita di Stinovisti (o Fedeli d’Amore). Poeta di cui Dante, Guido e Lapo, senza nominarlo, conoscono bene le generalità.
Monna Vanna, Lagia e la Monna contrassegnata dal numero trenta dovrebbero essere messe nel vascello assieme a loro (cioè Dante vorrebbe che condividessero le loro stesse esperienze mistico/intellettuali) dal Buon Incantatore (si pensi che il Pazzaglia nella sua antologia a uso delle scuole superiori interpreta  il Buon Incantatore lo interpreta come il Mago Merlino!)
Il Buon Incantatore va interpretato invece come la corretta Conoscenza, la corretta Sapienza: comune a tutti i sei poeti stilnovisti è l’alto livello esoterico conquistato e posseduto da tutti i sei poeti.

Il fatto che Dante voglia mettere nel loro stesso vascello Monna Vanna, Lagia e la Monna contrassegnata dal numero trenta, significa senza ombra di dubbio che queste tre Monne (o poeti) erano le più dotate, le più qualificate nella confraternita dei Fedeli d’Amore cui appartenevano Dante, Guido e Lapo.
E in questo vascello i sei poeti avrebbero “ragionato sempre d’amore”, cioè avrebbero dialogato tra loro ai più alti livelli esoterici, con massima realizzazione e gratificazione reciproca.

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Maggio 2021