POESIE DALLE TENEBRE di Giovanni Corbetta

 

L’ALBERO FERITO – TENEBRE 1

L’albero del dolore
dal tronco deturpato
a fatica si fa’ largo
tra le rocce della storia,
tra i suoi rami
soffia il vento
dei gemiti dei vinti,
le radici che si immergono
nel sangue d’ogni guerra.

I corvi che svolazzano
attorno alle sue fronde
si nutrono di spoglie
che affiorano dal fango,
un sepolcro il mondo intero
dove è vano ricordare,
Odino l’onnisciente
si è da sempre arreso al fato.

Cosa sono bene o male,
l’illusione o la certezza?
i confini si corrodono
nella melma dell’eterno,
l’ambiguità è la linfa
dell’albero del cosmo
le cui foglie grondano
la rugiada delle lacrime.

Ogni creatura è un urlo
congelato in ossa e carne
e la fonte della vita
senza voce e prosciugata,
ma entro la caverna
della vanità dei secoli
come diamante brilla
una stella solitaria,

la stella dell’amore
di vento ghiaccio e fuoco
e forse tutto il senso
nel seme di un abbraccio.

SOLO IL DIAVOLO CI ASCOLTA – TENEBRE 2

Nel regno della morte,
nell’eclissi dell’onore,
languente l’amicizia
nell’incalzante cupidigia,
liceità d’uccidere,
strappare corpo e anima,
nessun dio ci ostacola
in un mondo devastato,

e sul ciglio del tramonto
nella terra senza nome
ho conversato a lungo
con l’angelo caduto,
le parole si rincorsero
in una falsa ebbrezza,
niente cura per il mondo
nelle pieghe della logica,

e il gorgo dei ricordi
ci annega nel passato,
la nostalgia è una febbre
che ci consuma il cuore,
solamente dentro il suono
di un’arpa di un violino
si solleva per un attimo
la gravità dell’essere,

l’età dell’oro è morta
e il suo rimpianto ammorba,
il futuro già sepolto
nel ritorno del degrado,
la storia che marcisce
mentre rincorre il vuoto,
ma bevendo nel boccale
sconfiggemmo l’amarezza,

dunque ci abbracciammo
trattenendo il pianto,
con la promessa sola
di cavalcare il caos,
il destino dei guerrieri
che giace nelle tenebre,
l’angelo caduto
ha stretto la mia mano,

nel regno della morte,
quando tutto è atroce
la pace del tuo cuore
può essere un rifugio?
e quant’è lontano
il dolce vento dell’oblio,
noi siamo testimoni
di una fine che non muore.

TRIONFO DELLA MORTE – TENEBRE 3

Quando la vita imita la morte
un sole spento
ci riverbera negli occhi
come nera impenetrabile caligine,
e il cuore del mondo
batte i suoi rintocchi
in una opaca cadenza d’agonia,

perché la coscienza
è un paesaggio di rovine,
meschini potenti sguazzano nel fango
ignari d’ogni onore e dignità
e un velo d’ignavia
ci appassisce il sangue,

così ridotta la statura umana
come una larva
grigia d’impotenza
dove fuggire la turpe folla
che ci assedia?,
e nel naufragio d’ogni vascello
di speranza
uno sghignazzo è sola epigrafe
alla fede,

troppo lontana anche l’ebbrezza
del tramonto,
vaghiamo orfani dei giardini d’utopia,
senza memoria
né approdo d’ideali,
solo invocando l’onda tiepida
del sonno,
solo la dolce carezza dell’oblio,

ed in quest’ora che sgomenta l’anima
ci sarà un argine all’infinito imputridire?

STATO DELLE COSE – TENEBRE 4

Nell’aspra luce diaccia
dell’amaro disinganno
giustizia ed eguaglianza
sono solo vuote spoglie,
una sillaba mendace
la comune fratellanza,
per noi servi e larve umane
nonostante l’apparenza
la libertà è introvabile
come futile chimera,
meglio dunque rinnegare
questa specie maledetta
dall’anima stremata
da grettezza e crudeltà –

e toccato il proprio limite
la storia al suo collasso
si ripiega in un deserto
di macerie senza senso,
l’ha scandita il tradimento,
n’è misura la menzogna,
l’alba nuova sospirata
è avvizzita nel terrore,
e lo spirito del tempo
rantolando in afasia,
nel teatro dei millenni
resta in scena un vuoto immane –

ma io rifuggo gli schiamazzi
e le grida dei vincenti,
la vana frenesia
di chi adora la ricchezza,
l’agitazione idiota
di chi fugge dal dolore
e trema annichilito
al sorriso della morte,
e i nostri esausti sogni
si sgretolano languendo
come castelli vuoti
in cui dimora solo il vento –

cos’è mai infine la gloria
e a che servono gli eroi?,
nelle urla di esultanza
si smarrisce la pietà
ma il sangue che ruscella
ci ferisce nei ricordi
e dentro la mestizia
d’oscure notti senza pace
vaghiamo come ombre
sui luoghi delle stragi,
e soltanto la sconfitta
ci elargisce dignità –

la speranza e l’illusione
consumate nella polvere,
rimanere reduci
è uno stupido fardello,
sempre infame l’obbedienza
ai fantocci del potere,
come pure il pentimento,
e del fondo di quest’epoca
nel disprezzo e nel disgusto

scorgiamo i segni oscuri
dell’imminente crollo,
gli indizi che s’approssimano
della nostra fine ignobile,
senza mai nulla invocare,

e il silenzio è il solo scudo.

CAVALIERI DEL NULLA – TENEBRE 5

Nel precipizio immenso
della fila dei millenni
l’intervallo di una vita
stride geme e piange,
l’alba si è già spenta
e l’arco del tramonto
ci avvolge dentro il vago
sacco della tenebra –

la nostalgia è un pugnale
che sempre ci trafigge,
l’aridità un veleno
che ci marcisce l’anima,
un peso sopra il cuore
ci trascina nella notte
dove sensi e direzioni
confusi si frammischiano –

la trama delle cose
quale inerte ragnatela
penzola nel vuoto
senza centro e lacerata,
le parole che s’arenano
ai bordi del silenzio
perché non valgono ragioni
a salvarci dal dolore –

errabondi e fuggitivi,
profughi e smarriti,
ci aggiriamo sulla terra
in cerca di riparo,
e il corpo che ci accascia
e ci grava sulle spalle
pure smania in frenesia
dentro il sangue che s’impenna –

ci arrendiamo all’ingiustizia,
all’infamia dei potenti,
l’esilio non consente
la speranza di giustizia
ma la rabbia che ci scava
esplode nella furia
e brilla alta la spada
sulla testa dei tiranni –

cavalieri dell’assenza,
di un nulla senza requie,
attendiamo invano
una promessa di riscatto,
la voragine dell’animo
ci afferra senza scampo,
l’inferno d’ogni ora
c’ispira riso e pianto.

Nota: Chi scrive ringrazia i Rolling Stones per Simpathy for the devil, Cormac Mc Carthy per Non è un paese per vecchi,
altresì i fratelli Coen per l’omonimo film, Franco Cuomo per Il tradimento del templare (Baldini e Castoldi 2008),
i Red house painters e i Black heart Procession, due gruppi che formano
la colonna sonora ideale per il presente, e naturalmente
Tutti i felini che la sanno molto più di noi.

 

Autore: Giovanni Corbetta
Messo on line in data: Febbraio 2009