RACCONTO: DAIMONJI di Lilith 77

Le lanterne danzavano illuminando di bagliori rossastri le strade della città, un drago dalle scaglie in fiamme che sinuoso serpeggiava tra le basse case di legno. Le porte scorrevoli delle botteghe erano aperte a mostrare cibi e mercanzie che, nella risalita al tempio, i partecipanti al Daimonji avrebbero pagato con le monete guadagnate durante l’anno…
Onorare i morti. Ringraziare gli spiriti degli antenati che la città aveva festeggiato per tre interi giorni, senza sosta, pulendo le tombe, innalzando altari e danzando alla luna in quelle lunghe notti d’estate calde e afose.

Keishi alzò gli occhi al cielo nero punteggiato di stelle. Presto avrebbero acceso i fuochi. Spostò lo sguardo sui cinque picchi che circondavano la città su tre lati e sospirò. Stupidi umani. Tornò a guardare la folla in festa che risaliva la collina, attraversando i giardini di roccia, per raggiungere il Tempio dei Sogni, ancora pochi minuti e sarebbero scomparsi nel rosso degli aceri, così non avrebbe dovuto tollerarne la vista, almeno per un po’. Spostò il peso del corpo sulla gamba destra, stendendo la sinistra per far circolare il sangue nelle gambe e far passare quel fastidioso formicolio che lo aveva colto. Era rimasto accovacciato sul tetto a pagoda del tempio troppo a lungo, o forse stava solo invecchiando, storse il naso, scacciando la possibilità. Trecento anni a guardia degli sciocchi abitanti di Kyoto senza ricavarne nulla in cambio iniziavano però a pesare sulle sue spalle.

“Ora basta Keishi. Sei diventato noioso. Ogni anno è la stessa storia!” Protestò ridacchiando sottovoce una voce femminile alle sue spalle.
“Lasciami in pace Izumi!” Le ringhiò lui di rimando senza nemmeno voltarsi a guardarla e, riprendendo la sua posizione iniziale, tornò ad osservare il sentiero. Le lanterne sarebbero presto ricomparse e aveva il compito, ingrato a suo parere, di sorvegliarle perché arrivassero senza inconvenienti alla soglia del tempio. Da lì in avanti non sarebbe più stato affar suo. Eppure, su quel tetto, anziché a loro difesa, sembrava essere il predatore in attesa di scagliarsi sulla sua preda, gli occhi ambrati puntati nell’oscurità e il corpo solido ma flessuoso lo facevano assomigliare ad una tigre pronta a divorare il drago fiammeggiante non appena avesse abbandonato il rifugio tra gli alberi. Spesso si diceva che avrebbe anche potuto farlo, spezzare il suo giuramento di Guardiano dei Sogni e avventarsi fiero e famelico su quelle inutili marionette che si chiamavano esseri umani. La lama della sua katana avrebbe assaggiato ancora il sangue dell’uomo?

“Avanti… – La ragazza gli si avvicinò, interrompendo il corso dei suoi pensieri e posando le mani sulle sue spalle larghe, chinandosi a sfiorargli l’orecchio con le labbra – Non mettermi il broncio…” Miagolò carezzandogli i capelli e finendo pochi istanti dopo per scivolare a terra, sedendosi accanto a lui, lasciando penzolare i piedini dal tetto e raccogliendo tra le ginocchia i numerosi strati di tessuto leggero e trasparente che costituivano il suo abito. Con un sospiro stanco inclinò la testa, facendo passare dal collo e dalla spalla l’arco di corno che le attraversava la schiena. Lo sistemò tra sé e Keishi, tenendovi una mano posata sopra, all’altezza dell’impugnatura. Sebbene il suo aspetto fosse quello di una creatura delicata e graziosa, Izumi era come lui, un Guardiano dei Sogni, una fredda e crudele dispensatrice di morte per chi avesse osato interrompere la cerimonia del passaggio degli spiriti.

Rimasero a lungo in silenzio, scrutando l’oscurità, in attesa…In attesa che il drago ricomparisse, in attesa che i fuochi fossero accesi. Quello sarebbe stato il momento più pericoloso, quando gli spiriti avrebbero attraversato nuovamente il confine, mentre gli sciocchi umani avrebbero cantato e danzato, ignari di ogni cosa.
Le lanterne ricomparvero quando il primo fuoco si stava accendendo. Keishi si alzò in piedi, il momento stava arrivando. Presto i cinque fuochi avrebbero rischiarato la notte e il pericolo sarebbe passato, gli spiriti sarebbero tornati oltre la soglia e le vite degli uomini sarebbero state garantite per un altro anno. La sua mano guantata si posò sull’elsa della katana producendo un appena percettibile scricchiolio della pelle che gli fasciava le dita. Izumi lo imitò, balzando in piedi nel lieve frusciare del suo abito che si confondeva con quello delle foglie mosse dalla brezza. Una mano sull’impugnatura dell’arco che puntava verso il basso. Si scambiarono un’occhiata. Erano pronti. Non c’era bisogno di parole. Avevano combattuto fianco a fianco per centinaia d’anni e la loro intesa era perfetta, armonica e profonda come un concerto d’archi.
Il secondo fuoco. Le lanterne intonavano il loro canto, l’ultimo saluto agli spiriti, il congedo e il ringraziamento. Keishi strinse l’elsa, sentiva il loro odore. Sapeva che nell’ombra li osservavano in attesa di un suo attimo di distrazione. Ma gli spiriti dovevano tornare al luogo al quale appartenevano. Nessuna eccezione. Mai.

Izumi fiutò l’aria sollevando il mento e socchiudendo gli occhi dal taglio felino. Le sue labbra si schiusero in un sorriso, flettendo la schiena in un movimento morbido sollevò l’arco e lo puntò nel buio di fronte a sé. Incoccò la freccia piumata di nero e tese la corda fino al suo punto massimo incurvando i flettenti, pronta a scoccare. Quando Keishi sfoderò la sua katana le nubi si addensarono sopra al Tempio dei Sogni, celando ogni stella e facendo scomparire la pallida luna. Il terzo fuoco. Inspirò profondamente, dilatando le narici e gonfiando i polmoni. Quell’odore. Inconfondibile. Mai dimenticato. Erano passate decine d’anni, forse un centinaio, dall’ultima volta che lo aveva sentito, dall’ultima volta che avevano osato cercare di interrompere il Daimonji. Si sarebbero mossi in fretta. Non avevano molto tempo e la cerimonia avrebbe presto raggiunto il suo culmine. Quanti erano? Quanti di loro si nascondevano nell’ombra? A quanti la sua lama avrebbe donato la morte quella notte? Keishi lasciò che il pensiero lo cullasse per alcuni istanti. Sapeva non avrebbe dovuto indugiare in simili speranze…

Il quarto fuoco. Tutto accadde con rapidità. Il sibilo della prima freccia di Izumi trapassò l’aria. Keishi sapeva che certamente aveva colpito il bersaglio. Non aveva mai dubitato di lei. Quello fu il segnale. La battaglia era cominciata. Da quel momento in avanti non avrebbe più pensato. Non agli uomini. Non al Tempio. Non ad Izumi. Lui e la sua spada si sarebbero mossi come una sola cosa, leggeri e mortali, agili e affamati…
Non si curava della netta inferiorità numerica in cui si trovavano. Lui da solo avrebbe sterminato un esercito se se ne fosse presentata l’occasione. Questi non erano che inutili e fastidiosi moscerini in confronto ai millenari nemici che aveva affrontato prima del giuramento. Dannato giuramento che lo obbligava a prestare servizio al Tempio. Eppure senza di quello non avrebbe potuto godere di questi attimi di pura estasi, mentre lacerava, dilaniava, faceva a brandelli ogni ombra passasse davanti ai suoi occhi d’ambra, mentre il loro sangue denso e freddo impregnava i suoi abiti, schizzava sul suo viso e colava dalla lama della katana in grossi rivoli.

Quando il quinto fuoco venne acceso e le montagne in fiamme vennero salutate con alte grida di gioia dal popolo di Kyoto, ignaro della cruenta battaglia che si era appena svolta sul tetto del Tempio dei Sogni, tutto era finito. Una ad una le lanterne entrarono nel Tempo, varcando la soglia a doppio battente e illuminandone l’interno che non vedeva la luce dall’anno precedente. Ogni lanterna al suo posto. Ogni uomo con la sua lanterna. In silenzio.

Il compito di Keishi era terminato. Gli spiriti potevano riposare. Con cura ripulì la lama, accudendola con rispetto e amore, e la rinfoderò. Si abbandonò ad un lungo sospiro e chinò il capo a destra e poi a sinistra per sciogliere ogni vertebra. Socchiuse gli occhi e assaporò il silenzio. Nessun rumore. Troppo silenzio. Qualcosa gli sfuggiva. Qualcosa mancava. Riaprì gli occhi allarmato e strinse i pugni. Izumi non era più al suo fianco. Keishi fece vagare lo sguardo, perlustrando ogni angolo di quel tetto che si era trasformato in un campo di battaglia, il cuore che batteva ad un ritmo insostenibile, come volesse strappargli le carni e balzare fuori dal petto. Il respiro affannato si muoveva frenetico, un passo e poi l’altro, e un altro ancora. Izumi, Dov’era Izumi?
Eccola.
Izumi.
A terra. Sul tetto del tempio a pagoda. L’arco stretto in una mano, la testa abbandonata verso la spalla sinistra, ciocche di capelli sfuggite dalle lunghe trecce si agitavano sul suo viso mosse dalla brezza. La stoffa sottile della gonna l’avvolgeva del freddo abbraccio della morte. Keishi cadde in ginocchio al suo fianco quasi senza rendersene conto. Morta? Izumi non poteva essere morta. Si stava sbagliando. Perchè allora non respirava? Morta. Nemmeno un lacrima scese sul suo viso. Morta. Quando aveva pianto l’ultima volta? Morta. Non lo ricordava. Morta.
E cos’era quel vuoto nel petto che stava sentendo, mentre la sua mano non poteva fare a meno di allungarsi a sfiorare il viso di porcellana di Izumi?
Morta…

 

Autore: Lilith 77
Messo on line in data: Febbraio 2009