RACCONTO: LA GATTA di Giovanni Soriano

Sono le due e trenta del mattino e io urlo come un ossesso rincorrendo la gatta per tutta la casa. Devo acchiapparla per farle scontare il tavolo di legno intarsiato che la signorina ha indecorosamente rovinato con la sua pipì più corrosiva d’un acido. Si sentono tonfi contro il pavimento: gli inquilini del piano sottostante protestano; il telefono squilla, ma io non rispondo. Ho ben altro per la testa che il regolamento del condominio: devo acciuffare la gatta. Quella però è maledettamente furba: si nasconde dietro i mobili, schizza da un angolo all’altro della stanza,infila la porta del salotto dove ha commesso il crimine e fugge nell’oscurità del corridoio. Io non la mollo, la raggiungo in cucina e l’afferro per le zampe. Lei si volta infuriata e mi morde a sangue la mano; non importa, con la mano libera le afferro la piccola testa e comincio a stringere finché non smette di soffiare e comincia ad ansimare. Allora lascio la presa e m’allontano.

Mi chiudo in bagno per disinfettare la ferita, ma già la sento raspare alla porta.
– Vuoi entrare?… Sta bene, anche se non sai cosa t’aspetta. Apro la porta, socchiudo uno spiraglio e la gatta si precipita dentro, mi artiglia i calzoni, i suoi occhi gialli sono colmi di rabbia. Apro la finestra e la bestiaccia con un salto raggiunge il balcone.
– Ti sei fregata da sola!…- le grido inferocito io; – d’ora in avanti non distruggerai più nulla!!! –
Con un’energica spinta la faccio volare nel vuoto mentre un ultimo miagolio disarticolato la esce dalle fauci e poi sento un tonfo sordo sull’asfalto della strada. Subito dopo mi rendo conto di ciò che ho fatto:
– Maledetto sadico incivile!… Sono un assassino!…- E mi sfogo a piangere come non mi accadeva più dai tempi delle elementari.
Mi affaccio alla finestra e scruto la strada buia dove mi sembra di intravedere il piccolo corpo martoriato.
– Mariù, sei lì?… Sei viva?… Perdonami, ti prego. –
Nessuna risposta. Il silenzio notturno è assoluto.

Sento improvvisamente che dentro di me si è spezzato qualcosa in modo irreparabile. Torno in cucina, apro la credenza e, con mani tremanti, tolgo da una scatola tre pillole di tranquillante. Le butto giù d’un fiato con un bicchiere d’acqua; poi cerco di calmarmi gettandomi sul letto ancora vestito, ma quasi subito mi levo e mi ritrovo carponi sul pavimento; senza quasi accorgermene, mi contorco in preda al rimorso, urlo, singhiozzo, mordo il tappeto.
Dopo pochi minuti, le pillole cominciano a fare effetto; mi calmo un po’ e poi cerco di razionalizzare.
“In fondo era solo un animale e per giunta insopportabile. L’ ha detto pure il veterinario che fra gli antenati ci dovevano essere delle linci: le orecchie erano troppo lunghe e poi era diventata sporca e strafottente. Mi ha praticamente distrutto il mobilio…”
Alla fine mi sono addormentato e, verso l’alba, ho fatto un sogno.

Stavo all’aperto, in un luogo nebbioso ed umido, probabilmente una palude; le mie gambe affondavano fino alle ginocchia nel fango torbido. Mi trascinavo a fatica senza sapere neanche dove fossi diretto; sapevo soltanto che volevo assolutamente uscire da quel posto infernale. D’un tratto, mentre brancolavo alla ricerca d’un appiglio qualsiasi, dalla nebbia fitta e scura ho visto uscire la gatta.
Sembrava proprio lei ed al contempo non lo era: dalla sua piccola sagoma nera emanava una luminescenza verdastra ed innaturale. Si è accucciata a pochi passi da me, e mi ha fissato a lungo con uno sguardo pieno di astio. Proprio allora si è levato un gran vento e le cime degli alberi hanno preso a stormire.
Assordato da quel suono, ho visto Mariù aprire le fauci e parlare come un essere umano; mi pare d’aver udito una vocetta fioca e rauca che diceva:
– Pagherai per il tuo delitto!… per diecimila volte dovrai rinascere in forma di gatto e morire di una morte violenta come quella che m’ hai inflitto!…-
– E chi ha deciso la condanna?…-
– La grande Madre in persona; la Femmina oscura che regna su Scheol, il luogo dove i morti si nutrono di polvere. –
Detto ciò, Mariù s’allontanò per sempre verso il folto della palude e non la rividi mai più. Mi svegliai in preda al panico e non riuscii più a dormire per il resto della notte. Scesi anche in strada per verificare se la gatta fosse effettivamente morta ma, misteriosamente, non ne trovai alcuna traccia.
Sono passati due decenni da quella notte e ora io sto morendo in un letto d’ospedale. Esorto chiunque legga questo scritto ad avere un atteggiamento più rispettoso verso i gatti e gli animali in generale. Vi prego: se vi capitasse di investire un gatto in una deserta strada notturna, fermatevi e cercate d’aiutarlo. Quel gatto potrei essere io e diecimila morti cruente sono davvero tante.

 

Autore: Giovanni Soriano
Messo on line in data: Marzo 2002