SPIRITUALITA’ ORIENTALE: SIDDHARTA di Gaetano Dini

Gautama Buddha

Uscito un giorno dal proprio palazzo per osservare scene di vita quotidiana del suo popolo in quanto finora era cresciuto solamente tra gli agi della Corte, Gautama si imbatte per strada in un vecchio il cui fisico era piegato dalla vecchiaia.
Turbato da quella vista, Gautama rientra subito a palazzo.
Decide in seguito di uscire di nuovo e gli dei fanno in modo che il principe incontri per strada una persona ammalata. Gautama chiede allora all’auriga, come aveva del resto fatto la volta precedente, se anche la malattia come la vecchiaia era un male universale che affliggeva tutti gli uomini. Ricevutane di nuovo risposta positiva, Siddharta chiede di rientrare a palazzo in preda a nuovo turbamento.

Suo padre, venuto a sapere dei turbamenti del figlio, lui che aveva sempre cercato di preservarlo dai mali del mondo, gli appronta subito all’interno del palazzo una palestra di piaceri. Il figlio però tutti li disdegna.
Allora il padre, nell’intento di farlo divagare, lo esorta ad uscire di nuovo da palazzo.
Gli dei allora fanno incontrare a Gautama lungo il percorso un uomo privo di vita. Sakyamuni chiede ancora di rientrare a palazzo ma l’auriga, eseguendo ordini impartitigli,
si addentra con il carro in un boschetto in cui erano collocati dei padiglioni di piaceri con alberelli in fiore, laghetti con ninfee e schiere di belle donne.
Siddharta gira nel boschetto come un elefante attorniato da tante elefantesse.
Vecchiaia, malattia, morte. Se non fossero esistite come categorie di vita, Sakyamuni avrebbe continuato a trarre diletto dai piaceri della vita, ma di fronte all’impermanenza del mondo, non poteva più farlo. 

Un giorno, in compagnia di un’allegra brigata di figli di notabili del regno, Gautama passa attraverso dei campi lavorati da contadini con la pelle arsa da sole e screpolata dal vento. Pieno di dolore per la misera condizione umana, Siddharta si raccoglie subito in meditazione sotto i rami di un albero.
Qui gli appare un monaco errante che lo esorta ad abbracciare la Legge dell’ascesi.
Allora, presentatosi a palazzo da suo padre, gli chiede il permesso di diventare monaco errante.
Il padre, pieno di dolore, cerca di dissuaderlo dicendogli che alla sua giovane età non è indicato dedicarsi alla Legge in quanto la volontà è ancora malferma e la curiosità unita al desiderio di provare i piaceri della vita è ancora grande.
Il figlio risponde allora al padre che la sua volontà è salda e che non è giusto fermare uno che vuole uscire da una casa arsa dall’incendio.
Gautama quindi di notte esce dalle stanze del palazzo e chiede allo stalliere di preparargli il suo destriero. Il cavallo parte senza fare alcun rumore. Le porte della città si aprono spontaneamente.
Sakyamuni guadagna l’uscita e voltandosi, con ruggito leonino, dice che non tornerà indietro prima di aver compreso i cicli delle rinascite e l’altra sponda della vita e della morte.
Incurante degli affetti lasciati a Palazzo come figlio di re e come padre di un bambino, si lancia col bianco cavallo nel buio della notte.

 

Nella foresta dell’ascesi

Gautama raggiunge il luogo cercato e fa il suo ingresso nella foresta dell’ascesi come cervo in un parco di cervi.
Alla vista di Siddharta i Brahmani, usciti per prendere legna da ardere, non fanno rientro nelle loro capanne e gli Asceti, che vivono cibandosi di erbe, si raccolgono attorno a lui.
Anche gli animali del bosco avvertono questa nuova atmosfera, i pavoni aumentando il tono del loro verso, i cervi avvicinandosi tranquillamente.
Salutati i Brahmani e gli Asceti come si conviene, Sakyamuni chiede a quegli osservatori della Legge delucidazioni sui vari tipi delle loro penitenze.
Cibo selvatico, ciò che cresce nell’acqua, foglie, frutti e radici sono secondo le Scritture le forme di sussistenza dei saggi, gli rispondono loro.
Alcuni di noi vivono spigolando come uccelli, altri si nutrono d’erba come cervi, altri ancora campano di brezza di bosco. Alcuni di noi si nutrono di ciò che si ottiene macinando con pietre, alcuni mangiano cibo triturato coi propri denti, altri dopo aver cucinato per il prossimo, prendono per se lo stretto necessario per il loro sostentamento, altri ancora vivono immersi nell’acqua come pesci, col corpo segnato dall’acqua come quello delle tartarughe.
Con tali ascesi prolungate nel tempo, questi saggi conseguono al minimo quella che è considerata la felicità nel mondo degli uomini, al massimo invece ottengono il paradiso terrestre.

Allora Gautama, sentita questa spiegazione sulle tecniche dell’ascesi, pensa che se queste ascesi, unite al dolore delle rinunce, ottengono al massimo come frutto il paradiso, questo frutto è poca cosa di fronte alla trasformazione perenne dei mondi. Chi infatti, lasciati i propri cari e gli oggetti dei sensi, compie queste rinunce per ottenere il piacere del paradiso, così facendo abbandona il piacere terreno per ottenere il piacere per il futuro che è effimero di fronte al ciclo delle rinascite. Ottiene cioè dolore dal dolore.
La natura umana è resa misera dalla speranza della felicità, legata questa alla ricerca di nuove nascite. Ma se vi è vita, vi è conseguentemente morte e in questo modo il ciclo delle rinascite non viene mai spezzato. Inoltre se è nel dolore della rinuncia l’intenzione che causa il merito, perché non far valere il merito anche nell’intenzione che ricerca il piacere?
Così pensando, Siddharta si appresta a passare la prima notte nella foresta dell’ascesi.
Egli dimora nella foresta diversi giorni e notti ed in questo lasso di tempo tutto comprende riguardo le vie dell’ascesi. Così un giorno, davanti ai Brahmani ed agli Asceti tutti, dice che suo fermo desiderio è quello di non rinascere più.
La Legge della rinuncia da voi praticata, aggiunge, viene infatti infranta sistematicamente dalla continuazione dell’esistenza in altre nascite. Per questo motivo, conclude, non ho più intenzione di fermarmi in questa foresta. Allora il più autorevole di questi saggi gli dice di recarsi a Vindhyakostha dal saggio Arada, anche se, vista la sua risolutezza, certamente Gautama finirà per scartare anche quel sistema filosofico.

 

Presso Arada

Giunto all’eremo di Arada, dopo essersi informato come si conviene sulla reciproca salute, Gautama chiede al saggio di esporgli la sua dottrina.
Arada gli risponde dicendo che sebbene questi argomenti vadano spiegati diluendoli nel tempo, vista la sua nobiltà d’animo, glieli spiegherà tutti in una volta sola.
La materia con i suoi derivati, la nascita, la morte, la vecchiaia, è in relazione a queste categorie che si parla di esistenza. La materia è poi formata dai 5 elementi (spazio, vento, calore, acqua, terra), dal senso dell’Io, dall’Intelletto e dal Non Manifestato da cui la materia deriva.
Ignoranza, Atto inteso come azione e Concupiscenza sono le cause del ciclo delle rinascite.
La creatura immersa in questi elementi, rimane sempre nella condizione dell’esistenza. E questo avviene per mancanza di vera comprensione del reale, per senso dell’Io, per confusione mentale con associazione impropria di conoscenze ad elementi.
Sono Io che parlo, Io che conosco, Io che mi muovo o sto fermo, così si manifesta nel mondo l’egoistico senso dell’Io.
Vi è un saggio che considera l’ignoranza avere 5 diramazioni: l’Ottenebramento che è l’accidia, cioè indolenza nell’operare il bene, l’Illusione di nascita e morte, la Grande Illusione che è il desiderio del piacere, l’Oscurità interiore che è l’ira e la Cieca Oscurità che è la disperazione. Il non affrancato da queste cose, è calato per successive nascite in un ciclo continuo che è per lo più dolore.
Siddharta chiede allora ad Arada di illustrargli i metodi con cui si raggiunge la perfezione. Arada, conformemente ai testi, con chiarezza e concisione gli espone la dottrina.

Il novizio, liberatosi dai vincoli della sua famiglia, trova rifugio nelle insegne del monaco errante.
Abbracciando la disciplina in tutto il suo agire, ottiene la Prima Meditazione che è disgiunta dai desideri passionali e da peccati quali la malizia. Il monaco raggiunge in questa fase il mondo di Brahma.
La Seconda Meditazione viene raggiunta superando la soddisfazione che si genera dalla corretta meditazione. Il monaco si procura così estasi e felicità e raggiunge una luminosa condizione tra gli dei Abhasvara. Colui che riesce a dissociare la mente dall’estasi e dalla felicità, raggiunge la Terza Meditazione,
condividendo questo stato con le divinità Subhakrtsna.
Il monaco che non rimane attratto da tale felicità, arriva alla Quarta Meditazione, stato privo di felicità ed infelicità.
A questo punto alcuni pensano di aver raggiunto la Liberazione, ma non è così.

Essi si sono elevati alla dimensione propria degli dei Brhatphala, dimensione che dura un lasso di tempo lungo, ma non dura per sempre.
Chi riesce ad emergere da questa infatuazione, intraprende l’ultimo sforzo di conoscenza che è quello di liberarsi dalla propria corporeità. Si sforza di concepire come spazio le sue cavità interiori ed anche le sue parti solide, si immerge nell’Io dell’infinito fino a rendersi conto che nulla veramente esiste. A questo punto il monaco è detto Liberato e raggiunge lo stato di Brahman. Arada termina così l’enunciazione della sua dottrina.
Sakyamuni, afferrate e ponderate le sue parole, così risponde.
Ho udito questa tua dottrina acuta e sempre più eletta, ma poichè non viene abbandonato il “Conoscitore del campo”, la ritengo imperfetta. Penso infatti che il Conoscitore del campo anche quando è liberato dalla materia e dai suoi derivati, sia ancora caratterizzato dalla capacità di generare e di essere germe di generazione. In questa condizione non esiste l’abbandono del senso dell’Io. Poiché inoltre nel cammino verso la Liberazione la Rinuncia progressiva è ritenuta meritoria, penso che il completo conseguimento dello scopo sia invece nella rinuncia alla Rinuncia.
Accomiatatosi quindi da Arada, Gautama si reca ora all’eremo di Udraka.

Il saggio Udraka, che aveva compreso il limite della coscienza e dell’incoscienza, aveva trovato al di sopra dello stato del nulla una condizione caratterizzata da assenza di coscienza ed incoscienza dove aveva fissato la sua attenzione. L’intelletto però si arresta in questo stato e non vagando altrove, fa inesorabilmente ritorno al mondo.
Così Siddharta, bramoso della suprema beatitudine, lascia anche Udraka e si reca verso l’eremo Nagari.
Nei suoi pressi vi prende dimora, felice di vivere in solitudine. Qui incontra cinque monaci che praticano l’ascesi. Questi lo fanno oggetto della loro devozione.
Compiendo numerosi atti di digiuno ardui per un mortale, Sakyamuni per sei anni rende emaciata la sua persona cercando di raggiungere la pace interiore. Alle ore dei pasti si ciba di un solo frutto di giuggiolo, di un solo granello di sesamo, di un solo chicco di riso, poiché vuole guadagnare l’altra sponda del ciclo delle rinascite, quella degli illuminati confini.
Rimasto pelle e ossa, senza grasso, carne e sangue, per quanto consunto, continua a splendere come l’oceano. Gautama fà allora a se questo ragionamento.
L’Illuminazione, la Liberazione non possono essere raggiunte in uno stato di debolezza. La quiete si ottiene con l’appagamento dei sensi, ottenendo in questo modo l’autonomia della mente. In chi ha la mente autonoma e serena si produce la contemplazione profonda e la pratica delle meditazioni. Dallo sviluppo delle meditazioni si ottengono le condizioni particolari che portano allo stato di beato, incorruttibile, sommo ed immortale.
Decide così di nutrirsi e di seguire come metodo di ascesi quello della “via mediana”. I cinque monaci allora, credendo che si sia arreso, lo abbandonano. Siddharta, affiancato solo dalla sua risolutezza, si reca ai piedi di un banano ove il suolo è cosparso d’erba ed assunta la posizione del loto, fa voto di conseguire l’Illuminazione.

 

La vittoria su Mara

Mara, dio dell’Amore, nemico della Legge, venuto a sapere del voto di ottenere la Liberazione, comincia a tremare. I suoi tre figli, Turbamento, Estro e Orgoglio, gli chiedono allora la ragione della sua agitazione. Il padre dice loro che c’è un saggio che vuole annunciare al mondo la via dell’Emancipazione, svuotando così il regno di Mara di ogni potere. Ma mentre questo saggio non ha ancora conquistato l’onniveggenza e vive ancora sotto i miei domìni, cercherò, dice Mara, di infrangere il suo voto impedendogli di raggiungere l’altra sponda dell’oceano delle esistenze.
Così Mara si reca da Sakyamuni e, postosi di fronte a lui, cerca di dissuaderlo dall’intento dicendogli che è biasimevole per un figlio di re ricorrere alla via dell’accattonaggio.
Non ottenuto alcun risultato, con il suo arco fatto di fiori, fonte di illusione per il mondo, gli scaglia allora una freccia. Gautama, colpito, non viene meno nella sua fermezza.
Allora Mara, spaventato, decide di ricorrere a colpi, minacce e terrore inferti dal suo esercito dei Bhuta.
Avevano questi musi di cinghiali, cavalli, asini, cammelli, tigri, orsi, leoni, elefanti, pesci; alcuni di loro avevano un solo occhio e molti volti, altri tre teste, altri ventri penduli e maculati, alcuni erano ricoperti nel corpo di macchie rosse. Molti di loro erano muniti di mazze sormontate da teschi, alcuni erano vestiti con pelli, altri erano nudi.

Approssimandosi nella prima parte della notte lo scontro, il vento soffiò in tutte le direzioni, le stelle e la luna non brillarono nel cielo, la notte estese maggiormente la sua tenebra e i mari furono sconvolti.
Il gran saggio, vedendo l’armata di Mara dirigersi verso di lui, non trema e aspetta l’assalto simile a un leone seduto tra delle giovenche.
I Bhuta incominciano a lanciare contro Sakyamuni tronchi d’albero, pietre, scuri, ma tutto viene respinto dalla potenza mentale di Gautama. I mostri continuano a scagliare piogge di sassi, ma questi grazie al potere di Siddharta, si tramutano in una pioggia di fiori.
Allora dei Bhuta con l’aspetto di iene e leoni cercano di gettarsi su di lui, ma non riescono a muoversi. Uno di loro brandendo una clava avanza verso Gautama, ma cade senza potersi più rialzare. Gli animali del bosco, durante questo attacco, fuggono terrorizzati e gli uccelli, stridenti e sconvolti, volano in tutte le direzioni.
Allora un dio del cielo così dice a Mara. Abbandona la tua mala disposizione. Tu non puoi far tremare costui. Infatti per quello che è il suo fermo coraggio, il suo ardore, la sua compassione verso la condizione degli esseri viventi, egli non si alzerà senza aver raggiunto il Vero.
Quando il mondo è ammaliato da molte vie sbagliate, non è lecito disturbare quel maestro che cerca con fatica la retta via, così come non va disturbata una buona guida quando la carovana si è persa. Non è ammissibile che tu voglia sopprimere chi si è proposto di liberare le creature dai lacci dell’illusione. Quindi non angustiarti Mara e va in pace con le tue schiere.

 

La perfetta illuminazione

Sconfitta la potenza di Mara con la propria fermezza e quiete interiore, Gautama incomincia a meditare con l’intenzione di giungere alla comprensione del Fine Supremo.
Ottenuto quindi il perfetto dominio su tutte le tecniche della meditazione, nella Prima Vigilia gli sovviene il ricordo delle sue nascite precedenti. In quel tempo e luogo ero certamente quel tale, in quell’altro tempo e luogo ero quell’altra persona, richiamando così alla mente le sue innumerevoli vite precedenti.
Rendendosi conto che c’era stata una nascita, vita e morte in quelle esistenze, Siddharta viene mosso a compassione per la condizione degli esseri viventi.
Nella Seconda Vigilia Sakyamuni ottiene la somma Onniveggenza, contemplando tutto il creato e il ciclo delle rinascite degli esseri, il tutto come in uno specchio senza macchia.
Nella Terza Vigilia il saggio medita sulla vera natura di questo mondo.
Comprende come le nascite siano prodotte unicamente dall’effetto degli atti compiuti dai viventi nelle esistenze precedenti e non dall’intervento di un Creatore o della Natura.
L’origine dell’esistenza si trova quindi nel senso di Attaccamento. La causa dell’Attaccamento risiede nella Concupiscenza che è desiderio e la Concupiscenza deriva dalla Sensazione.

La fonte della Sensazione è il Contatto con le cose, frutto questo dell’unione di Oggetti, Sensi e Mente. Il Contatto è originato dall’azione degli organi di senso che sono il frutto dell’unione di Mente e Corpo. La causa di Mente e Corpo risiede nella Coscienza in un rapporto di interdipendenza reciproca.
Quindi dal Contatto nasce la Sensazione, dalla Sensazione la Concupiscenza, dalla Concupiscenza l’Attaccamento e dall’Attaccamento l’Esistenza dalla quale proviene la nascita, la vecchiaia e la morte. In possesso della totale assenza di Ignoranza intesa questa come Illusione, proceduto all’eliminazione con un percorso mentale a ritroso di tutti questi suddetti elementi, si raggiunge in questo modo lo stato di Buddha, di Illuminato.
Gautama raggiunge così l’Illuminazione divenendo Buddha.
Allora tutte le schiere degli dei del creato provarono gioia per questo.

Siddharta per sette giorni contempla la propria Illuminazione.
Ritenendo però la Legge della Liberazione estremamente sottile e deteriorabile, decide di rimanere immobile e di non rivelare la Legge a nessuno.
Ma gli dei del cielo, scesi dalle regioni celesti, lo spronano a rivelare la Verità; lui che è passato oltre l’oceano dell’esistenza, tragga in salvo il mondo che annega nella sofferenza!
A questo scopo le divinità dei 4 punti cardinali donano a Buddha 4 ciotole per la questua che l’Illuminato trasforma in una sola ciotola da usare per la sua Legge.
Allora, istigati da dei benevoli, due mercanti di una carovana di passaggio fanno elemosina al Beato, rendendolo così predisposto a trasmettere la Legge agli uomini.
Subito Buddha pensa che le menti di Arada e di Udraka sono senz’altro capaci di ricevere la Legge, ma saputo che entrambi sono saliti in cielo, rivolge il suo zelo missionario ai cinque monaci erranti.
Prima di partire per la sua missione, il Buddha fissa con i propri occhi fermi e non ammiccanti l’albero sotto il quale ha conseguito l’Illuminazione.

 

Bibliografia
Asvagosa – Le gesta del Buddha, Ed. Adelphi, Milano

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Giugno 2019