APULEIO di Pinuccia Cardullo

Apuleio nacque verso il 125 d. C. a Madaura (oggi Mdaurusch, in Algeria) da una ricca famiglia dell’Africa romana. Fu un uomo coltissimo e versatile, si occupò di molte discipline: scienze naturali, retorica, poesia, filosofia, legge. Fu avvocato a Roma, dove acquistò fama di oratore geniale.
Apuleio è famoso soprattutto per la sua fede nel culto di Iside e per la conoscenza e la pratica della magia.

Avendo sposato una ricca vedova di nome Prudentilla, venne accusato dal figliastro, che temeva di perdere una cospicua eredità, di aver sedotto sua madre con malefici sortilegi.
Fu scagionato dopo aver subito a Sabrata, presso l’attuale Tripoli, un processo durante il quale egli si difese personalmente dalle accuse di stregoneria, sostenendo che la magia era “un’arte gradita agli Dei immortali, che gli Dei sa bene onorare e venerare, pietosa ed esperta delle cose divine“.
Le sue tesi furono poi riportate nel De Magia, appassionata difesa della magia e delle sue prerogative positive per l’uomo.

Le metamorfosi, la sua opera più famosa, di cui riportiamo un breve saggio, raccontano la storia di Lucio che, trasformato in un asino, grazie all’intervento della Dea Iside riprende la sua forma umana.
Nell’ultimo capitolo Apuleio descrive i rituali del culto a partire dall’iniziazione, grazie alla quale un individuo si spoglia della sua vecchia forma e rinasce a nuova vita spirituale, ad una più profonda consapevolezza di sé e del mondo.
Anche qui Apuleio prende le distanze dal “sortilegio”, un rito volto solo a finalità meschine e non a un’elevazione spirituale e morale degli esseri umani, che li metteva in grado di vedere oltre la realtà quotidiana.

Estratto da Le Metamorfosi di Lucio Apuleio, Biblioteca Classica Edipem, 1973, Novara. Libro XI, capitolo 10 e seguenti.
Lucio, trasformato in asino, dopo una visione notturna si avvicina alla processione in onore della dea Iside, dove troverà un sacerdote che una corona di rose: i fiori della dea lo faranno ritornare uomo.

Ora ecco arrivare la folla degli iniziati ai Misteri Divini, uomini e donne di ogni condizione e d’ogni età, abbaglianti per il puro candore delle loro vesti di lino; le donne con i capelli profumati e circondati da un velo sottile, gli uomini con il capo lucente perché completamente raso; erano le stelle terrene del grande culto, e con sistri di bronzo e d’argento e anche d’oro emettevano un tintinnio acuto.

Ecco poi i sacerdoti della cerimonia, quelli più importanti col petto coperto da una candida veste di lino stretta in vita e fino ai piedi; essi portavano gli emblemi dei potentissimi dei.
Il primo di loro tendeva una lucerna che splendeva di chiara luce, diversa dalle nostre con cui rischiariamo i nostri banchetti serali: era una navicella d’oro con un’apertura in mezzo, da cui usciva una grande fiamma.
Il secondo aveva un vestito simile, ma con le due mani recava un altare, vale a dire un “ausilio”, che è il nome proprio datogli per via della provvidenza ausiliatrice della somma dea.
Il terzo camminava alzando una palma, fatta di un foglio sottile d’oro, e un caduceo da Mercurio; il quarto mostrava come segno della giustizia una mano sinistra raffigurata con la palma stesa: la sinistra, per la lentezza che le è naturale e per la mancanza di scaltrezza e di malizia, pareva più adatta della destra alla giustizia; lo stesso sacerdote portava anche un vasetto d’oro, tondo a mo’ di mammella, da cui versava latte.
Il quinto recava un vaglio d’oro coperto di rametti di lauro, ed un altro aveva un’anfora…
Ora ecco avvicinarsi il bene promessomi dal nume tutelare; si accostava il sacerdote che portava il mio destino, la mia salvezza, ornato proprio come aveva prescritto la dea nella sua promessa, recando nella destra un sistro per la dea e una corona per me, sì, per Ercole! una corona, giustamente, perché dopo aver subito tanti travagli, dopo aver provato tanti pericoli superavo ora, per la provvidenza della massima dea, la Fortuna che mi aveva contrastato con tanta crudeltà.
Non mi agitai, però, per la gioia improvvisa, né mi buttai a correre agitandomi violentemente, poiché naturalmente temevo che il subitaneo irrompere di un quadrupede turbasse il placido svolgimento della cerimonia; invece mi introdussi a poco a poco tra il popolo che si scostava, certo per ispirazione divina, con passo calmo e proprio da persona umana, piegando il corpo adagio e come esitando.
Il sacerdote, come potei accorgermi dai fatti, rammentò la predizione notturna e, meravigliandomi della coincidenza con quanto gli era stato ordinato di fare, subito si fermò e spontaneamente, tendendo la destra, presentò la corona proprio davanti al mio muso.
Allora io trepidante e col cuore che batteva e palpitava più forte, con la bocca avida afferrai la corona rifulgente delle belle rose di cui era intrecciata, e la divorai ansioso di quanto mi era stato promesso. L’impegno celeste non mi tradì: subito il mio aspetto deforme da animale si dissolse“.

 

Autore: Pinuccia Cardullo
Messo on line in data: Ottobre 2000