RACCONTO: VANIA di Giovanni Bellisario

Oggi che ho quasi dimenticato il numero dei miei anni, mentre trascorro il mio tempo ultimo facendo scorrere la mia mano tremante su fogli che forse nessuno mai leggerà, mi rendo conto di come vergare queste pagine non significhi consegnare al futuro la mia storia, ma serva unicamente a me, ed a me solo, per riaccendere, attraverso un viaggio nei ricordi, sensazioni lontane eppure mai totalmente sopite. Energie smarrite, per istanti ormai sempre più brevi mi scorrono dentro con il ricordo, ed io che vissi tutta la mia esistenza in libertà di corpo e di pensiero oggi ambisco al rapimento del mio essere, che solo malinconici sogni passati riescono a darmi.
Preferisco tacere il mio nome, anche se noto a generazioni che mi conobbero come uomo di non comuni qualità e innegabili poteri, ma fui di meno e anche di più. Fui un guerriero ed un poeta, fui uno studioso e mi dilettai di nuove conoscenze in epoche in cui un fulmine ancora incuteva timore. Studiai la gravità e sollevai i macigni, la fisica e la chimica mi furono sorelle quanto la musica e la poesia.
Fui anche un uomo ed amai.
Amai di quell’amore profondo che scuote il cuore e l’anima, che fa vibrare il corpo nello spasmo del desiderio represso, di quella passione che incanta e rapisce, di quel sentimento che a volte porta ad annullarsi e poi a soffrire, ma senza rimpianti… Amai, non come narrano le leggende, giovani intriganti e ingannatrici, ma qualcosa di puro e di incomparabilmente bello, qualcosa per cui violai le leggi della natura, pagandone a tutt’oggi le conseguenze. Sfidai oltre ogni limite e la mia punizione fu una vecchiaia senza fine, perché nulla è peggiore di una vita infinita e non desiderata.

Non ero più giovanissimo, ma le forze mi accompagnavano e l’esperienza aveva fatto di me un uomo più completo e probabilmente migliore. Amavo trascorrere lunghe ore delle mie giornate vagando nei boschi alla ricerca di erbe mediche e di spezie per i miei esperimenti di chimica. A volte, sul limitare del bosco, seduto su una roccia liscia e comoda, disturbato unicamente dallo scrosciare delle acque di un torrente vicino, mi incantavo a guardare la vallata che si stendeva ai piedi della montagna. Ricordavo un giorno non troppo lontano, in cui il silenzio era stato rotto dal fragore della battaglia: il cozzare dell’acciaio, le urla dei morenti. Ricordavo le espressioni di stupore sul volto degli uomini da me colpiti ed uccisi, la sensazione del loro sangue schizzato sulla mia faccia…
Un pomeriggio, mentre mi dirigevo verso il mio osservatorio naturale, un fruscio diverso mi fece trasalire. I miei muscoli si tesero e gli anni di addestramento militare mi avvertirono di una presenza umana. Mi nascosi dietro al tronco di una quercia immensa, in una zona di ombra totale. Il silenzio era irreale.Vidi apparire all’improvviso una figura umana, femminile, avvolta in un mantello turchese, il capo coperto dal cappuccio. Avanzava guardinga e flessuosa, osservando con attenzione i propri passi, diretta proprio verso la mia roccia. Lì giunta, si voltò scrutando per qualche istante nell’ombra del bosco, assicurandosi d’esser sola. Poi, aggiustatasi la veste, si sedette sulla roccia volgendo lo sguardo alla vallata. Solo allora mi accorsi che stringeva in una mano alcuni fiori raccolti nel sottobosco. Erano fiori bianchi e azzurri.Con un gesto aggraziato abbassò il cappuccio e scostò dal volto una ciocca di capelli.Un raggio di sole, che filtrava tra le fronde di una grande e antica quercia le accarezzò discreto il volto di fanciulla rivelando a me ,nascosto osservatore, la magia della sua bellezza. I suoi capelli avevano il colore del grano maturo e suoi occhi limpidi avevano la tersa profondità del cielo dopo una giornata di vento. Accostò al volto il mazzetto di fiori inspirandone profondamente il profumo ed io colsi nei suoi occhi una profonda malinconia.
Non so dire per quale motivo provassi quella sensazione, ma quella sua malinconia mi ferì.
Ho avuto molte donne nella mia vita: alcune le ho amate, altre hanno rasserenato le mie notti insonni.
Ho visto molto durante la mia esistenza:schiere di uomini scontrarsi ed annientarsi senza conoscere il vero motivo di quella violenza, guerrieri tagliati in due come ciocchi di legno, tramonti rosso sangue su campi di battaglia, albe indimenticabili su prati fioriti speranzosi di pace, fedeltà illimitate e facili tradimenti, sincerità senza pari ed astute ipocrisie, mari in tempesta stracciare barche e scogliere. Ho visto il segno dell’Onnipotente in ogni aspetto del mondo e della natura…
Eppure mai prima di allora momento mi parve più intenso di quello in cui posai il mio sguardo sul suo volto. La vidi alzarsi di scatto, protendendo il suo corpo in direzione della valle. Anch’io rivolsi il mio sguardo in quella direzione, avendo compreso che l’attenzione della giovane era stata improvvisamente attratta da qualcosa in movimento. Un bianco stallone galoppava in corsa con il vento. La sua eleganza e potenza erano tali che anch’io rimasi rapito da tanta perfezione naturale. Vidi i fiori cadere di mano alla fanciulla ed ella stessa appoggiarsi al tronco della quercia, seguendo la corsa dell’animale. Poi improvvisamente si ricoprì il capo con il cappuccio e corse via, passando a pochi passi dal mio nascondiglio.

Per il resto di quella giornata e per i giorni che seguirono i miei pensieri furono occupati da quell’immagine, dalla dolcezza di quel volto e dalla malinconia di quegli occhi…
Ritornai ogni giorno in quel luogo, ma non la rividi.
Una notte feci un sogno. Mi trovavo seduto ai piedi della quercia immerso nelle mie riflessioni quando vidi giungere un uomo. Egli guardava nella mia direzione, ma senza vedermi.
Era un giovane guerriero dai lunghi capelli biondi e dallo sguardo fiero. Indossava una leggera cotta di maglia, al fianco pendeva la spada, il suo mantello era rosso come il sangue e ornato da una figura dorata di drago. Si muoveva a piedi, ma alla sua destra, tenuto per le briglie, era affiancato da uno splendido cavallo bianco.
Si fermò nei pressi del torrente e mentre il cavallo si abbeverava si guardò intorno, tradendo l’ansia per l’attesa. Ed ecco quasi di corsa sopraggiungere la fanciulla dal manto turchese, il cappuccio abbassato e le chiome dorate sparse dall’impeto.Si diresse con uno slancio verso il guerriero, che la abbracciò sollevandola da terra senza fatica e la baciò appassionatamente.
Per la prima volta sentii pronunciare il suo nome: Vania.
Passeggiarono a lungo, mano nella mano, sempre senza notare la mia presenza. Poi la fanciulla si avvicinò al cavallo e lo accarezzò, avvicinando il suo bel volto a quello dell’animale, restando così, ferma e con gli occhi chiusi, per alcuni istanti. Infine baciò il cavallo sulla fronte e si abbandonò nuovamente tra le braccia del giovane.
Mentre il giovane guerriero le accarezzava i lunghi capelli, la fanciulla svolse la fascia azzurra che teneva stretta intorno alla vita e la legò stretta, dopo averla baciata, al braccio sinistro del suo compagno.

Ho studiato a lungo il significato dei sogni e quello mi appariva estremamente chiaro e semplice. Compresi che quell’incontro preludeva a un distacco e ritenni di aver capito la ragione di tanta malinconia in quegli occhi. Una perdita, grave e definitiva. Il destino dei guerrieri è morire in battaglia, quello delle loro donne attendere e piangerli…
Fu in un mite pomeriggio di Aprile che la rividi.
Stavo raggiungendo il mio solito osservatorio, quando da lontano la notai là seduta. Subito mi nascosi, non volevo spaventarla. Guardava sempre verso la vallata e stringeva in mano una fascia azzurra di seta, coperta di macchie scure.
“Sangue…” pensai. Da quel giorno la rividi ogni pomeriggio, sempre nello stesso posto, e più la osservavo più sentivo il mio cuore ed i miei sensi palpitare. Mi rendevo gradualmente conto, giorno dopo giorno, che in me stava rinascendo qualcosa che ormai da tempo ritenevo sopito: quel rimescolio di ansie, sangue e strane sensazioni, fanciullesca agitazione, palpitar di cuore che colpisce quanti sentono crescere in loro quello strano sentimento che tutti chiamano amore, ma che in realtà nessuno riesce bene a definire, poiché in ognuno di noi si presenta con diverse sensazioni…
Mi rendevo conto dell’assurdità di quella passione che mi stava coinvolgendo, sia perché era una cosa solo mia, in quanto ella ignorava anche la mia esistenza, sia perché ai suoi occhi di fanciulla io non potevo che apparire come un vecchio.
Il rischio che ella mi vedesse ed accettasse come un padre e non come un uomo mi mortificava e mi spingeva a continuare nel tenermi a lei celato. Avevo ormai quasi il terrore che mi scoprisse, ma non potevo più fare a meno ogni giorno di lei.
Mentre il mio amore cresceva ad esso si accompagnava la mia frustrazione. La mia stava diventando un’ossessione e questo faceva torto alla mia razionalità, tanto da portarmi a perdere la stima in me stesso.
La spiavo, l’ascoltavo quando solitaria mormorava tristi parole ai suoi ricordi e il mio cuore, gonfio d’amore e d’amarezza, sembrava scoppiare. Le mie tempie pulsavano e sentivo la tensione dei miei muscoli mentre mi sforzavo, con una volontà ormai sovrumana, di non svelarmi a lei.
Altre innumerevoli volte la vidi alzarsi di scatto, osservare lo stallone lanciato al galoppo nella valle.
Un pomeriggio, mentre ella guardava quel meraviglioso animale, presi la mia decisione.

Non si può andare contro la natura, il prezzo da pagare è troppo alto.
Io però lo feci…
Per amore andai contro ogni legge naturale e divina e strinsi un patto dannato: me stesso in cambio di poche ore con lei.
C’è chi, con sortilegi, cerca di ritrovare gioventù e vigore. Io no, io scelsi qualcosa di ancora più assurdo e disperato: scelsi di diventare per poche ore un cavallo, un bianco destriero da offrire al mio amore…
E divenni un cavallo: per tre ore le mie sembianze mutarono attraverso atroci sofferenze.
Mi recai nel bosco come ogni giorno, ma con diverse fattezze. Ella era al suo posto. Lentamente, scuotendo garbatamente la criniera grigia, mi avvicinai a lei. La vidi trasalire alla mia vista e udii il battito del mio cuore aumentare a dismisura. Mi fermai accanto a lei, il mio muso vicino al suo volto. Vidi le lacrime scendere dai suoi occhi e ringraziai tutti gli dei del cielo e del bosco per quella sua mano poggiata sul mio muso, per quelle carezze…
Poggiò la sua fronte sulla mia e fui io a sentire i miei occhi inumidirsi. Istintivamente mi piegai verso di lei, quasi invitandola a salirmi in groppa… Per oltre un’ora corsi nella vallata con il mio amore su di me, sentendo il suo corpo vibrare e la mia anima sciogliersi ad ogni carezza che la sua mano donava al mio collo. Dimentico del mio nuovo stato assaporai sensazioni indescrivibili di gioia e di felicità. Poi la riportai al limitare del bosco…
Nuovamente sentii la sua fronte sulla mia e l’umidità delle sue lacrime. Infine le sue labbra mi sfiorarono.
“Grazie” mi sussurrò… La vidi voltarsi più volte mentre si allontanava, per salutarmi. Poi non la rividi mai più.

Sto pagando il mio prezzo: una vita senza fine, oltre il tempo.
La morte mi appare a volte così lieve e desiderabile. Poche ore costarono questa triste eternità, ma quelle lacrime, quelle carezze, quel bacio, la felicità che lessi nei suoi occhi mi appagano ancor oggi della mia maledizione, e in questa vita non vita quel ricordo è come luce in un antro, come acqua nel deserto, ed io, l’uomo che ormai vive di ricordi, accetterei mille altre eternità per un solo istante come quello.

 

Autore: Giovanni Bellisario
Messo on line in data: Dicembre 2001