STORICITA’ DEL CRISTO di Lawrence Sudbury

Ma Gesù è mai esistito? Breve analisi delle fonti sulla storicità del Cristo

Negli ultimi anni librerie ed edicole si sono riempite di saggi di varia natura ed orientamento riguardanti la vita di Gesù di Nazareth. Quasi tutte queste pubblicazioni hanno in comune il dare per scontata la storicità di Cristo. Su che basi?
In realtà, affrontando una indagine su qualunque oggetto storico la domanda di fondo, anzi, la domanda preliminare all’indagine stessa deve forzatamente riguardare l’esistenza dell’oggetto di ricerca.

Se, nella maggior parte dei casi, tale domanda diventa non solo preliminare, ma anche unicamente formale data la risposta ovvia (ammettendo, ad esempio, di effettuare una indagine su Ottaviano Augusto, la domanda sulla sua esistenza reale perde di senso nel momento in cui tale esistenza è più che evidente sulla base di migliaia di documenti comprovanti), in alcune occasioni la sua risposta diventa uno snodo di particolare problematicità. Naturalmente, più ci si sposta indietro nel tempo e più tale problematicità è evidente: l’esistenza di Troia, ad esempio, è stata incerta (e, più frequentemente, relegata all’ambito leggendario) fino ai ritrovamenti durante gli scavi di Heinrich Schliemann nel 1872, mentre a tutt’oggi, la questione omerica (l’esistenza storica o meno di Omero) è problema dibattuto tra storici e filologi.

Così come per Omero, anche l’esistenza storica di Gesù non è, sicuramente, un dato pacificamente e universalmente accettato, né, d’altra parte, tali difficoltà devono stupire: metaforicamente, potremmo vedere l’individuazione di un uomo del I secolo in Palestina come il rinvenimento di un piccolo scoglio, sulla cui posizione sono state tracciate mappe approssimative e stilate a memoria da qualche navigante di passaggio, in un oceano vastissimo composto da migliaia di avvenimenti storici, considerati dai coevi ben più importanti e degni di considerazione della sua esistenza.
Tenendo conto di tali difficoltà, tentiamo, dunque, di effettuare una sorta di “censimento” delle “mappe” a nostra disposizione e delle possibili interpretazioni che se ne possono dedurre. Ovviamente, i documenti più ricchi di indicazioni (anzi, i documenti base da cui attingere informazioni) sono i Vangeli (Sinottici, Giovanni, Atti, Lettere) canonici e quelli apocrifi.

Il problema sta, però, nella qualità di tali fonti.
Lasciando anche da parte il nodo relativo alla loro datazione, appare immediatamente chiaro che questi documenti storici presentano un elemento di forte discrimine: sono tutte fonti strutturalmente di parte. Conseguentemente, utilizzare questi testi come fondamento unico sulla esistenza o meno del protagonista della loro narrazione diventa obiettivamente impossibile: sarebbe come se, spostando il discorso ad una prospettiva laica e mutatis mutandis, un ingegnere studiasse la struttura del motore di una certa macchina sulla base della pubblicità commissionata dalla casa costruttrice. Da qui, le uguali possibilità di interpretazione sia positiva che negazionista.

Se da un lato, da parte degli assertori della fede, si afferma l’impossibilità di sviluppo immediato del cristianesimo in un contesto in cui i coevi non fossero certamente persuasi dell’obiettività, se non per quanto riguarda il racconto almeno per quanto riguarda l’esistenza del protagonista, del testo evangelico[1], dall’altro i negazionisti obiettano che:

– nessuna prova storica inoppugnabile può essere portata a suffragio della presunta esistenza di Gesù e “quod gratis adfirmatur, gratis negatur”[2];
– se Gesù fosse realmente esistito, avremmo molte più testimonianze extra-evangeliche della sua predicazione[3];
– la vita di Gesù appare davvero troppo “costruita” nei Vangeli: impersona tutto ciò che un coevo dell’Impero romano avrebbe voluto trovare in un uomo-Dio: probabilmente si tratta di una serie di leggende unite, amalgamate nel primo secolo ed esposte in forma didascalica attribuendole ad un solo uomo[4]. In sostanza, come afferma Messori[5] riguardo a questa posizione, Gesù sarebbe un Dio che si è fatto uomo solo simbolicamente;br> – infine, Gesù sarebbe solo una rinominazione di divinità precedenti, Mitra[6] o il Sol Invictus[7] o Dioniso[8] tra gli altri , di cui eredita elementi simbolici e caratteristiche, attualizzandoli e rendendoli più consone alle popolazioni mediorientali e protoimperiali.

Tutte queste posizioni negazioniste hanno certamente una loro validità di fondo: è vero che Gesù, nella sua versione evangelica, sembra effettivamente assommare, omogeneizzare e rendere più fruibili alcuni elementi teologici già pre-esistenti a livello di culti popolari romani ed ellenistici, unificandoli in una figura “troppo perfetta” per essere vera (ma, si potrebbe obiettare non potrebbe comunque essere la perfezione di un Messia ad essere lontana dai canoni umani normali?). Soprattutto ciò che stupisce è il mutismo dei contemporanei rispetto ad una figura di pensatore che avrebbe cambiato il corso della storia.

Ma è poi così vero che questo mutismo è stato assoluto? In realtà, qualcosa è stato scritto, nel periodo immediatamente o quasi immediatamente successivo alla morte di Gesù. Molto poco per la verità: è stato calcolato che solo circa 24 righe di testi del I secolo parlino direttamente di Gesù[9] e spesso solo marginalmente, mentre qualche altro testo si rifà molto alla lontana alla sua predicazione.
La presenza, anche solo di sfuggita, di brevi citazioni riguardanti Gesù su testi non esplicitamente cristiani (ed anzi, nella maggioranza dei casi anti-cristiani), è, però, fondamentale: perché dei non-cristiani avrebbero dovuto parlare di uno dei cento predicatori palestinesi del tempo, senza schernire chi credeva in un mito, ma anzi, dando per assodato il riferirsi ad una storia ai tempi ben conosciuta?

Proviamo a dare una rapida scorsa a questi testi extra-cristiani per cercare di capire meglio cosa ci possono dire. Le prime chiare testimonianze storiche sulla persona di Gesù, ci sono state tramandate dallo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio (37-103 circa), che fu prima legato del Sinedrio, governatore della Galilea e comandante dell’esercito giudaico nella rivolta anti-romana, ed in seguito consigliere al servizio dell’imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito.
Nella sua opera Antichità giudaiche (93-94), nella quale narra la storia ebraica da Abramo sino ai suoi tempi, egli fa un accenno indiretto a Gesù; l’occasione gli è fornita dal racconto della illegale lapidazione dell’apostolo Giacomo (detto tradizionalmente il Minore), che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta nel 62, descritta come un atto sconsiderato del sommo sacerdote nei confronti di un uomo virtuoso:

Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione[10].

Nulla in questo passo ci viene detto di Gesù, ma la sua esistenza viene data come assolutamente ovvia, scontata, da un ebreo come Giuseppe Flavio, ex-fariseo, che al momento della crocifissione doveva avere all’incirca trent’anni e vivere a Gerusalemme: probabilmente è la più importante testimonianza storica sulla esistenza reale di Gesù.

Al contrario, decisamente da rigettare è un altro passo delle Antichità, quel famoso Testimonium Flavianum che così recita:

Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato ai divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani[11].

Si tratta, piuttosto chiaramente, di un frammento spurio e fortemente interpolato, come dimostrato, tra gli altri, da Burkitt e Von Harnack[12]: sarebbe stato del tutto impossibile per un ebreo osservante, per quanto successivamente romanizzato, fare affermazioni quali ipotizzare una divinità altra rispetto a Jahvè, parlare di resurrezione senza ironizzarvi e creare collegamenti tra Profeti ed un uomo che, forse, aveva visto morire in croce!
In realtà, però, un manoscritto arabo (citato nella Storia universale scritta nel X secolo in Siria dal vescovo cristiano Agapio di Ierapoli), riporta una versione emendata di questo brano, in cui, comunque, appare la figura storica di Gesù.
Ecco come si presenta il testo di Agapio:

Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie[13].

Alla luce, comunque, delle possibilità di dubbio che possono anche in questo caso sorgere, è meglio non approfondire l’analisi di questo dato, per passare, invece, ad una testimonianza storica decisamente ben più incontrovertibile: quella di Tacito.
Ecco cosa troviamo negli Annales:

Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso[14]

Cosa possiamo dire di questo testo? Sappiamo che il grande storico romano (54-119), pretore, oratore, consul suffectus e proconsole in Asia, scrisse attorno al 112 i suoi 16 libri di Annali, che narrano la storia romana dalla fine del principato di Augusto (14 d.C.) alla morte dell’imperatore Nerone (68). Di fatto, dunque, cominciamo già ad essere un po’ più lontani dagli avvenimenti narrati (circa ottant’anni…) e, comunque, sicuramente non abbiamo a che fare con un testimone oculare o che possa avere ottenuto riferimenti di prima mano. Il dubbio principale è, quindi, che Tacito riporti sostanzialmente un racconto ottenuto da cristiani (a cui, però, come appare evidente, non tributa alcuna stima) che gli abbiano riferito la vicenda del loro Dio.

Sappiamo, altresì, che Tacito raccoglie le notizie con molta circospezione, al punto che talora si è potuto con buon esito riconoscere i documenti preesistenti di cui egli si è valso e in qualche modo stabilire le derivazioni delle notizie riferite.
Il fatto che Tacito non usi le classiche espressioni del “sentito dire”, quali ferunt, tradunt (si dice, si racconta) ci fa pensare che egli attingesse a fonti piuttosto sicure: per la sua posizione politica, aveva accesso agli Acta Senatus, ovvero i verbali delle sedute del senato romano, e gli Acta Diurna Populi Romani, ovvero gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno per giorno, ma, in realtà, nulla possiamo sapere delle sue fonti nello specifico[15], il che, ancora una volta, può lasciare adito a qualche remora, sebbene si sia propensi a dar credito alla grande professionalità storica dell’autore.

Maggiori remore può provocare il seguente brano di Plinio il Giovane:

… Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.
Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo.
Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti…[16]

Non solo, infatti Plinio, che, governatore in Bitinia, scrive a Traiano nel 111 per avere ragguagli sul comportamento da tenere per estirpare la pericolosa eresia cristiana, non sa assolutamente nulla di Gesù come persona, ma anzi, appare evidente che tutte le sue informazioni sono di seconda mano e, probabilmente, provenienti proprio dai cristiani che sta interrogando.
Situazione simile si ritrova per quanto riguarda la brevissima citazione di Svetonio, tratta dalla sua Vita dei dodici Cesari redatta intorno al 120, quando, parlando dell’imperatore Claudio afferma:

Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine[17].

A parte l’errore tra Cresto e Cristo, che, con tutta probabilità, deriva dalla uguale pronuncia latina delle parole greche Chrestos (buono) e Christos (unto), ancora una volta ci troviamo di fronte ad elementi che, forse tratti dagli Archivi Imperiali, riguardano principalmente i seguaci di Gesù e non Gesù stesso e che, conseguentemente, non danno una assoluta certezza sulla sua esistenza.

Ancora più incerta è l’autorevolezza come fonte probante di un’opera scritta intorno al 150 d.C., dal palestinese martire cristiano Giustino, dal titolo Dialogo con il giudeo Trifone[18], che accusa i dottori giudei di diffondere dovunque calunnie e bestemmie su Gesù. In questo suo scritto egli sostiene un dialogo con l’ebreo Trifone, volendo convincere l’interlocutore sull’importanza della fede cristiana e di come essa sia la prosecuzione della religione ebraica e il suo completamento.
Nel Dialogo è riportato il seguente detto su Gesù che circolava ai tempi di Giustino negli ambienti giudei, e che, a detta di alcuni storici di matrice cristiana[19], dimostrerebbe come gli ebrei sapessero dell’esistenza di Gesù, della sua crocifissione, e di come i suoi discepoli “avrebbero costruito” la storia della risurrezione:

E’ sorta un’eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli l’avevano sottratto di notte dal sepolcro dove era stato deposto una volta schiodato dalla croce e ora andavano ingannando gli uomini affermando che era ridestato dai morti ed era salito al cielo[20]

L’evidente matrice apologetica dello scrittore finisce, ovviamente, per togliere credibilità (naturalmente solo sul piano storico ed in relazione alla domanda sull’esistenza o meno di Gesù che ci siamo posti) alla sua testimonianza che, per altro, avrebbe già in sé connaturate tutte le obiezioni di ogni “relata refero”.
Se queste sono le maggiori fonti del I secolo[21] di cui disponiamo, cosa possiamo, infine, dire sull’esistenza storica di Gesù?
In fin dei conti, forse l’ unica testimonianza di reale entità che abbiamo è quella breve frase di Giuseppe Flavio relativa a Giacomo. Eppure, quella frase ha una tale forza probatoria che possiamo azzardarci a rispondere alla domanda iniziale riguardante l’esistenza storica di Gesù con un SI’ al 95%.

Perché attribuire una tale forza ad una semplice frase? Semplicemente perché dimostra una informazione diretta, di prima mano, da parte di chi non aveva nessun interesse politico, storico o religioso nel citare un uomo che, in quel periodo, come dimostrato proprio dalla scarsità di fonti in nostro possesso, il mondo conosciuto semplicemente ignorava.
Né, d’altra parte, questo disinteresse deve anche solo minimamente stupire. La predicazione di Gesù era un fatto locale di una piccolissima e sperduta provincia dell’Impero romano, un dato forse di qualche importanza per un breve periodo in Palestina, ma relegato alla “cronaca locale” come elemento quasi di routine in una terra in cui predicatori e presunti Messia spuntavano quotidianamente, all’interno di un universo come quello imperiale che doveva presentarsi come un crogiolo di infinite posizioni filosofiche e religiose.
Ecco allora che l’affermazione di un fariseo (quindi, secondo l’accezione comune, nemico di ogni eresia messianica) quale Giuseppe Flavio riguardo all’uomo Gesù, per quanto voce isolata, diventa fondamentale se non altro per fornirci un dato di certezza quasi assoluta (il quasi, in realtà, è pressoché pleonastico, ma lasciamo almeno un piccolo spiraglio al dubbio storico che deve sempre presiedere qualunque ricerca): storicamente Gesù è esistito!

 

Autore: Lawrence Sudbury
Messo on line in data: Maggio 2008

 

Note

[1]Cfr. ad esempio, G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Milano, Tuminelli Editore, 1932, passim, e L. Latourelle, A Gesù attraverso i Vangeli, Assisi, Cittadella, 1979, passim
[2]Cfr, ad esempio, B. Russel, Perchè non sono cristiano, Longanesi, 1987, pgg. 21 ss
[3]Cfr., ad esempio, G.A. Welles, Did Jesus exist?, Londra, Prometheus Books, 1986, passim
[4]Cfr, ad esempio, P.L. Couchoud, Histoire de Jésus, Parigi, PUF, 1956, passim
[5]Cfr. V. Messori, Ipotesi su Gesù, Torino, SEI, 1976, pag.125
[6]Cfr., ad esempio, R.M. Price, Deconstructing Jesus, New Jersey, Prometheus Books, 1997, passim
[7]Cfr., ad esempio, J. Dupuis, Verso una teologia del pluralismo religioso, Roma, Queriniana, 1997, passim
[8]Cfr., ad esempio, T.Freke, P.Gandy, The Jesus Mysteries, New York, Harper Collins, 1999, passim
[9]Cfr. Theissen-Mertz, Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia 1999, pg. 123-124
[10]Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XX, 200
[11] Giuseppe Flavio, citato, XVIII, 63-64
[12]Cfr. Christianismus, www.christianismus.it
[13]Traduzione tratta da J. Maier, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994, p. 65, riportata in Christianismus, citato

[14]Tacito, Annales, XV, 44
[15]Cfr. Christianismus, citato
[16]Plinio il Giovane, Epistule, X, 96, 4-9
[17]Svetonio, Vita Claudii, XXIII, 4
[18]Forse il famoso Rabbi Tarphon, come interpreta Maier, citato, pgg. 219-220
[19]Ad esempio G. Spinella, www.gesustorico.it, et alii
[20]Giustino, Dialogo con Trifone, 108,1
[21]Altre, quali Celso, Apuleio, Frontone, Adriano, Luciano di Samostrata, Petronio etc. sono più lontane nel tempo e toccano il nostro argomento di discussione in modo ancora più velato e marginale.