ERBE MAGICHE: LA VERBENA di Katia

Nella notte del Solstizio d’Estate la pianticella più ricercata è un’erba dai fiori azzurro-violacei; una pianticella umile, ma talmente magica che gli indovini, nel Medioevo, le attribuivano delle proprietà a dir poco miracolose, e per questo fu chiamata anche “erba del Mago”: la Verbena.
Detta anche “artiglio dei diavoli”, veniva bruciata per mettersi in sintonia con l’universo, per evocare gli spiriti, aumentare le facoltà profetiche e lanciare incantesimi, ed infine per preparare potentissimi filtri d’amore.

La Verbena, simbolo di pace e prosperità, veniva anche usata come talismano; sminuzzata, era messa in un sacchettino, che veniva poi appeso al collo contro mal di testa e morsi d’animali velenosi. Per risvegliare la passione amorosa e donare armonia alla propria vita sentimentale, si usava l’infuso; si narra che le giovani spose il giorno delle nozze portassero con sé un mazzetto fiorito di verbena, che le avrebbe aiutate a superare la prima notte.

Antiche opere di magia descrivono una curiosa formula per l’amore: si prende una pianta di Verbena, una volta triturata si strofina leggermente il ricavato sulla mano sinistra, poi con la stessa si segna il simbolo della croce sulla propria fronte, successivamente su quella della persona amata, recitando questa formula:
“Catos, si accordi il tuo desiderio con il mio, come quello di San Giuseppe con Maria, nel nome del Padre del figlio e dello Spirito Santo così sia”.

Nel disegno sotto, cinque qualità di verbena

Anche le streghe di Salem usavano una mistura a base di Verbena per attirare le persone interessate.
Il leggendario Nostradamus suggeriva di raccogliere la Verbena nella notte solstiziale, onde preparare un talismano per realizzare “buoni viaggi”; nella Bibbia della Magia troviamo il suo rituale:

Per i buoni viaggi cogliete, all’indomani di Pentecoste, un ramo di Sambuco e ricavatene un bastone. Togliete il midollo e, dopo aver chiuso un’estremità, infilate nell’altra due occhi di lupo, lingua e cuore di cane, tre ramarri, tre cuori di rondine. Colmate con salnitro e con sette foglie di Verbena raccolte nella notte di San Giovanni, e una pietra di diversi colori. Chiudete il buco con un pomello d’avorio ricavato dalla zanna di un elefante che non abbia più di un anno di vita, e infine il bastone è pronto. Con esso sarà possibile intraprendere ogni viaggio senza pericolo; eviterete cattivi incontri, il morso delle vipere, dei cani e delle bestie feroci“.

Sinceramente un po’ macabra come formula per un tranquillo viaggio!
Comunque, anche Nostradamus, uno dei più famosi chiaroveggenti, usava nei suoi formulari la pianta della verbena.

I Druidi la usavano per addobbare gli altari e la aggiungevano alla loro acqua lustrale. Gli antichi guerrieri germani la chiamavano “erba di ferro” ed attribuivano a questa pianticella la capacità di allontanare gli influssi negativi; cospargevano le loro spade con il suo succo, come protezione dagli spiriti maligni.
Nella mitologia egiziana la pianticella della verbena era dedica ad Iside, poiché era nata dalle lacrime della dea, che, affranta, piangeva la morte di suo marito Osiride.
Un’antica leggenda cristiana racconta come questa pianta fosse spuntata sul monte Calvario e per questo la verbena fu considerata divina; quando la si coglieva, si formulava un incantesimo:

Tu sei santa, Verbena, come cresci sulla terra,
perché in principio sul Calvario fosti trovata,
tu hai guarito il Redentore e hai chiuso le sue piaghe sanguinanti,
in nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo ti colgo“.

Con queste parole veniva colta la verbena, per le sue grandi virtù curative, e da allora prese anche il nome d’erba Crocina o erba Sacra. Nella liturgia della festività dedicata all’Assunzione di Maria, la verbena era usata per la benedizione delle chiese; in quell’occasione si sviluppò il rito della consacrazione delle erbe, affinché le loro proprietà curative fossero protette dal maligno e dai poteri delle tenebre.

Il nome di quest’erba sembra derivi dal celtico ferfaen, cioè portar via le pietre, probabilmente perché veniva impiegata per i dolori renali, nonché per il trattamento dei calcoli.
Nicholas Culpepper, medico erborista, nel corso del XVII secolo registrò che le foglie sminuzzate di verbena, unite all’aceto, purificavano straordinariamente la pelle; inoltre le raccomandava per trattare casi d’itterizia, tosse, febbre, peste e, come citato sopra, per i calcoli renali. Anche Ippocrate raccomandava la Verbena per le sue straordinarie qualità terapeutiche, infatti fu definita “gioia del semplicista“.

Curarsi con la Verbena

Le qualità terapeutiche di questa pianta sono degne di considerazione; essa possiede un’azione antidepressiva, sblocca l’energia ristagnante donando equilibrio, facilita la digestione e stimola la funzione del fegato, è ottima come antinevralgico nella terapia dell’emicrania e aiuta la concentrazione; a questo proposito si racconta che abbia la virtù di risvegliare l’intelligenza.
La Badessa Hildegarde von Bingen, umile monaca, grande mistica ed erborista-guaritrice del Medioevo, prescriveva un rimedio per il sangue intossicato: un decotto di Verbena e vermouth.
Nella tradizione erboristica popolare si prescrive questa pianta alle madri che allattano, perché pare che aumenti la montata lattea, mentre durante il travaglio è somministrata per aumentare l’intensità delle contrazioni.

Autore: Katia
Messo on line in data: Dicembre 2003
Il disegno piccolo è opera dell’Autrice.