SPIRITUALITA’ ORIENTALE: IL BUDDHISMO di Gaetano Dini

Buddha e il Buddhismo

“Buddha” è un nome indiano che significa l’Illuminato, col quale è universalmente noto il principe indiano Gautama Siddharta. Gautama nacque nella prima metà del VI sec a.C. Suo padre era re di un piccolo stato situato nella zona meridionale dell’odierno Nepal, quello della popolazione Sakya e aveva la propria capitale nella città di Kapilavastu. L’Illuminato nacque nel parco di Lumbini mentre sua madre si recava alla propria casa natale.
La giovinezza del principe trascorse a corte, tra agi e piaceri, perché il padre poneva ogni attenzione a che qualsiasi spettacolo della miseria umana potesse amareggiare il figlio. Nel corso di una passeggiata Gautama però incontrò un vecchio, un malato, un cadavere e infine un asceta. Questi incontri lo fecero riflettere sulla miseria dell’esistenza umana e sulla via per sfuggirvi. Nonostante la nascita di un figlio, Gautama decise di abbandonare la famiglia e la reggia paterna. La decisione di abbandonare il mondo, nella tradizione buddista viene chiamato “il ruggito del leone e la partenza”. Gautama si recò ad ascoltare l’insegnamento dei più venerati maestri del tempo. Quindi si sottopose ad un regime di ascetismo rigorosissimo e doloroso, seguendo la tradizione del Bramanesimo contemporaneo. Dopo sei anni, non avendo ancora ricevuto l’illuminazione, Gautama rinunciò alle asprezze dell’ascetismo e si dedicò alla meditazione secondo la “via mediana” che rifuggiva sia da piaceri e passioni sia dalla pratica delle austerità innaturali.

Attraverso la meditazione nel Bosco di Bodh Gaya, Gautama giunse alla scoperta della “Legge di Causazione” che regge l’universo, divenendo pertanto l’Illuminato. Cominciò allora il periodo della predicazione con la celebre prima predica di Benares, in cui è esposta la dottrina delle quattro Nobili Verità e dell’Ottuplice Sentiero.
Il successivo periodo della sua vita segnò la conversione alla nuova dottrina di monarchi e popoli e vide la creazione dell’ordine monacale (Sangha).

A 80 anni l’Illuminato entrò nel Nirvana mentre si trovava con i suoi discepoli a Kusingara. Per quanto sia difficile dire fino a che punto la tradizione canonica rispecchi avvenimenti reali, la storicità della figura del Buddha non è mai stata messa in dubbio dalla critica contemporanea.

Il Buddhismo (Casa Editrice Vallardi – Milano)
Dottrina religiosa che prende il nome dal fondatore, Gautama Siddarta detto il Buddha (Illuminato). Sviluppatosi nell’India del V sec. a.C. il Buddismo rappresenta un movimento rinnovatore e riformatore all’interno dell’antica religione rramanica, fondata essenzialmente sui Veda. Non è agevole determinare dove il Buddismo abbia accolto dottrine preesistenti e dove incominci l’apporto innovatore e rivoluzionario dell’insegnamento del Buddha. La tradizione prebuddista presupponeva l’esistenza del binomio Individuo e Assoluto mentre  il Buddismo nega l’esistenza di un’anima individuale. Il Buddismo non accetta i Veda come testi sacri in quanto si rifiuta di osservare la loro rigida suddivisione in caste della società.

Caratteristico della religione buddista è il non riconoscere il principio di un ordine ontologico (ad es. il Dio delle religioni del libro o i vari Pantheon religiosi). Il pensiero buddista si basa infatti sulle Quattro Nobili Verità e sull’Ottuplice Nobile Sentiero.
Le prime affermano:
a) l’universalità del dolore: la nascita, la vecchiaia, la malattia, la morte.

b) la causa del dolore: la bramosia che provoca la catena delle rinascite, costituita dalla passione, dal desiderio, dall’attaccamento per le apparenze che popolano il mondo.
c) la cessazione del dolore: essa è ottenuta con la cessazione del desiderio e della passione e con il raggiungimento di  uno stato di completo oblio e non attaccamento.
d) la via che porta alla cessazione del dolore: essa si compendia nell’Ottuplice Sentiero che precisa gli otto comandamenti della pratica religiosa dei buddisti, prescrizioni per una vita moralmente retta e per una meditazione esente da influenze materiali e da desideri individuali.

Nello specifico le Quattro Nobili Verità:
La prima Verità insegna che la vita è dolore, nascita, malattia, vecchiaia, morte sono dolore.
La seconda Verità insegna che il dolore ha origine nella sete di piacere, di esistenza, nell’attaccamento agli esseri ed alle cose.
La terza Verità insegna che la sete dell’esistenza può essere soppressa distruggendo il desiderio, rinunciandovi. Si raggiunge così il Nirvana.
Lo stato di cessazione del dolore, costituisce il Nirvana, stato di annullamento totale dell’individualità e che si contrappone alla mutevole impermanenza dello Samsara, termine che indica il mondo attuale in tutte le sue specificazioni ed apparenze.
La quarta Verità spiega come spegnere la sete dell’esistenza. E’ il cammino che porta al Nirvana con il metodo della Via Media, che evita i due estremi, la ricerca della felicità nella dipendenza dei piaceri dei sensi o nella mortificazione ascetica.

Questa Via Media è chiamata anche Nobile Ottuplice Sentiero, poiché comporta otto sviluppi. Essi sono legati tra loro e ciascuno aiuta a coltivare gli altri. Nello specifico, l’Ottuplice Nobile Sentiero:
– La Retta Fede, cioè l’incondizionata adesione alle quattro Nobili Verità.

– La Retta Risoluzione, cioè l’impegno a tenere lontano da sé ogni desiderio, odio e malizia.
. La Retta Parola, cioè l’astensione dalle parole false.
– La Retta Azione, cioè l’astensione dall’uccidere esseri viventi, dal furto e dall’adulterio.
– Il Retto Comportamento di vita, cioè la pratica di tutte le norme che riguardano l’agire.
– Il Retto Sforzo, cioè la volontà di incrementare le qualità buone.
– Il Retto Ricordo, cioè la condizione della mente priva di confusione che aiuta a perseverare nella via della salvazione ed a non cedere ai desideri.
– La Retta Concentrazione, cioè il raccoglimento della mente che disperde la falsa concentrazione e porta allo stato di abolizione della coscienza e della non coscienza.

Il Buddismo storico si fonda su tre elementi: il Buddha, fondatore della dottrina e manifestazione terrena dell’Assoluto; il Dharma che sta ad indicare la legge che governa il mondo e quindi la religione buddista stessa in quanto osservante tale legge; il Shanga, la comunità dei monaci. Principio fondamentale del Buddismo è la convinzione che la causa fondamentale del dolore non risieda in una deficienza della Volontà (come nel caso del peccato delle religioni del Libro), ma in una deficienza della Conoscenza. Nei primi secoli dell’era volgare si formarono due Scuole distinte, quella Hinayana e quella Mahayana. Questa si differenzia dall’altra per la sostituzione dell’ideale di Arhat, cioè colui che raggiunge la salvezza personale con l’ideale di Bodhisattva, colui che rinuncia all’entrata nel Nirvana per aiutare i suoi simili; quindi enfasi sulla compassione a discapito della saggezza ed enfasi inoltre sugli Upaya, ossia tecniche psicologiche che facilitano il raggiungimento della salvezza. 

Dopo la morte del Buddha sono stati tenuti sei concili dell’ordine. Secondo la tradizione, il primo Concilio sarebbe stato tenuto a Rajagrha, subito dopo la morte di Budda. Il secondo Concilio fu tenuto a Vaisali, circa un secolo più tardi. Il terzo Concilio si svolse a Pataliputra. Il quarto Concilio fu tenuto verso il 100 d.C. Il quinto e sesto Concilio si tennero in Birmania (Mandalay nel 1871 e Rangoon nel 1954).
Al momento della scomparsa del Buddismo in India, molti testi andarono perduti giungendo fino a noi solo attraverso le traduzioni tibetane e cinesi. Dopo il 550 d.C. in India infatti ebbe origine una forma di Buddismo tantrico che si diffuse in Tibet e Mongolia. Esso arricchì la letteratura canonica dei Tantra, testi segreti scritti in linguaggio ermetico, difficilmente comprensibili e destinati a pochi iniziati ed interpretabili solo sotto la guida di un esperto maestro.

In Cina dal VII/VIII secolo d.C. sorsero numerose sette buddiste (13 secondo la tradizione), di cui le più importanti sono la Hua-yen (scuola della Ghirlanda, caratterizzata da alcuni aspetti tantrici), la T’ien T’ai (dal monte dove aveva sede la setta, con caratteri sincretistici basati sul Sutra del Loto), e la Ch’an (scuola della meditazione che portò il Buddismo a conseguenze strane e paradossali tra cui una scarsissima considerazione per i testi canonici).
Le sette buddiste giapponesi si rifanno a precedenti cinesi ma spesso con diversa fortuna e con rinnovata originalità teoretica. Basterà citare la setta Shingon (della vera parola), di ispirazione tantrica; le scuole amidiste che ripongono ogni speranza di salvezza nella fede per il Buddha Amida; le scuole Ch’an già presenti in Cina e che assumono in Giappone il nome Zen.
Infine l’unica scuola autoctona, quella di Nichiren, in cui l’ispirazione buddista risente di echi locali non buddisti.

Adi Buddha
Dio supremo creatore di ogni cosa. Adi Buddha, sprigionandosi dalla sua unità, avrebbe moltiplicato il proprio essere divenendo causa dell’esistenza di tutte le cose. Gli altri elementi fecondatori della vita universale sono sorti dal primo (Adi Buddha). Da Adi Buddha sono derivati infatti altri 5 Buddha e da ognuno di questi un Figlio Spirituale, uno dei quali, Padmapani, avrebbe creato il mondo e gli dei Brahma, Visnù, Siva.

 Buddhismo Zen
Corrente buddista giapponese. Fu un principe indiano, Bodhi Dharma, che giunto nel 520 d.C. a Canton come monaco, a introdurre in Cina lo Zen, in origine chiamato Dhyan cioè meditazione nel riposo supremo, chiamato in cinese Ch’an. Lo Zen penetrò in Giappone ad ondate successive, la prima nel periodo Kamakura, come Zen nella sua forma Rinzai. Successivamente lo Zen si sviluppò nella sua forma Soto.
Lo Zen nella sua forma Obaku si sviluppò in Giappone nella metà del 1600.

Difficile è definire lo Zen in quanto non pretende di teorizzare nulla, non ha rituali, effigi, né possiede una concezione della divinità, sovannaturale o immanente che essa si voglia. Lo Zen consiste in una disciplina dell’Io che l’uomo non può apprendere da nessun insegnamento esterno e che deve esercitare su di sè al fine di afferrare quella illuminazione che è in lui, come in tutti, fin dalla nascita. In questa azione di illuminazione dell’Io, l’uomo non può servirsi né delle azioni né dei ragionamenti che invece contribuirebbero a portarlo lontano dall’obiettivo. Deve anzi liberarsi da tutte le sovrastrutture acquisite se vuole raggiungere l’Essenziale, o Zazen, che consiste nello stare seduti a gambe incrociate a meditare. 

Lo Zazen non va inteso come pratica di meditazione in cui si approfondiscono determinati problemi ma come forma di dialoghi paradossali che si svolgono tra discepolo e maestro intesi come pratica di purificazione del pensiero dalle categorie concettuali erronee per attingere allo stato di Buddha che si può manifestarsi in noi. La forma di Zen conosciuta come Rinzai è quella più schietta, intransigente e meno incline a contaminazioni, fatta propria dalla classe dei samurai che ne trasferirono lo spirito nel Bushido (la via del guerriero), breviario di quella classe. Tanto dallo Zen Rinzai che dallo Zen Soto nascono la cerimonia del te, l’arte di disporre i fiori, la pittura di Sesshu (1420 – 1506) e il No, genere teatrale che non solo trae il suo spirito dallo Zen, ma ne fa il centro di molti suoi drammi. Una definizione dell’essenza Zen si può trovare nella poetessa Kamachi: “Nulla vi è di reale. L’uomo non è separato dal Buddha. L’apparenza di una separazione è voluta per il bene degli umili e degli ignoranti che Egli ha voluto salvare”.

Il Codice buddhista
Con il crescere dei discepoli che si facevano monaci, fu fondata la comunità buddista, il Sangha. Col tempo sorse la necessità di redigere un codice di comportamento per i monaci che ne regolasse  i vari momenti di vita quotidiana.
Il Buddha passò le prime tre stagioni delle piogge dopo l’illuminazione all’aperto. Alla fine della terza stagione un ricco mercante si offrì di costruire delle capanne come alloggi per i monaci che fino ad allora avevano vissuto all’aperto al riparo di alberi, o sotto delle rocce o dentro a delle caverne naturali. Il Beato non si oppose e così furono costruite delle capanne per il Sangha.
Altri mercanti e anche re locali finanziarono la costruzione di altri monasteri per la comunità.

Avendo adesso dei monasteri a disposizione, il Venerabile diede disposizione che i monaci durante le stagioni delle piogge dovessero rimanere nei monasteri in meditazione. Istituì anche la regola che i membri del Sangha, se volevano, potevano vivere all’aperto o in ripari per otto mesi all’anno, ma durante la stagione delle piogge dovevano avere una dimora fissa.
Una volta il Buddha vide un monaco ammalato abbandonato dagli altri monaci che lo avevano dato per spacciato. Curò il monaco e poi stabilì che in caso di malattia i monaci dovessero aiutarsi l’un l’altro.

Stabilì inoltre che i monaci potevano accettare in regalo stoffe per le loro tuniche e potevano mangiare carne e pesce solo se c’era la certezza che gli animali non fossero stati uccisi espressamente per cibare loro.

Se non era stato invitato a pranzo da qualche capo-famiglia, alle prime luci del giorno Buddha prendeva la ciotola e si dirigeva verso l’insediamento più vicino per la questua.
Era accompagnato da diverse centinaia di monaci. Per la questua iniziava dal fondo di una strada e passava casa per casa, permettendo così a tutte le persone di ogni estrazione sociale di offrire cibo al Sangha.

Quando si trovava sulla soglia di una casa restava in silenzio con la ciotola in evidenza. Se gli veniva dato del cibo, accettava in silenzio qualsiasi cosa gli venisse offerta, se invece dopo alcuni minuti non gli veniva offerto nulla, se ne andava in silenzio. Così facevano anche i monaci. Tutti poi tornavano al rifugio per consumare l’unico pasto della giornata, terminato prima di mezzogiorno. Se invece c’era un invito a pranzo da parte di qualche capo-famiglia, il Buddha e il Sangha non facevano la questua, ma pranzavano dal loro anfitrione concludendo il pranzo prima di mezzogiorno.
Siccome l’arrivo di tanti monaci in una casa per la questua causava difficoltà logistiche e spesso il risentimento da parte dei capi-famiglia, l’Illuminato redisse la regola che limitava a tre il numero di monaci che potevano accettare contemporaneamente l’invito in una casa.
Durante un periodo di carestia la gente potè offrire alla Comunità solo la crusca per i cavalli e così il Sangha, macinandola finemente, si adattò a cibarsene.

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Settembre 2018