CALIPSO E ULISSE di Gaetano Dini

Mitologia dei Greci: Calipso e Ulisse

Calipso, dea del mare, nell’Odissea è figlia del titano Atlante, reggitore del mondo, che in altre tradizioni mitologiche greche è anche padre delle ninfe Esperidi, custodi del Giardino dei Pomi d’Oro, simboli di sapienza.Calipso, figlia di un padre così illustre, vive nell’isola Ogigia posta sul mare dal dio dell’Età dell’Oro, Crono, da cui prende il nome il “mare Cronium” posto nella parte settentrionale dell’Atlantico. Ogigia rappresenta quindi la mistica isola di Thule, l’isola di Mezzo, l’Omphalos greco, l’isola degli Immortali.
L’isola di Thule si trova nel mare che bagna la terra degli Iperborei, isola che Plutarco nel suo De faciae in orbe lunae dice trovarsi a nord della Gran Bretagna in prossimità di quel luogo artico dove dorme Kronos, re dell’età aurea e da dove i ceppi Achei di lì originari portarono in Grecia l’Apollo delfico.

Nella grande grotta dell’isola Ogigia vive Calipso e lì la dea canta con voce soave. E’ questo un canto di carme sacro, canto di conoscenza e sapere.
E mentre canta la dea lavora al telaio e tesse con le sue ancelle, simbolicamente governa il fluire del tempo.
Dentro la grotta, nel camino, ceppi di cedro e larice ardono ed alimentano un fuoco sacro, fuoco di conoscenza divina. Quella di Calipso è infatti una Caverna iniziatica ed è necessariamente luminosa in quanto rappresentazione di Centro spirituale.
Caverna quindi come Cuore del mondo, simbolo di Centro micro e macrocosmico. Caverna inoltre la sua come luogo nascosto, coperto ai profani.
Infatti il nome Calipso viene dal verbo greco “Kalupto” che significa “coprire, nascondere, occultare, avvolgere”.
L’iniziazione spirituale già da allora non era accessibile a tutti gli uomini, ma solo a uomini scelti come lo era lo scaltro Ulisse.

Tutt’intorno all’entrata dell’Antro è arrampicata una grande vite domestica con tralci colmi di grappoli d’uva. Intorno allo “Speco” ci sono prati umidi di petrosello (prezzemolo) e viole, pianticella e fiore questi simboli rispettivamente di prosperità e d’amore. E’ presente tutt’attorno anche un folto bosco fatto di pioppi, ontani e cipressi, alberi nobili questi e dal tronco diritto, assiale, tendente all’alto, al cielo.
Ulisse, con il beneplacito della dea ,farà uso di una ventina di questi tronchi per costruire la sua zattera trasformando la loro assialità da verticale di slancio verso l’alto, in orizzontale, in terrena per il suo viaggio nei flutti marini verso il mondo degli uomini, il mondo profano.

Sui rami degli alberi di questa foresta fanno il nido sia uccelli di bosco che uccelli di mare, “le cornacchie ciarliere” come le descrive Omero.
In questa isola incantata il loro è il canto della “Lingua degli Uccelli”, immediata comunicazione con gli stati superiori dell’essere, lingua che Calipso capisce. Lingua che anche Ulisse capisce, iniziato come è stato per sette lunghi anni dalla dea, ma questo linguaggio lui non vuole più ascoltarlo, preso com’è dalla nostalgia del ritorno, dalla nostalgia dell’umano.
Tutto l’ambiente silvestre di Ogigia è permeato dall’invisibile presenza di Dioniso, dio pelasgico figlio di Zeus e della pelasgica Semele, ninfa ctonia di origine tracio/frigia. Ma il dio sull’isola risulta imbrigliato nella sua natura selvatica, risulta sedotto fino a essere divenuto totale dio greco: non dell’orgia, quindi, ma della potenza di elevazione intellettuale e dell’estasi mistica ed iniziatica.
Indizio della presenza del suo nume è la vite domestica che si arrampica su tutta l’entrata della Caverna, la vite che produce il vino elemento ponte questo tra il sacro ed il profano, tra l’umano e il divino e presente da sempre nei riti iniziatici.

L’immanenza del dio si avverte anche nell’ambiente silvestre circostante di prati e di boschi cui Dioniso dona umidità come principio di linfa generatrice. Nell’isola Ogigia ci sono quattro sorgenti da cui nascono quattro fiumi che rappresentano i quattro punti cardinali, regni terrestri subordinati al quinto regno, quello di Mezzo che nell’isola è rappresentato dal sito incantato dove si trova l’Antro di Calipso.
Ulisse, nel racconto dell’Odissea, disdegna da tempo la frequentazione di questo quinto regno, essendo infatti sempre in riva al mare ad agognare l’amato ritorno. Una sorta di regno di Agarthi, quello dell’isola Ogigia, magico regno ancora in superficie e non divenuto simbolicamente sotterraneo.
Paesaggio idilliaco, ma anche misterioso ed inquietante quello dove vive Calipso, paesaggio che mostra analogie sorprendenti con l’Eden biblico.
Dal Giardino dell’Eden sgorgava e usciva un fiume che si divideva in quattro rami fluviali il Tigri, l’Eufrate, il Pison ed il Ghion. Ognuno di questi fiumi irrorava una terra, le quattro terre mentre la quinta terra, quella di Mezzo, quella più nobile era rappresentata dal Giardino dell’Eden. Ed anche in Ogigia ci sono quattro sorgenti da cui si dipartono quattro fiumi. Nell’isola una vite domestica si avviluppa tutt’attorno all’entrata della Caverna e nell’Eden adamico ci sono due alberi: quello della Vita e quello del Bene e del Male all’inizio uniti tra loro, trasmissione e simbolo dei segreti della sapienza suprema.

Ermete messaggero degli Dei viene inviato da Zeus a Calipso per ordinarle di lasciare libero Ulisse di tornare in patria. Il Caducèo che il dio porta con sé è un bastone con attorcigliati due serpenti.
Nella saga omerica questo bastone è simbolo di sapienza, accostabile sia al “Ramo d’Oro” dell’Eneide che al Vischio, pianta sacra ai Druidi, che ai rametti di Palma della festa cristiana simbolo e pegno questi di resurrezione e immortalità.
La ninfa marina apparecchia la mensa a Ermete, suo nobile ospite, e gli serve come cibo Ambrosia e come bevanda Nettare, alimenti questi riservati agli dei.
Dopo il pranzo divino Ermete comunica a Calipso l’ordine di Zeus che lei, come dea minore, è costretta ad accettare.
L’Araldo ha ben portato a termine il suo compito e con i suoi alati calzari spicca ora il volo di ritorno verso l’Olimpo.
Subito Calipso cerca Ulisse e lo trova in riva al mare, perso a scrutare l’orizzonte. Gli racconta la buona novella per lui. I due si recano alla Caverna e le ancelle imbandiscono la tavola per due, Ambrosia e Nettare per la dea, cibo adatto agli umani per Ulisse.

Nell’immagine a lato,
“Ulisse e Calipso” di Arnold Bocklin (1827-1901), Kunstmuseum, Basilea

La mattina dopo Calipso accompagna Ulisse nel punto dell’isola dove crescevano gli alberi più belli e lo esorta a costruire con questi una zattera.
Quattro giorni dura il lavoro di costruzione. Il quinto giorno l’eroe è pronto per partire. La divina Calipso gli fornisce cibo in quantità, un’otre d’acqua e una piena di purpureo vino. Ulisse parte lasciandosi quel mondo alle spalle.
Su indicazione di Calipso, il figlio di Laerte segue nella navigazione la rotta indicata dalla costellazione delle Pleiadi e dalle stelle dell’Orsa, il Carro Maggiore e quello Minore, dove è presente la Stella Polare indicante il Nord. Lasciando questa a sinistra Ulisse naviga quindi verso Ovest, verso casa. Dopo 17/18 giorni di navigazione è in vista di una terra, quella dei Feaci.
Ma Poseidone, suo eterno nemico, suscita una tempesta che sfascia la zattera di Ulisse e lo lascia in acqua per tre giorni quando alla fine l’eroe riesce a nuoto ad arrivare a riva. La storia che trattiamo finisce qui.

I simboli iniziatici

Tra gli antichi Indeuropei il Cinghiale rappresentava l’autorità spirituale e l’Orso quella temporale. Il primo animale era simbolo della classe sacerdotale, il secondo di quella guerriera. Per usare termini sanscriti, la classe sacerdotale era quella dei Brahmani, quella guerriera degli Kshatrya.
Il cinghiale è un animale che vive nelle foreste, nei boschi, e questo ritiro simboleggiava primordialità spirituale come quella che possedevano i Sacerdoti o Brahmani.
Seguire la costellazione dell’Orsa significava per Ulisse non solo solcare il mare allontanandosi da Ogigia in cerca della propria patria ad Est, ma significava allegoricamente allontanarsi dalla condizione sacerdotale per seguire la vocazione del guerriero, del cavaliere.
E’ il suo un passaggio di stato spirituale in senso discendente, decrescente.
Dopo sette anni di permanenza a Ogigia, Ulisse sotto la guida di Calipso è diventato un iniziato, quindi un Sacerdote, uno Sciamano, un Brahmano.
Sette anni ci sono voluti, come sette sono i Manvantara indù dei quali la nostra umanità sta vivendo ora le ultime fasi del settimo.

All’inizio dell’Età dell’Oro greco/romana, corrispondente all’inizio del settimo Manvantara, Ulisse è diventato sapiente, rappresentando così l’umanità di quel periodo. Scegliendo per sé un destino di patria e focolare domestico riconducibile a rotte nautiche, Ulisse sceglie di trasformarsi ontologicamente da Sacerdote in Guerriero, in Kshatrya. Era stato splendido Guerriero nell’Iliade all’assedio di Troia con gli altri Achei.
Nell’Odissea, dopo essere stato trascinato in tanti viaggi e avventure nel mare e dopo aver perso tutto il suo equipaggio, nell’isola Ogigia durante il periodo di sette anni l’Eroe compie, con l’aiuto della dea autoctona, la sua trasformazione spirituale in Sacerdote, in Sciamano.
Le sue precedenti “odissee” marine devono essere considerate come un percorso iniziatico, da Ulisse compiuto e interiorizzato prima che lo stesso percorso venga perfezionato in ascesi sotto la guida di Calipso, dea marina. Ora Ulisse, scegliendo il viaggio di ritorno in patria, decide di ritornare ontologicamente a essere il Guerriero che era stato una volta e da guerriero dovrà poi comportarsi contro i Proci per riconquistare moglie, regno e patria.

L’abbandono di Ulisse dello stato spirituale sacerdotale a favore di quello guerriero adombra il passaggio dell’umanità dall’Età dell’Oro a quella dell’Argento, adombra il passaggio da un’epoca permeata di autorità spirituale solare a un’epoca successiva preludio all’instaurarsi di un’autorità spirituale lunare, quella dei Guerrieri, degli Kshatrya. I viaggi e le peripezie di Ulisse raccontati nell’Odissea sono il tentativo iniziatico dell’Eroe di farsi più che Eroe, di diventare un semidio.
L’acme di questa ascesi si ha con Calipso nell’isola Ogigia. Nel binomio di coppia, Calipso rappresenta nell’Eroe la sua forza interiore ascendente, Ulisse ne rappresenta invece quella discendente, gravitazionale. Odisseo questa apoteosi la raggiunge, la conquista ? Forse sì, ma ad essa rinuncia subito. Calipso è stata sconfitta, Ulisse ha prevalso.

Non sappiamo se durante questi sette anni iniziatici trascorsi sull’isola Ulisse e la dea si siano allegoricamente alimentati dello stesso cibo.
Ma nell’ultima scena omerica che li riguarda, a Ermete e Calispo sulla tavola imbandita vengono serviti Ambrosia e Nettare, cibi divini, mentre a Ulisse sullo stesso desco viene servito solo cibo umano, segno inequivocabile questo della sua rinuncia definitiva all’immortalità.
E Ulisse nel suo commiato di ieri a Calipso sembra dirle queste versi di oggi:
“E piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggeri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude o Ermione”.

Bibliografia
Evola Julius – Rivolta contro il mondo moderno, Ed. Mediterranee
Guenon Renè – Simboli della scienza sacra, Ed. Adelphi

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Novembre 2020