IL CANONE, NICEA E L’IMPERATORE di Lawrence Sudbury

Breve rilettura in chiave storica delle fantasiose teorie di Dan Brown

«[…] Gesù Cristo è una figura storica di enorme influenza, forse il leader più enigmatico e seguito che il mondo abbia conosciuto. Come Messia delle profezie, Gesù ha abbattuto re, ispirato moltitudini e fondato nuove filosofie. Come discendente dei re Davide e Salomone, aveva diritto di rivendicare il trono di re dei giudei. Com’è comprensibile, la sua vita è stata scritta da migliaia di suoi seguci in tutte le terre.» Teabing si interruppe per bere il tè, poi posò la tazza sulla mensola. «Più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento, tra cui quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.»

«Chi ha scelto quali vangeli includere?» chiese Sophie.

«Aha!» esclamò Teabing con entusiasmo. «Ecco la fondamentale ironia del cristianesimo! La Bibbia, come noi la conosciamo oggi, è stata collazionata dall’imperatore romano pagano Costantino il Grande.»

«Pensavo che Costantino fosse cristiano» commentò Sophie.

«Niente affatto» rispose Teabing, con un’alzata di spalle. «E’ stato un pagano per tutta la vita ed è stato battezzato sul letto di morte, quando era troppo debole per opporsi.[…][1]

 

Così, nel Codice da Vinci, uno dei romanzi (troppo spesso erroneamente non considerato come tale) che più ha colpito l’immaginario collettivo negli ultimi anni, Dan Brown illustra la sua visione della nascita del Canone. E, poco oltre, continua: “Costantino sentì il bisogno di rafforzare la nuova tradizione cristiana, e perciò convocò una famosa riunione ecumenica nota come concilio di Nicea”. [2]
Come lungo tutto il suo celeberrimo testo, Brown costruisce affascinanti quadri storici, che, però, solo parzialmente corrispondono al vero. Proviamo ad analizzare un po’ più approfonditamente gli sviluppi che storicamente hanno portato alla formazione di una canonicità evangelica.

Innanzitutto, va subito chiarito che, con ogni probabilità, né Nicea né Costantino il Grande hanno avuto granché a che fare con questo processo. Il primo Concilio ecumenico cristiano, tenutosi a Nicea nel 325, fu effettivamente promosso e presieduto da Costantino, fortemente preoccupato che le continue dispute tra le varie correnti cristiane potessero minare quell’unità imperiale che era stata il principale obiettivo della sua svolta, sancita con l’Editto di Milano del 313 [3], in senso libertario verso i seguaci del Cristo (“Noi, dunque, Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiamo risolto di accordare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità.”)[4]

Costantino, in effetti, quasi certamente non era cristiano, nonostante numerosi racconti fatti circolare in proposito. Il celeberrimo episodio della battaglia di Ponte Milvio (312) e del suo sogno premonitore, [5] sulla base del quale avrebbe fatto apporre sugli scudi dei suoi soldati il monogramma di Cristo vincendo sul suo nemico Massenzio, è quasi sicuramente falso. Molto più probabilmente, non fu il “Crismon” ad essere disegnato sugli scudi, ma il simbolo, ad esso molto simile, del “Sol Invictus” o di Mitra, il cui culto era assai diffuso tra i soldati ed era, con tutta plausibilità, seguito da Costantino stesso, mentre il “cambiamento del simbolo” sarebbe una rielaborazione creata agiograficamente dagli scrittori cristiani posteriori[6]. Senza dubbio falsa, e già definita come tale da Lorenzo Valla (1440)[7], è anche la “donazione di Costantino” del 324, con cui l’imperatore avrebbe concesso a Papa Silvestro I ed ai suoi successori la sovranità e l’autorità spirituale su Roma, l’Italia e l’intero Impero Romano d’Occidente.

A ben vedere, neppure l’Editto di Milano, comunque, ha un carattere spiccatamente cristiano: si tratta, in fondo, di una semplice, generica dichiarazione di libertà di culto all’interno dei confini dell’impero, senza ulteriori specificazioni. Tra l’altro, i bassorilievi di divinità pagane presenti sull’arco di Costantino, le monete coniate durante il suo regno e il mantenimento della carica di pontefice massimo a Roma, non lasciano molti dubbi sul fatto che l’imperatore rimase pagano per tutta la vita.[8] Perché, allora, tanto favore concesso ai cristiani con costruzioni di basiliche, concessioni patrimoniali e poteri civili attribuiti ai vescovi? Semplicemente, per calcolo politico: la religione cristiana si stava rapidamente diffondendo nell’impero e Costantino mirava a creare una base salda per il potere imperiale proprio nella nuova religione, della quale, probabilmente, non aveva neppure grande interesse a comprendere la teologia fondamentale, se è vero che egli perseguiva principalmente il proposito di unificare tutti i culti presenti nei suoi vastissimi territori e riteneva che il Cristo fosse solo una delle molte possibili manifestazioni del Sol Invictus [9] che venerava. Se l’obiettivo di Costantino era lo sviluppo, per certi versi, del cesaropapismo, è chiaro che la sua politica mirasse a creare una base per il potere imperiale proprio nella religione cristiana e che, conseguentemente, fosse fondamentale una unità interna di questo credo: per questo motivo, pur non essendo battezzato, indisse diversi concili, fra i quali, appunto, più importante di ogni altro, quello di Nicea. Fino a questo punto, dunque, il Professor Teabing di Dan Brown parla da vero storico.
Il problema nasce da un particolare affatto secondario: a Nicea non si parlò minimamente di canoni evangelici e neppure, come pretende Brown, della divinità o meno di Cristo. Per comprenderlo, basta dare una rapida scorsa ai canoni pubblicati negli Atti del Concilio stesso:

 

CANONI

  1. Di quelli che si mutilano o permettono questo da parte di altri su se stessi.
    Se qualcuno, malato, ha subito dai medici un’operazione chirurgica, o è stato mutilato dai barbari, può far parte ancora del clero. Ma se qualcuno, pur essendo sano, si è castrato da sé, costui, appartenendo al clero, sia sospeso, e in seguito nessuno che si trovi in tali condizioni sia promosso allo stato ecclesiastico. E’ evidente, che quello che è stato detto riguarda coloro che deliberatamente compiono una cosa simile e osano mutilare se stessi ma se qualcuno, fosse stato castrato dai barbari o dai propri padroni, ma fosse degno sotto ogni aspetto, i canoni lo ammettono nel clero.
  2. A coloro che dopo il battesimo sono subito ammessi nel clero.
    Poiché molte cose per necessità, o sotto la pressione di qualcuno, sono state fatte contro le disposizioni ecclesiastiche, sicché degli uomini, venuti da poco alla fede dal paganesimo e istruiti in breve tempo, sono stati subito ammessi al battesimo e insieme sono stati promossi all’episcopato o al sacerdozio, è sembrato bene che in futuro non si verifichi nulla di simile: è necessario del tempo, infatti, a chi viene catechizzato, ed una prova più lunga dopo il battesimo. E’ chiara infatti, la parola dell’apostolo: (il vescovo) non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna. Se poi col passar del tempo si venisse a scoprire qualche colpa commessa da costui e fosse accusato da due o tre testimoni, questi cesserà di far parte del clero. Chi poi osasse agire contro queste disposizioni e si ergesse contro questo grande sinodo, costui metterebbe in pericolo la sua stessa dignità sacerdotale.

III. Delle donne che vivono nascostamente con i chierici.
Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.

  1. Da quanti debba essere consacrato un vescovo.
    Si abbia la massima cura che un vescovo sia istituito da tutti i vescovi della provincia. Ma se ciò fosse difficile o per sopravvenute difficoltà, o per la distanza, almeno tre, radunandosi nello stesso luogo, e non senza aver avuto prima per iscritto il consenso degli assenti, celebrino la consacrazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata in ciascuna provincia al vescovo metropolita.
  2. Degli scomunicati: che non siano accolti da altri; e dell’obbligo di tenere i sinodi due volte all’anno.
    Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dei vescovi di ciascuna provincia abbia forza di legge e sia rispettata la norma secondo la quale chi è stato cacciato da alcuni non sia accolto da altri. E’ necessario tuttavia assicurarsi che questi non siano stati allontanati dalla comunità solo per grettezza d’animo o per rivalità del vescovo o per altro sentimento di odio. Perché poi questo punto abbia la dovuta considerazione, è sembrato bene che in ogni provincia, due volte all’anno si tengano dei sinodi, affinché tutti i vescovi della stessa provincia riuniti al medesimo scopo discutano questi problemi, e così sia chiaro a tutti i vescovi che quelli che hanno mancato in modo evidente contro il proprio vescovo sono stati opportunamente scomunicati, fino a che l’assemblea dei vescovi non ritenga di mostrare verso costoro una più umana comprensione. I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima perché, superato ogni dissenso, possa esser offerto a Dio un dono purissimo; l’altro in autunno.
  3. Della precedenza di alcune sedi, dell’impossibilità di essere ordinato vescovo senza il consenso del metropolita.
    In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è fatto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo stabilisce che costui non debba esser vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l’opinione della maggioranza.

VII. Del vescovo di Gerusalemme.
Poiché è invalsa la consuetudine e l’antica tradizione che il vescovo di Gerusalemme riceva particolare onore, abbia quanto questo onore comporta, salva sempre la dignità propria della metropoli.

VIII. Dei cosiddetti càtari.
Quanto a quelli che si definiscono càtari, cioè puri, qualora si accostino alla chiesa cattolica e apostolica, questo santo e grande concilio stabilisce che, ricevuta l’imposizione delle mani, rimangano senz’altro nel clero. E’ necessario però, prima di ogni altra cosa, che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della chiesa cattolica, che cioè essi comunicheranno con chi si è sposato per la seconda volta e con chi è venuto meno durante la persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della chiesa cattolica e apostolica. Quando, sia nei villaggi che nelle città, non si trovino che ecclesiastici di questo gruppo essi rimangano nello stesso stato. Se però qualcuno di essi si avvicina alla chiesa cattolica dove già vi è un vescovo o un presbitero, è chiaro che il vescovo della chiesa avrà dignità di vescovo e colui che presso i càtari è chiamato vescovo, avrà dignità di presbitero, a meno che piaccia al vescovo che quegli possa dividere con lui la stessa dignità. Se poi questa soluzione non fosse per lui soddisfacente, gli procurerà un posto o di corepiscopo o di presbitero, perché appaia che egli fa parte veramente del clero e che non vi sono due vescovi nella stessa città.

  1. Di quelli che senza il debito esame sono Promossi al sacerdozio.
    Se alcuni sono stati promossi presbiteri senza il debito esame, o, se esaminati, hanno confessato dei falli, ma, contro le disposizioni dei canoni, hanno ricevuto l’imposizione delle mani, la legge ecclesiastica non li riconosce; la chiesa cattolica infatti vuole uomini irreprensibili.
  2. Di coloro che hanno rinnegato la propria fede durante la Persecuzione e poi sono stati ammessi fra il clero.
    Se alcuni di quelli che hanno rinnegato la fede cristiana sono stati eletti sacerdoti o per ignoranza o per simulazione di quelli che li hanno scelti, questo non porta pregiudizio alla disciplina ecclesiastica: una volta scoperti, infatti, costoro saranno deposti.
  3. Di quelli che hanno rinnegato la Propria fede e sono finiti tra i laici.
    Quanto a quelli che, senza necessità, senza confisca dei beni, senza pericolo o qualche cosa di simile – ciò che avvenne sotto la tirannide di Licinio – hanno tradito la loro fede, questo santo sinodo dispone che, per quanto essi siano indegni di qualsiasi benevolenza, si usi tuttavia comprensione per essi. Quelli dunque tra i fedeli che fanno davvero penitenza, trascorrano tre anni tra gli audientes, sei anni tra i substrati, e per due anni preghino col popolo salvo che all’offertorio.

XII. Di coloro che, dopo aver lasciato il mondo, vi sono poi ritornati.
Quelli che chiamati dalla grazia, dopo un primo entusiasmo hanno deposto il cingolo militare, ma poi sono tornati, come i cani, sui loro passi, al punto da versare denaro e da ricercare con benefici la vita militare, facciano penitenza per dieci anni, dopo aver passato tre anni fra gli audientes. Ma, per questi penitenti, bisognerà guardare la loro volontà ed il modo di far penitenza. Quelli, infatti, che col timore, con le lacrime, con la pazienza, con le buone opere dimostrano con i fatti, e non simulano la loro conversione, costoro, compiuto il tempo prescritto da passare fra gli audientes, potranno essere ammessi ragionevolmente a partecipare alle preghiere; dopo ciò, il vescovo potrà prendere nei loro riguardi qualche decisione anche più mite. Ma quelli che si comportano con indifferenza, e credono che per la loro espiazione sia sufficiente questa penitenza, devono senz’altro scontare tutto il tempo stabilito.

XIII. Di quelli che in punto di morte chiedono la comunione.
Con quelli che sono in fin di vita, si osservi ancora l’antica norma per cui in caso di morte nessuno sia privato dell’ultimo, indispensabile viatico. Se poi avvenisse che quegli che era stato dichiarato disperato, ed era stato ammesso alla comunione e fatto partecipe dell’offerta, guarisca, sia ammesso tra coloro che partecipano alla sola preghiera (fino a che sia trascorso il tempo stabilito da questo grande concilio ecumenico). In genere, poi, il vescovo, dopo inchiesta, ammetterà chiunque si trovi in punto di morte e chieda di partecipare all’eucarestia.

XIV. Dei catecumeni lapsi.
Questo santo e grande concilio stabilisce che i catecumeni lapsi per tre anni siano ammessi solo tra gli audientes, e che dopo questo tempo possano prender parte alla preghiera, con gli altri catecumeni.

  1. Del clero che si sposta di città in città.
    Per i molti tumulti ed agitazioni che avvengono, è sembrato bene che sia assolutamente stroncata la consuetudine, che in qualche parte ha preso piede, contro le norme ecclesiastiche, in modo che né vescovi, né preti, né diaconi si trasferiscano da una città all’altra. Che se qualcuno, dopo questa disposizione del santo e grande concilio, facesse qualche cosa di simile, e seguisse l’antico costume, questo suo trasferimento sarà senz’altro considerato nullo, ed egli dovrà ritornare alla chiesa per cui fu eletto vescovo, o presbitero, o diacono.

XVI. Di coloro che non dimorano nelle chiese nelle quali furono eletti.
Quanti temerariamente, senza santo timore di Dio, né alcun rispetto per i sacri canoni si allontanano dalla propria chiesa, siano essi sacerdoti o diaconi, o in qualsiasi modo ecclesiastici, non devono in nessun modo essere accolti in un’altra chiesa; bisogna, invece, metterli nell’assoluta necessità di far ritorno alla propria comunità, altrimenti siano esclusi dalla comunione. Che se poi uno tentasse di usar violenza ad alcun dipendente da un altro vescovo e di consacrarlo nella sua chiesa contro la volontà del vescovo, da cui si è allontanato, tale ordinazione sia considerata nulla.

XVII. Dei chierici che esercitano l’usura.
Poiché molti che sono soggetti ad una regola religiosa, trascinati da avarizia e da volgare desiderio di guadagno, e dimenticata la divina Scrittura, che dice: Non ha dato il suo denaro ad interesse, prestando, esigono un interesse, il santo e grande sinodo ha creduto giusto che se qualcuno, dopo la presente disposizione prenderà usura, o farà questo mestiere d’usuraio in qualsiasi altra maniera, o esigerà una volta e mezza tanto:, o si darà, in breve, a qualche altro guadagno scandaloso, sarà radiato dal clero e considerato estraneo alla regola.

XVIII. Che i diaconi non debbano dare l’eucarestia ai presbiteri; e che non devono prender posto avanti a questi.
Questo grande e santo concilio è venuto a conoscenza che in alcuni luoghi e città i diaconi danno la comunione ai presbiteri: cosa che né i sacri canoni, né la consuetudine permettono: che, cioè, quelli che non hanno il potere di consacrare diano il corpo di Cristo a coloro che possono offrirlo. Esso è venuto a conoscenza anche di questo: che alcuni diaconi ricevono l’eucarestia perfino prima dei vescovi. Tutto ciò sia tolto di mezzo, e i diaconi rimangano nei propri limiti, considerando che essi sono ministri dei vescovi ed inferiori ai presbiteri. Ricevano, quindi, come esige l’ordine, l’eucarestia, dopo i sacerdoti, e per mano del vescovo o del sacerdote. Non è neppure lecito ai diaconi sedere in mezzo ai presbiteri; ciò è, infatti, sia contro i sacri canoni, sia contro l’ordine. Se poi qualcuno non intende obbedire, neppure dopo queste prescrizioni, sia sospeso dal diaconato.

XIX. Di quelli che dall’errore di Paolo di Samosata si avvicinano alla chiesa cattolica e delle diaconesse.
Quanto ai seguaci di Paolo, che intendono passare alla chiesa cattolica, bisogna osservare l’antica prescrizione che essi siano senz’altro ribattezzati. Se qualcuno di essi, in passato, aveva appartenuto al clero, purché, del tutto irreprensibile, una volta ribattezzato potrà essere ordinato dal vescovo della chiesa cattolica. Ma se l’esame dovesse far concludere che si tratta di inetti, è bene deporli. Questo modo d’agire sarà usato anche con le diaconesse e, in genere, con quanti appartengono al clero. Quanto alle diaconesse in particolare, ricordiamo, che esse, non avendo ricevuto alcuna imposizione delle mani, devono essere computate senz’altro fra le persone laiche.

  1. Che non si debba, nei giorni di domenica e di Pentecoste, pregare in ginocchio.
    Poiché vi sono alcuni che di domenica e nei giorni della Pentecoste si inginocchiano, per una completa uniformità è sembrato bene a questo santo sinodo che le preghiere a Dio si facciano in piedi.”[10]

Come è possibile notare, non vi è alcuna menzione di decisioni prese riguardo ai Vangeli canonici o alla divinità di Gesù e, d’altra parte, né Costantino poteva ergersi contro tradizioni già consolidate [11], né il Concilio, che come scopo principale aveva l’eradicamento della dottrina cristologica di Ario[12], poteva aver alcun interesse nell’affrontare tali materie [13]. Probabilmente, la radice dell’errore nasce da una interpretazione errata di Voltaire che, nel suo Dizionario Filosofico, scrisse:

I Padri del Concilio distinsero tra libri delle Scritture e apocrifi grazie ad un espediente piuttosto bizzarro: avendoli collocati alla rinfusa sull’altare vennero detti apocrifi quelli che caddero in terra.[14]

La questione è stata approfondita da Hunwick, che, a tale proposito, ha scritto:

Il problema della distinzione tra vangeli spuri ed autentici non è stato discusso nel primo concilio di Nicea: l’aneddoto è inventato. Compare nel testo clandestino La Religione Cristiana Analizzata (in francese nell’originale, La Religion chretienne analysée) attribuito a Dumarsais, e pubblicato da Voltaire in forma abridged in Raccolte Essenziali (Recueil necessaire) nel 1765, dove è indicata come fonte Sanctissima concilia (1671-1672, Parigi, vol II, pp 84-85) di Pierre Labbe (1607-1667), che afferma di seguire gli anni 325 § 158 degli Annales ecclesiasti (1559-1607) di Baronio (1538-1607), anche se si deve notare che Baronio, riportando dell’adozione di certi vangeli e del rifiuto di altri come spuri, non riporta in che modo fu fatta la distinzione. Voltaire ripete l’aneddoto romanzesco più volte, citando Labbe come fonte, si veda B. E. Schwarzbach, p. 329 e n. 81. Dubbi furono espressi in precedenza, da Tillemont (si veda L. S. Le Nain de Tillemont, Memorie per la storia della Chiesa [Memoires pour servir a l’histoire ecclesiastique], 1701-14, seconda edizione, Parigi, Robustel – Arsenal 4° H.5547], volume VI, p. 676.). Nei fatti l’aneddoto data Baronio più di sei secoli prima della sua nascita: compare in un anonimo Synodikon contenente brevi citazione di 158 concili dei primi nove secoli. Portato dalla Grecia nel XVI secolo da Andreas Darmasius, questo documento fu acquistato ed edito dal teologo luterano Johannes Pappus (1549-1610). Fu successivamente ristampato, certamente almeno nella Bibliotheca graeca […] di Fabricio, la prima di queste edizioni fu pubblicata negli anni 1705-1707, e potrebbe essere stata conosciuta da D’Holbach. L’aneddoto si trova in Synodicon vetus sezione 34, “Council of Nicaea” (Johannes Albert Fabricius, Biblioteca graeca… [1790-1809, Amburgo: Bohn], Volume XII, pagine 370-371.)” [15]

 

Si tratta, dunque, semplicemente di un errore d’interpretazione perpetuatosi lungo la storia, che ha avuto come ultimo portavoce addirittura uno dei più grandi filosofi illuministi, ma che nulla ha a che vedere con un Concilio il cui scopo fondamentale era l’unità dell’impero e in cui la parte di Costantino fu, soprattutto, quella di ratificare e dare autorità (e forza) ad ogni decisione che andasse in questo senso [16] Se non nacque a Nicea, come si sviluppò, allora, il Canone? Nella realtà dei fatti, la formazione del Canone fu un processo molto lungo, fluido e tormentato, iniziato già nel II secolo e parzialmente conclusosi solo nel IV secolo, in una progressiva attività di definizione e chiarimento della “regola” religiosa, non esente da discussioni perdurate fino ad epoche posteriori. Non a caso siamo in possesso di codici, quali il Codice sinaitico[17] del IV secolo e il Codice alessandrino [18] del V secolo, che includono ancora, nel loro Nuovo Testamento, opere considerate non canoniche e non a caso alcuni Padri della Chiesa, quali Clemente di Alessandria, Tertulliano ed Origene Adamantio non considerano il Canone neotestamentario come qualcosa di fisso, citando talvolta anche Vangeli apocrifi e detti apocrifi attribuiti a Gesù [19]..

Dai testi a noi pervenuti, possiamo ricavare solo una pallida idea del dibattito (spesso collegato a quello teologico sulle eresie) in corso tra i primi cristiani. Tra essi, particolarmente significativo è il Canone prescritto da Eusebio, nel IV secolo, in un testo che introduce il fondamentale concetto di “antilegomena” (cioè di testi che non hanno trovato accordo e consenso universale tra le comunità). All’interno di questa trattazione leggiamo:

1 – Facciamo il punto sugli scritti del Nuovo Testamento che sono stati già menzionati: i primi sono i santi quadruplici vangeli, seguiti dagli Atti degli Apostoli.

2 – Dopo di che vanno riconosciute le epistole di Paolo; segue nell’ordine la rimanente epistola di Giovanni e similmente bisogna mantenere l’Epistola di Pietro. Dopo di loro poniamo, se sembra appropriato, l’apocalisse di Giovanni, su cui riporteremo le diverse opinioni a tempo debito. Questi perciò appartengono agli scritti accettati.

3 – Fra i testi disputati (antilegomena), che tuttavia sono riconosciuti da molti, si trovano le cosiddette epistole di Giacomo e di Giuda, e anche la Seconda di Pietro, e quelle chiamate Seconda e Terza di Giovanni, sia che appartengano effettivamente all’evangelista o a un’altra persona con lo stesso nome.

4 – Fra gli scritti apocrifi vanno contati gli Atti di Paolo e il cosiddetto Pastore, e l’Apocalisse di Pietro e, in aggiunta a questi, la restante epistola di Barnaba e la cosiddetta Didascalia degli Apostoli e, come ho detto prima, l’Apocalisse di Giovanni, se sembra appropriato, che alcuni respingono, ma che altri classificano fra i testi accettati.

5 – E fra questi alcuni inseriscono il Vangelo degli Ebrei, che è apprezzato specialmente dagli ebrei che hanno accettato Cristo. Tutti questi possono essere considerati antilegomena, cioè disputati.

6 – Ci sentiamo in dovere di dare il catalogo anche di quei libri che si distinguono da quelle opere che, per tradizione ecclesiastica, sono visti come veri e genuini e comunemente accettati, oppure, pur non canonici ma disputati, sono tuttavia noti alla maggior parte degli scrittori ecclesiastici. Ci sentiamo in obbligo di dare questo catalogo cosicché saremo in grado di riconoscere sia questi libri che quelli che sono citati dagli eretici con il nome di apostoli, fra cui, ad esempio, i libri come il vangelo di Pietro, di Tommaso, di Mattia e di altri simili, e gli Atti di Andrea, di Giovanni e di altri apostoli. Nessuno, fra coloro che appartengono alla successione di scrittori ecclesiastici, li ha ritenuti degni di menzionarli nei propri scritti.

7 – Inoltre, il carattere dello stile diverge dall’uso apostolico e sia i pensieri che gli scopi delle cose contenute in essi sono completamente in disaccordo con la vera ortodossia che mostrano chiaramente le loro elucubrazioni eretiche. Pertanto essi non sono posti fra gli scritti apocrifi, ma sono ritenuti totalmente assurdi ed empi.[20].

Come si può notare, il sistema di classificazione è ancora, come detto, molto fluido, con una distinzione tra
A – libri meno controversi, infine accettati come ispirati, come la Lettera di Giuda, la Lettera di Giacomo, la Seconda e Terza Lettera di Giacomo e la Seconda di Pietro;
B – libri disputati, non ammessi nel canone definitivo, ma utilizzati da alcune chiese, come Didaché, Atti di Paolo, Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro, Lettera di Barnaba, Apocalisse di Giovanni (poi ammessa) e il Vangelo degli Ebrei;
C – libri assurdi ed empi (come i Vangeli di Pietro, Tommaso, Mattia e simili, gli Atti di Andrea e gli Atti di Giovanni).

Probabilmente ancora precedente (alcuni fanno risalire il testo originale al 170 circa) è il Canone contenuto nel lacunoso manoscritto del VII secolo denominato Canone Muratoriano [21]. In esso l’autore anonimo accetta quattro Vangeli, di due è chiaro il nome (Luca e Giovanni) degli altri due non è, invece, più leggibile l’autore, che – se corrispondente ai nostri Vangeli canonici e come sembrerebbe si possa dedurre dall’incipit rimasto del testo – dovrebbero essere Matteo e Marco. L’autore del testo accetta pure gli Atti degli Apostoli e 13 delle epistole di San Paolo, ma non quella – oggi canonica – agli Ebrei. Egli ritiene apocrife le presunte lettere di Paolo ai Laodicei e agli Alessandrini. Delle altre epistole dette cattoliche, l’autore del frammento accetta la lettera di Giuda e le due di Giovanni nonché la >b>Saggezza di Salomone, oggi non inserita nel Canone. Vengono, inoltre, accettate sia l’Apocalisse di Giovanni sia una Apocalisse di Pietro (però chiarendo che alcuni non vorrebbero fosse letta in Chiesa [22]. Infine, tra le varie opere non canoniche vi è, in quanto ritenuta dall’autore troppo recente e non risalente all’epoca apostolica – il >b>Pastor di Hermas, che il codice dice scritto dal fratello di Papa Pio I.[23].

In linea generale, così come la negazione di alcuni testi, anche l’accettazione di altri fu, comunque, un processo lento. In particolare, possiamo ricordare che il Vangelo di Giovanni venne ufficialmente riconosciuto solo nel periodo di Taziano [24] (170 d.C. Circa); le Lettere pastorali, 1 Pietro e Apocalisse vennero completamente e unanimemente accettate verso la fine del II secolo; Giuda, 2 Pietro, e le lettere di Giovanni entrarono ufficialmente nel Canone solo nel quarto secolo[25].

Come anticipato, fu proprio solo verso la fine del IV secolo, comunque, che si cominciò ad avere l’idea di definire un Canone statico. Il primo a parlarne fu Atanasio, patriarca di Alessandria che, in una lettera del 327, definisce l’ordine del Nuovo Testamento come: Vangeli, Atti, Epistole generali, Epistole paoline, ed Apocalisse[26]. Sempre Atanasio, nel 367 elaborò un canone[27] che venne accolto dalla chiesa greca ma, in un periodo di strenua lotta tra ariani e anti-ariani, contestato nei due sinodi di Ippona (393) e di Cartagine (397). In quest’ultimo, comunque, il Canone raggiunse, infine, la forma che oggi conosciamo.

 

Autore: Lawrence Sudbury
Messo on line in data: Agosto 2008

 

Note

[1]Cfr. D. Brown, Il Codice da Vinci, Milano, Mondadori, 2003, pgg. 271-272
[2]Cfr. D. Brown, citato, pag. 272
[3]Che, comunque, dava semplicemente libertà di culto ai cristiani, ponendo la loro religione sullo stesso piano delle altre confessioni che circolavano nell’impero. Solo con l’Editto di Tessalonica di Teodosio I (380) il cristianesimo diventò religione di stato.
[4]Testo dell’Editto di Milano presente in Lattanzio, Lucii Caecilii Liber ad Donatum Confessorem de Mortibus Persecutorum, cap. XXXV e XLVIII
[5]Con una visione del Chi – Ro e le parole “In hoc signo vinces”
[6]Cfr. M. Holbourn, Constantine the Great, Oxford, OUP, 1995, pgg. 181 ss.
[7]Cfr.L. Valla, De falso credita et ementita Constatini donatione declamatio, II, 6; IX, 32-33, in AA.VV., Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X, pagg. 84-86, 88
[8]Cfr. J. Burckhardt, L’età di Costantino il grande, Milano, Sansoni, 1990, pag. 416 ss.
[9]Cfr. G.P. Baker, Constantine the Great: And the Christian Revolution, Dodd,Mead and Company, Rahway, 1930, pgg 18 ss.
[10]Cfr. Atti conciliari, Primo Concilio di Nicea, Edizione digitale Intratext (www.intratext.com)
[11]Cfr. S. J. Tanner, P. Norman, The Councils of the Church: A Short History, Crossroad, New York, 2001, pgg. 87-90
[12]Che negava non la divinità di Gesù, ma la consustanzialità di Padre e Figlio, proclamata, al termine dei lavori conciliari, tramite il “Simbolo Niceano”, cioè il Credo.
[13]Cfr. W.H. Carroll, The Building of Christendom, New York, Christendom Pr. ,1987, Vol. 2, pgg.178-181
14]Cfr. ‘Concili’, Dizionario filosofico. Voltaire, Parigi 1694 – 1778
[15]Cfr. A. Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D’Holbach, Mouton de Gruyter, 1995, pp. 48-49, nota 25
[16]Cfr. E. Gibbon, Decline and Fall of the Roman Empire, Milano, Mondadori, 1998, p.293, che, tra l’altro, afferma: “(…) la dottrina nicena fu ratificata da Costantino, e quando l’imperatore affermò risolutamente che chiunque si fosse opposto al giudizio divino del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell’esilio, tacquero i mormorii di protesta di una fiacca opposizione, che da diciassette vescovi si ridusse quasi istantaneamente a due”.
[17]Cfr. Codex Sinaiticus, Londra, Brit. Libr., Add. 43725; Gregory-Aland no. א (Aleph) o 01
[18]Cfr. Codex Alexandrinus, Londra, British Library, MS Royal 1. D. V-VIII; Gregory-Aland no. A o 02
[19]Cfr. B.M. Metzger, The Canon of the New Testament: Its Origin, Development, and Significance, Oxford, Clarendon Press, 1987, passim
[20]Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 4, 23, 11 ss.
[21] Antonio Ludovico Muratori.
[22]Non si sa tuttavia se ci si riferisca all’omonimo testo greco o a quello copto, di natura gnostica.

[23]Cfr. B.D. Ehrmann, Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le sante scritture, Roma, Carocci, 2005, pag. 299 ss.
[24]Cfr. Taziano, Diatesseron, citato
[25]Cfr. W. Schneemelcher, New Testament Apocrypha, vol I, II, Louisville, Westminster/John Knox Press,1989, passim
[26]Cfr. G. Ludword, Athanasius and the Arians, Meadfiled, Roach, 1989, pag. 63 ss.
[27]Cfr. Atanasio di Alessandria, Sull’incarnazione contro gli ariani, IV, 17 ss.