RENE’ DESCARTES (CARTESIO) di Ivan Buttignon

René Descartes (La Haye, 1596- Stoccolma, 1650) fu un insigne filosofo e un valente matematico che diede fondamentali contributi a questi due campi del sapere. È conosciuto anche con il nome latinizzato Renatus Cartesius, in Italia modificato in Cartesio. Descartes, chiamato alle volte fondatore della filosofia moderna e padre della matematica moderna, è considerato uno dei più grandi e influenti pensatori nella storia dell’umanità [1], che con il suo pensiero ispirò i suoi contemporanei e le generazioni future, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra il XVII e il XVIII secolo [2].

 

Cartesio e Dio

Ex nihilo nihil fit (nulla viene dal nulla)

Con la sola forza del pensiero deduttivo Descartes prova l’esistenza di un Dio benevolo che ha dato all’uomo una mente e un corpo e che non può desiderare di ingannarlo. Le tre prove ontologiche, liberamente ispirate dalla Scolastica, di cui il filosofo si serve per dimostrare Dio sono[3]:

– Siccome l’uomo ha in sé l’idea di Dio, che equivale all’idea della perfezione, ne deriva, seguendo il principio per cui la causa dev’essere eguale o maggiore all’ effetto prodotto, che l’idea di Dio non può essere un prodotto della mente dell’uomo (il quale esercitando il dubbio dimostra la sua imperfezione), né dall’esterno (di cui potendo dubitarne si dimostra l’imperfezione) ma deve provenire necessariamente da un’entità perfetta, estranea all’idea di perfetto che l’uomo ha di lui: cioè Dio.
– Siccome l’uomo è consapevole della sua imperfezione, non può essere stato lui l’artefice di quelle idee di perfezione che egli ha nella sua mente (onniscienza, onnipotenz e prescienza), altrimenti alla creazione si sarebbe dato codeste prerogative. Motivo per cui deve esistere un entità che gode di quelle qualità e che abbia da esterno creato l’uomo: cioè Dio.
– Riprendendo la prova elaborata da Anselmo d’Aosta, Cartesio afferma che l’ esistenza è già implicita nel concetto stesso di perfezione: esiste un’entità superiore in quanto espressione dell’idea che l’uomo ha di perfetto (la cosiddetta prova ontologica che Kant definirà per sostenere l’impossibilità di far coincidere il piano logico con il piano ontologico), cioè Dio.

In questo modo, si può recuperare il rapporto con il mondo sensibile senza timore di essere ingannato. Riprendendo i tre anni di studi filosofici, Cartesio recupera l’idea della scolastica medioevale di un Dio-Bene che non può ingannare né me né i miei sensi, per cui è reale il mondo che abbiamo davanti. L’errore viene pertanto attribuito non alla dimensione intellettuale dell’uomo, ma alla volontà, che asseconda nel procedimento un principio non ancora chiarito.

 

Simbolismo di Cartesio

Premesso che unire due discipline come algebra e geometria significa far corrispondere ogni espressione dell’algebra ad una della geometria e viceversa, si osserva che l’algebra è espressa da certe operazioni sui simboli, mentre la geometria è espressa da certe regole grafiche che riguardano i punti della retta, del piano e dello spazio, e la loro interdipendenza fu stabilita da Cartesio considerandole mezzi espressivi di una più profonda proprietà della realtà misurabile che le inglobasse, cosa che egli fece definendo il concetto di funzione come il risultato di certe operazioni, che potevano essere fatte sia per via geometrica che algebrica, (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevazione a potenza e radice per i soli numeri positivi) che, operando su un numero lo sostituiscono con un altro. E’ grande merito di Cartesio l’avere intuito che le radici più profonde della matematica e della geometria vadano ricercate nella logica e nella filosofia, e di avere posto, nell’unire le due discipline, le basi necessarie allo sviluppo ulteriore delle matematiche. In questo capitolo supponiamo che a quell’epoca fossero note come idee innate, esistenti nella mente per opera divina, quella di numero e quella delle operazioni sopra elencate e definite da precise regole compresa quella dei segni nella moltiplicazione dei numeri positivi, ma con la matematica del suo tempo Cartesio ha dovuto scrivere due libri dal contenuto assai difficile da studiare, per dimostrare che Algebra e Geometria potevano essere inglobate in una unica branca della matematica[4].

Anche Fermat riteneva di difficile comprensione tutte quelle operazioni con rette che si sommavano, si moltiplicavano, si sottraevano e si dividevano come faceva Cartesio nelle sue opere, ma anche lui trovò, senza darne talora neanche traccia di dimostrazione, meravigliosi teoremi sulla teoria dei numeri. Per sintetizzare l’opera del grande filosofo-matematico supponiamo che nel suo pensiero un numero fosse rappresentato da un simbolo graficamente distinguibile dal simbolo di ogni altro numero e dalla cui forma grafica si potesse univocamente stabilire se esso fosse maggiore (>) o minore (<) di un secondo numero presentato allo stesso modo. Ogni numero poi è uguale (=) a se stesso, e noi useremo la consueta notazione decimale dei segni dallo 0 al 9 per formare i numeri, ed i simboli della aritmetica e dell’algebra per le operazioni. Il modo più semplice di rappresentare i numeri è quello di disporli in ordine crescente su una retta, anzi nel piano cartesiano a tutti noto i numeri vengono presentati su due assi ortogonali di ascisse x e di ordinate y sul quale ogni punto è individuato dalle sue coordinate x, y e questa sarà la presentazione geometrica di un punto nel piano, mentre la sua presentazione algebrica è data dalla coppia ordinata dei valori delle sue coordinate. Dati due punti nel piano diciamo distanza la più breve lunghezza geometrica di una linea continua che li unisca, intuitivamente rappresentata da un filo teso tra i due punti e che diremo segmento di retta, e supporremo che all’epoca di Cartesio anche questo fosse considerata una idea innata. Data una raccolta finita di punti ciascuno di coordinate x,y potremo rappresentarli geometricamente nel piano ordinandoli secondo la x, definendo l’istogramma della raccolta e che viene meglio evidenziato unendo con dei tratti di retta i punti successivi, e questa sarà la presentazione geometrica di un istogramma, ma lo stesso istogramma può essere rappresentato algebricamente da una tabella in due righe. Sulla prima delle quali si pongano in ordine crescente i valori delle x dei punti che lo formano, che diremo punto di definizione o punto di rilevamento, mentre sull’altra, in genere sottostante, vengono riportati i valori delle y corrispondenti. Perciò ogni istogramma avrà un suo primo punto di definizione definito dalla più piccola coordinata x, cui in genere viene assegnato il valore 0, ed un ultimo punto definito dalla massima coordinata x [5]

Da rilevare che in tal modo un istogramma occupa una limitata porzione del piano e può rappresentare lo svolgimento nel tempo di un certo fenomeno misurandone lo stato in determinati istanti x e ponendo sulle y i relativi valori, ma la variabile indipendente può anche essere la misura di una qualunque grandezza alla quale si vuol collegare lo studio di un certo fenomeno fisico o geometrico. Come anche oggi, si riteneva che nel tratto considerato tra il primo e l’ultimo punto di un istogramma si possa migliorare la conoscenza del fenomeno allo studio aumentando il numero di punti di rilevamento nei tratti ove l’istogramma è più irregolare, in modo da farlo rassomigliare sempre di più ad una curva continua che Cartesio diceva linea geometrica, ma che pur sempre era un istogramma. Cartesio, esponendo il concetto di funzione che può essere rappresentata sia algebricamente da una tabella che geometricamente da un istogramma, e stabilendo che da un istogramma tratto da esperienze su un fenomeno si possa stabilire una forma algebrica che noi abbiamo detto polinomio, ha unito l’algebra alla geometria in una unica scienza indipendentemente dalla sua presentazione algebrica o geometrica. Un istogramma può avere un solo valore per ogni istante nel quale viene effettuata la misura, ma sotto questa condizione la variabile potrà essere anche una grandezza spaziale od altro, che abbiamo detto variabile indipendente od anche indeterminata se non ne sia stato definito il particolare significato. La relazione tra causa ed effetto sarà data da certe regole che legano i due istogrammi definite dalla natura del problema. In generale diremo problema di grado n una tabella quadrata di n+1 righe e colonne nella quale i valori da inserire nelle caselle non sono tutti noti e devono essere determinati dalla natura stessa del problema che si riterrà completamente risolto se si conoscano tutti i valori da inserire nella tabella quadrata. Si noti che i valori da trovare per risolvere il problema sono derivati dai risultati di un certo numero di esperienze su un modello teorico o sperimentale, e devono essere da esso dedotti secondo le regole del modello. In tal modo la ricerca si scinde in più tempi, prima lo studio di un singolo istogramma cui corrisponde una tabella a due righe e che per semplicità penseremo nella variabile tempo, poi la ricerca dei valori da inserire nelle caselle del quadrato di un problema, poi le relazioni tra più problemi[6].

 

Autore: Ivan Buttignon
Messo on line in data: Maggio 2008

 

Note

[1] R. Descartes, Discorso sul metodo, Bompiani, Milano, 2002, p. 12.
[2] it.wikipedia.org/wiki/René_Descartes, consultato in data 07/01/2007.
[3] www.filosofico.net/desc13.htm, consultato in data 07/01/2007.
[4] R. Descartes, Discorso sul metodo, cit., pp. 31-33.
[5] R. Descartes, Discorso sul metodo, cit., pp. 33-34.
[6] R. Descartes, Discorso sul metodo, cit., pp. 35-39.