GEOMETRIA OCCULTA: I ROTOLATORI DEL SOLE di Gaetano Barbella

Introduzione, Brescia, 17 agosto 2002

Facendo certe osservazioni su problemi archeologici, si è profilato in me un lato insospettato dell’arcaica arte di edificare che mi ha portato a meditare profondamente su l’Uomo architetto e costruttore del suo “intimo edificio”. Da qui l’iniziativa di un’indagine accurata sui potenti del passato remoto dei primordi, molti dei quali ci hanno lasciato la testimonianza delle loro personali imprese monumentali con manufatti, in gran parte, a forma di piramide di grandi dimensioni.

 

 

Già al tempo antico lo storico Erodoto si pose il dubbio sulla bontà degl’intenti spirituali del re Cheope, ad esempio, che decise di erigere la piramide omonima, esageratamente grande, in rapporto ai presunti gravami imposti ai lavoratori addetti alle relative costruzioni. Viene da chiedersi se anche “l’architetto”, in questo re apparentemente così disumano considerato che questi svolgeva ad interim i due ruoli, era da ritenersi un complice senza scampo, oppure una vittima obbligata a dare man forte all’altro, il prepotente coronato pieno di boria. Meglio ancora: l’architetto in causa aveva il modo di far predisporre il giusto “cantiere” a misura d’uomo per realizzare tutte le opere in progetto, ritenute impossibili da eseguire secondo la corrente opinione dei moderni architetti? E’ interessante ascoltare, nella schiera di quest’ultimi, scrittori come il moderno Brecht che si dimostra estremamente severo su questo tema, quando esclama con acceso sdegno:
«Tebe dalle sette porte, chi le costruì? Ci sono nomi dei re, dentro i libri. Sono stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? Dove andarono la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori?».

Già due secoli prima di Brecht, Diderot, dopo un lungo oscurantismo sulla produzione manualistica, rivaluta ogni cosa riconoscendo apertamente che «il poeta, il filosofo, l’oratore, il ministro, il guerriero, l’eroe sarebbero nudi e mancherebbero di pane senza quell’artigiano che l’oggetto del nostro crudele disprezzo» (dall’Encyclopédie, alla voce «Mestiere»). Occorre riconoscere, anche, che questo pensiero ha fatto molta strada fino ad oggi, cogliendo non pochi allori e donando al lavoratore la legittima dignità al cospetto della società. Ora si pone questo chiarimento. Se la questione antica, emblematizzata dal Brecht, col ritenere scandalosamente disumano l’atteggiamento degli antichi potenti coronati nei confronti della “manovalanza”, oggi appianata nel mondo occidentale, resta pur sempre da cancellare il presunto causale, un certo imprecisato “peccato originale”, che la logica matematica dovrebbe escludere di fatto, potendo, magari, intravedere “tangibilmente”, almeno un certo “re-architetto” al di sopra del peccato. Questo per fare legittimamente un respiro di sollievo e non portarsi dietro continuamente l’infamia antica legata, di fatto, dallo stesso sangue, e quel che è peggio di ritenersi anche figli, in modo concreto, di progenitori di cui non potere andare fieri. Il fatto che in quest’ultimo millennio si sia determinata una soddisfacente intesa tra imprenditori e lavoratori, lo si deve ritenere frutto di un incantesimo e restare ancorati ad un atteggiamento fideistico di antico stampo religioso? Oppure si deve argomentare che l’intenzione di giungere al felice stadio di equilibrio in questione esisteva in potenza, se pur in modo “remoto”, perché trasmessoci “geneticamente” dai nostri progenitori atavici in stretta relazione con gli antichi re alla sbarra, ed oggi giunto a fioritura come un purpureo fiore di loto?

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Autore: Gaetano Barbella
Messo on line in data: Settembre 2005
Apparato iconografico a cura dell’Autore.