LA GUARIGIONE DEL CIECO NATO di Gaetano Dini
Esoterismo della Bibbia: la guarigione del cieco nato, una parabola dal Vangelo di Giovanni
Gesù e i discepoli erano a Gerusalemme e incontrarono per strada un uomo nato cieco.
Di chi è la colpa di questa menomazione, sua o dei suoi genitori, chiesero allora i discepoli?
Di nessuno di loro, rispose Cristo. E io che sono la Luce del mondo devo compiere le mie opere finché sono di questo mondo.
E così sputò per terra, fece del fango con la sua saliva, glielo spalmò sugli occhi e disse a lui: “Vai a lavarti nella piscina di Siloe”.
Così fece il cieco e dopo essersi lavato vide e tornò da loro.
Saputo del miracolo, il popolo accorreva sorpreso e incuriosito e portò quell’uomo davanti ai Farisei, che rappresentavano il gruppo religioso-politico più significativo nella Giudea dell’epoca.
Questi interrogarono l’uomo che era cieco e ora non più, il quale raccontando loro il fatto sosteneva che Cristo fosse un profeta.
Siccome il miracolo era avvenuto di sabato, per legge giorno assoluto di riposo, i Farisei giudicavano Cristo un impostore e dicevano al vedente che lui era diventato discepolo di un falso profeta mentre loro da sempre erano discepoli di Mosè.
E così questi Giudei cacciarono via da loro l’uomo miracolato.
Gesù, venuto a sapere del fatto, parlò con questo uomo e gli disse di credere in lui perché prima era cieco e adesso vedeva.
“Io sono venuto in questo mondo per giudicare perchè coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Così disse Cristo.
Alcuni Farisei che avevano assistito al dialogo chiesero allora a Gesù: “Siamo forse ciechi anche noi?”
Gesù rispose loro: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”.
Parole spiazzanti queste e che ingenerano perplessità nel lettore.
Nell’immagine sotto,
“La guarigione dei cieco nato” di Gioacchino Asseretto, Carnegie Museum of Art, Pittsburgh
Interpretazione allegorica
Quello che viene narrato non è un miracolo fisico di Gesù, ma spirituale, anche se i profeti della grandezza di Cristo erano in grado di fare miracoli fisici, modificando con la loro forza spirituale la materia, la realtà circostanti.
All’epoca dei Farisei e degli altri gruppi religiosi ebraici, la verità esoterica contenuta nelle sacre scritture non era più compresa.
Si credeva infatti di essere veri religiosi seguendo minuziosamente il rito consistente in abluzioni, preghiere, digiuni, osservanza delle festività religiose, delle tempistiche liturgiche quotidiane.
Nella parabola in argomento, l’uomo cieco dalla nascita rappresenta invece quel genere umano che in maniera confusa avverte in sé il vuoto in cui era scivolata la religione ebraica dei suoi tempi. Questa non era più in grado infatti di offrire una valida vocazione per chi la cercasse.
Il cieco della parabola, non avendo però una valida alternativa religiosa cui fare riferimento, era allegoricamente “cieco” in quanto brancolava nel buio della conoscenza. La crisi liberatrice la ebbe incontrando Cristo e il suo Verbo.
Lui che prima non vedeva, è adesso il solo in grado di vedere.
Lui non vedeva, era cieco ma alle false verità che erano venute a predominare nella religione ebraica dell’epoca.
Ma proprio lui, “non vedendo”, si era in qualche modo preservato da quegli inquinamenti mentali, spirituali, religiosi che invece attanagliavano i Giudei del tempo.
I Farisei, infatti, chiamati da Cristo “Sepolcri imbiancati” come i sepolcri esteticamente belli fuori e pieni di ossa di cadaveri dentro, vedevano realmente, ma solo quello che era falso.
Invece colui che era cieco si era preservato, mantenuto in una sorta di immunità spirituale che gli permetteva così di essere terreno fertile per la fioritura del nuovo messaggio di cui era portatore Cristo. Messaggio che era nuovo per quei tempi solo nella sua prorompente carica spirituale.
Rimaneva invece necessariamente vecchio nei suoi contenuti spirituali e metafisici in quanto si ricollegava obbligatoriamente al messaggio di Mosè e alla dimensione spirituale propria degli antichi patriarchi biblici, che Cristo si proponeva di trasmettere tramite l’uso continuo di parabole, necessari aforismi, esempi figurati al fine di far meglio capire la verità agli uomini del tempo.
La presente parabola parla anche della Piscina di Siloe.
All’epoca era religiosamente raccomandato lavarsi in essa per chi voleva poi entrare nel Tempio di Gerusalemme.
La piscina era infatti portatrice di un simbolismo prestigioso, alimentata come era dalle acque della “Sorgente di Gihon” che sola in epoche precedenti forniva di acqua il nucleo originario della città di Gerusalemme, l’antica Sion.
L’abluzione fatta in quella piscina dal cieco ha invece un significato esclusivamente allegorico, di viaggio spirituale a ritroso verso le antiche dimensioni del Sacro e della sua superba realtà, decadute ora in un’esteriorità religiosa opaca e rituale fatta ormai solo di “piccole leggi” e di meschine convinzioni fuorvianti.
Per i Farisei e le altre correnti religiose dell’epoca, non c’era spiritualmente più speranza.
Gesù dice loro: “Siccome dite Noi vediamo, il vostro peccato rimane”.
A loro infatti, tutti pervasi di zelo esteriore nella sola osservanza dei gesti rituali, era ormai inesorabilmente preclusa la felice conquista dell’Armonia, del Cosmos, del Regno dei Cieli, della autentica “Sapienza dei Veggenti”.
Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Luglio 2020