GLI JHAKRI: UN MISTERO DA CAPIRE di Serena Rondello

Un popolo misterioso

Uscendo dalla libreria durante la pausa lavorativa, mi imbatto in un cestello porta giornali pieno di riviste che vengono distribuite gratuitamente e, incuriosita, ne afferro una. Si chiama “Progetto Solidarietà” ed è un periodico trimestrale che tocca con estrema sensibilità temi molto delicati e poco conosciuti. Fra i tanti, sono rimasta molto affascinata da un articolo sugli Jhakri (l’equivalente nella nostra lingua di spettinato, ribelle ma anche sguardo limpido e intenso), forse meglio noti come sciamani del Nepal ed è proprio da questi che ho preso spunto per scrivere le considerazioni qui di seguito riportate.

Nel solo Nepal si contano circa ottocentomila sciamani, la cui assistenza viene ancor’oggi di gran lunga preferita a quella delle strutture sanitarie governative: proporzionalmente si può trovare uno Jhakri ogni venti abitanti contro i cinquecento medici ogni trentamila! Il Ministero della Sanità nepalese ne ha riconosciuto a tal punto il carisma, da trasformare alcuni di essi in operatori sanitari impiegandoli per la diffusione di medicinali.

Il principio alla base delle loro cure è quello secondo cui, anche le malattie più gravi, non hanno mai una semplice origine microbiologica. Gli Jhakri sfruttano l’alta quota, le erbe medicinali e la musica per stimolare sogni e visioni, per sincronizzare la mente e armonizzarsi con il ritmo del mondo: questo stato di grazia è chiamato kamnu e si manifesta con sussulti, tremori ed episodi di catalessi. E’ una sorta di morte rituale che, all’inizio fa sentire smembrati per poi far ricomporre grazie ad una forza misteriosa che coincide con la discesa delle divinità sul maestro: questo, permette di curare le malattie provocate da streghe o maghi neri (boski) e di eliminare le negatività che si sono introdotte nell’anima del malato.

Nelle loro attente diagnosi bioenergetiche, gli Jhakri riescono a leggere l’aura che si identifica con un alone magnetico e colorato che irradia il corpo umano: attraverso la sua lettura riescono a decifrare lo stato di salute e di serenità delle persone. In una terra ancora arretrata e che nell’immaginario collettivo si lega ai misteri delle sue catene montuose ed ai dibattiti religiosi, scopriamo che le disarmonie energetiche vengono misteriosamente sanate col suono del tamburo ma, quello che più stupisce è come il malato venga visto e curato con un’ ottica diametralmente opposta rispetto ai paesi occidentali “evoluti”: in Nepal infatti, la malattia non è sentita come un fatto privato, ma il malato viene preso in cura dall’intera comunità.

Cerchiamo di esaminare più da vicino il tipo di vita che conducono gli sciamani e il cammino che porta ad esercitare una simile “professione”.
Il percorso che deve seguire un individuo per provare gli stati d’estasi a cui arrivano gli sciamani è molto complicato, come ci fa comprendere Claudine Brelet nel suo saggio Le arti mediche sacre. Ci parla di un uomo dal “corpo aperto” in cui albergano spiriti e divinità e che si è addestrato con esercizi straordinari.

L’apprendista sciamano si apparta nel folto di una foresta o nella solitudine delle montagne, vivendo con gli animali. Si fortifica immergendosi nell’acqua ghiacciata dei torrenti e si abitua a sconfiggere il dolore flagellandosi con ramoscelli, amputandosi una o più falangi o praticandosi profonde scarificazioni; cammina a gran velocità, sale, scende, risale e si precipita nuovamente giù dai pendii delle montagne desertiche. Giunge così al parossismo dello sfinimento fisico e nervoso, che di colpo, lo farà cadere nello stato estatico, nel trance e nelle visioni tanto agognate. Le sue intuizioni e il suo “linguaggio segreto” sono le sorgenti di ogni arte e medicina. Lo sciamano quando raggiunge lo stato di trance provocato dal miscuglio di erbe, funghi allucinogeni come la psilocibina contenuta nell’Ammanita Muscaria e i suoni di tamburo, prende contatto con gli spiriti della Terra, entra in armonia con il caos di energie che si muove all’interno di essa e ristabilisce un equilibrio tra uomo e universo“.

Probabilmente, se un occidentale vedesse uno sciamano “al lavoro” rimarrebbe sbalordito: durante il suo viaggio magico infatti, lo Jhakri trema e perde i sensi per sprofondare nel ventre di un mondo che gli fa rasentare i limiti della follia. In realtà, attraverso una danza estatica e la creazione di nuovi bioritmi, vive un’esperienza dolorosa di morte e rinascita a nuova vita tale da attribuirgli il titolo di mistico e di medico prima ancora che di mago. La morte simbolica e la conseguente rinascita, liberano l’energia interiore imprigionata nella corazza del corpo e aprono la via alle visioni e alla sapienza sciamanica. In questo modo, lo Jhakri può lottare contro ombre e demoni che causano disgrazie e malattie ma non solo: attraversa foreste di fiamme e fiumi di pece, il corpo dapprima si disfa, poi diventa puro e leggero; infine, scala l’albero cosmico e si ritrova in un paradiso solare dove è accolto come un santo.

Quando si incontra il vuoto, l’assoluto e il trascendentale non c’è cammino, né meta da conquistare. Con un senso di vertigine si galleggia nel mare del silenzio senza più confini corporei e si sprofonda nell’intimo della psiche: è un percorso di consapevolezza di auto-guarigione e di rinnovamento di sé stessi, si vince la paura di morire, si superano disordine psichico e caos, si conquistano agilità e sensibilità corporea, poteri medianici e creatività.

Lo Jhakri studia anche le abitudini degli animali e del mondo vegetale, tanto che potremmo definirlo un “etologo”: per meditare in silenzio egli si ritira nel verde grembo della foresta, vagabonda nei deserti d’alta montagna per curarsi e si fortifica con docce ghiacciate, bagni di vento e diete vegetariane. Ritorna così alla natura selvaggia e animale e per proteggersi dai demoni è solito indossare il costume sciamanico che è una corazza energetica, ma anche una mappa di simboli cosmici e di itinerari metapsichici. Lo Jhakri è un trasformista che conosce l’arte delle metamorfosi: infatti, per scaricare le tensioni sociali, rinsaldare il gruppo e tramandare i miti del clan, inventa psicodrammi e feste, ma è allo stesso tempo un mago che pretende di regolare la meteorologia per assicurare la caccia e i raccolti, un medico che cura le malattie dell’anima e del corpo, uno psicologo e un veggente poiché i suoi occhi sfavillano nel buio per scrutare i segreti della vita. Libero e sempre più sol,o è un filosofo che ricerca senza inibizioni la verità e un “politico” coraggioso in lotta contro le ipocrisie e le violenze del potere.

L’articolo di “Progetto Solidarietà”, riporta alcuni esempi di percorso per giungere allo sciamanesimo e testimonianze di pratica sciamana: si parla di un erborista (baidia) che prepara decotti di ciraito (Sivertia Chirata) un’erba che cresce sopra i 2000 metri e che stimola l’appetito, impacchi di titepati (Artemisia Vulgaris), banmara (Eupatorium Odoratum) per cicatrizzare ferite e bloccare le emorragie e il te’ di datura (Datura Stramonium), antidolore ed efficace per curare la dissenteria; si narra altresì di un giovane che eredita dal padre il mestiere di sciamano che allontana le negatività incorporate nelle anime dei malati. Il racconto più scioccante però, è stato per me quello di una ragazza appena ventenne, il cui guru l’aveva sfidata a dormire per tre notti di fila vicino alle pire funerarie dove si radunano gli infidi sijo, ovvero le ombre vendicative di chi muore male e in disgrazia e i massans, le anime che appartengono ai fuori casta suicidi, provocatori di diarree e infarti mortali. Questa fanciulla, grazie ad una forza di volontà straordinaria, è riuscita a vincere gloriosamente la sfida: il titolo di sciamana è finalmente diventato suo di diritto!

Mi rendo conto che in un’epoca di consumismo, distruzione di foreste e rischio di estinzione a cui abbiamo portato troppe specie animali è difficile credere e parlare ancora di questi personaggi così inconsueti. La figura dello sciamano si difende a fatica, ma paradossalmente, chi riesce a non rimanere ammaliato da questo mondo così affascinante e misterioso? In fondo tutti noi siamo alla ricerca di uno Jhakri in grado di abbattere bhut (spiriti maligni), bir (incubi) e bayu (venti e umori maligni) nonchè tutto quell’insieme di forze invisibili che la scienza non sa curare.

Credere o avere la speranza di credere che grazie al canto mantra i demoni causa del male, abbandonino il corpo del malato: questo è quello che cerchiamo quando la medicina si arrende e che, in fondo ha fatto per secoli da contorno agli istinti e alle animalità naturali dell’uomo. L’uomo moderno cerca di fuggire sempre più dal suo mondo inquinato, ma ritrovare il sentiero nella “foresta” per ritornare a scuola dallo sciamano è ancora molto difficile. Studiare nei boschi, esplorare, viaggiare con corpo e mente: questa sfida è ancora troppo complicata per gli occidentali pieni di agio e comodità; peccato che la sopravvivenza della terra dipenda anche da questo! Gli sciamani e specialmente gli Jhakri lo sanno, ma rischiano di non avere più armi per difendersi; anche noi diciamo di avere questa consapevolezza, ma non la tuteliamo con azioni concrete. Oltre al Nepal, oggi se ne trovano ancora in Amazzonia, in Siberia, in America centrale, ognuno con i propri animali sacri da venerare e con singolari unguenti miracolosi frutto di miscele di erbe segrete ma, quella dello sciamano, rimane una figura della quale si hanno le idee molto confuse e che mantiene un forte alone di paura e mistero anche se ad oggi, rimane forse il solo protagonista di un mondo che conserva ancora la forza di sfidare l’ignoto e il segreto dell’esistenza.

 

Autore: Serena Rondello
Messo on line in data: Novembre 2004

 

Bibliografia
Progetto Solidarietà – Anno VI n°2 – giugno 2004
Trimestrale del Centro Cooperazione Sviluppo.
www.ccsit.org