IL MASSAGGIO KALARI di Amadio Bianchi

Il massaggio Kalari con i piedi

Nel sud-ovest dell’India, in Kerala, il paese che ha assunto il nome dalla noce di cocco presente in abbondanza sul territorio, si praticava (e ancora si pratica) un singolare massaggio eseguito con i piedi. Tale trattamento ha avuto le sue origini nell’ambito delle arti marziali: nelle retrovie dei campi di battaglia, abili operatori attendevano i guerrieri, che rientravano dalle scorrerie, e portavano loro sollievo o curavano ferite e contusioni con manovre e oli appropriati.

Si presume che l’utilizzo dei piedi fosse più efficace delle mani, nei confronti di muscolatura assai consistente e tonica come quella dei combattenti dell’epoca. Il metodo di cui si sta parlando è applicato con il supporto di una corda che scende dall’alto e permette all’operatore sia di scaricare all’occorrenza una parte del peso corporeo, sia di mantenere l’equilibrio. Tale accorgimento diviene ancora più necessario nell’atto finale quando il massaggiatore dopo aver cosparso d’olio, sapientemente confezionato secondo le necessità, le membra del suo assistito, sale direttamente sul corpo con entrambe i piedi.

Per l’applicazione dell’olio, citato nella precedente frase, si utilizzano normalmente manovre, eseguite indifferentemente con la pianta del piede destro o sinistro, le quali possono essere drenanti, vale a dire di stimolo per la circolazione venosa se condotte dalla periferia del corpo verso il cuore o arteriosa se in direzione opposta cuore–periferia; altre, sono da considerare linfostimolanti, utili in pratica ad attivare il sistema immunitario, mentre le più esperte riguardano alcuni dei 108 punti vitali conosciuti con il nome di Marma. In questo, come nella maggior parte dei metodi di massaggio indiano non mancano movimenti in grado di stimolare il funzionamento degli organi interni, in particolare dell’intestino.
Alcuni Maestri preferiscono iniziare il trattamento con l’assistito in posizione supina, altri prona. Per quanto mi riguarda, salvo eccezioni, inizio sempre con il paziente in posizione supina.

 

Nella foto a lato
il maestro Amadio Bianchi compie il trattamento di massaggio Kalari con i piedi

 

Sperando di poter dare, a chi mi sta leggendo, un’idea del tipo d’intervento, provo a descrivere qui di seguito l’ordinata sequenza di manovre che normalmente effettuo preferibilmente sul corpo di sportivi o ballerini: inizio versando dell’olio (normalmente di sesamo) in un piatto e volutamente, scelgo di operare prima sulla parte destra del corpo intendendo in tal modo rendere l’approccio più naturale possibile. Come ho già più volte affermato, l’emisfero sinistro del cervello (che disciplina la parte destra del corpo), entra in funzione prima rispetto all’opposto emisfero (per questo è detto trainante), rendendo così la parte destra istintivamente più disponibile e reattiva.

Tenendomi in equilibrio afferrato alla corda, dopo aver oliato il piede che intendo usare, immergendolo nel piatto, incomincio a stendere l’olio sull’intera gamba e, diversamente a quanto insegno normalmente in altri sistemi volti più al ringiovanimento del corpo, conduco la manovra nella duplice direzione venosa e arteriosa, caviglia inguine e inguine caviglia, dedicando tuttavia al ginocchio alcune specifiche manovre circolari, soprattutto intorno alla rotula per portare sollievo all’articolazione. Passo poi a stimolare specificatamente il sistema linfatico nella zona dell’inguine percorrendolo più volte avanti e indietro. Eseguo in seguito lo stesso tipo di manovre sull’arto sinistro.

Mi sposto sull’addome e dopo aver trasferito un po’ d’olio nell’ombelico, con movimento a spirale in apertura, in senso rigorosamente orario, lo stendo, utilizzando la pianta del piede su tutta la superficie dell’addome. Con la manovra che segue vado a stimolare l’intestino in senso peristaltico: partendo alla base del colon ascendente eseguo più volte una manovra che rispetta il percorso colon ascendente, trasverso, discendente, consapevole di quanto sia importante far funzionare bene l’intestino.

Ci sono Maestri che a questo punto ritornando verso il basso, con la dovuta attenzione e scaricando una buona parte del loro peso sulla corda, salgono su entrambe le cosce. Facendo oscillare il loro peso ora sul piede destro ora sul sinistro tentano di rimuovere talune tensioni profonde presenti nella zona del bacino. In qualche caso trovano persino il coraggio di salire direttamente sull’addome. Sinceramente, vista la delicatezza dell’area e la presenza di sempre più diffuse patologie, nonostante abbia appreso ad eseguire anche queste manovre, preferisco rinunciare, avvertendo ogni volta le insidie che si possono nascondere durante l’esecuzione.
Seguito invece, rimanendo con un piede a terra, a massaggiare il torace, le costole (dallo sterno verso il fianco) e il seno con direzione oraria per il sinistro e antioraria per il destro.

Procedo a trattare prima la mano poi il braccio, dove prevedo una manovra drenante come per la gamba sia in senso venoso, sia arterioso. Mi soffermo sulla spalla pigiando leggermente per promuoverne l’apertura.
In generale, a questo punto, passo alla posizione prona anche se il metodo indiano prevedrebbe l’intervento al viso che, come potete immaginare, in occidente non è sempre gradito per le strane sensazioni che manovre condotte con il piede possano provocare soprattutto, su un’utenza non adeguata dal punto di vista psicologico. Anche nella posizione prona tendo a ripartire dalla gamba destra e la prima manovra prevede la solita azione accurata drenante in tutti e due i sensi mentre la seconda interessa in senso orario il cavo popliteo per stimolare il sistema linfatico. E’ ora il turno della schiena: partendo dal basso della colonna vertebrale e movendo il piede verso il fianco, stendo l’olio prima da un lato e poi dall’altro, salgo gradatamente e massaggiando la scapola, il trapezio, discendo lungo il braccio e termino nella mano. La manovra che segue è detta “pellegrinaggio sulla colonna vertebrale” ed è eseguita nel modo seguente: si appoggia delicatamente il piede destro sulle reni e facendolo oscillare, passando dalla punta al tallone, si esercitano misurate pressioni solo a lato della spina dorsale. Si risale fino alla settima cervicale e si ridiscende al coccige per ben tre volte. Per rendere la mia spiegazione più chiara affermerò che i Maestri indiani, per allenare i loro studenti ad un’esecuzione corretta, tracciano sulla sabbia una linea che rappresenta la colonna vertebrale e gli studenti, dopo aver posto il piede in modo che la riga sia al centro dello stesso, si addestrano ad eseguire pressioni alternando parte anteriore del piede e tallone senza cancellare la riga stessa, segno evidente che la spina dorsale è risparmiata da eventuali pressioni pericolose.

Il trattamento si conclude con alcune spettacolari manovre che portano l’operatore a salire direttamente sul corpo con entrambe i piedi. Il primo contatto avviene tra le piante dei piedi dell’operatore e quelle dell’assistito lasciando i talloni sul pavimento per non eccedere con il peso. Si sale poi con l’intero piede sui polpacci, di seguito sulle cosce ed infine sulla schiena. La manovra finale prevede che l’operatore salga sul sacro e, dopo alcuni istanti, porti il piede sinistro sulle dorsali per esercitare sapienti pressioni alternate sacro-dorsali che possano incrementare una riduzione delle cifosi. Termina qui la descrizione di questo particolare antico metodo indiano, unica raccomandazione che il lettore non provi ad eseguire tali manovre senza la presenza di un esperto.

 

Dos,a e subdos,a

Secondo l’antica medicina indiana, gli “agenti” regolatori della natura e quindi anche del corpo umano sono i dos¸a. Anche salute e malattia conseguono dalla loro condizione e interrelazione. Va¯ta è il principio del movimento, della propulsione e della forza di eliminazione; pitta la combustione e la trasformazione; kapha il consolidamento, l’assimilazione, l’inerzia.
Microcosmo e macrocosmo, secondo un fondamentale principio vedico, sarebbero in dinamica unitaria interrelazione, anche per causa di questi tre principi presenti in entrambi gli aspetti della manifestazione e, per conseguenza, la natura eserciterebbe una vitale influenza sul complesso psicosomatico umano. Per questa ragione, l’uomo, ad esempio, non solo sarebbe influenzato dalle caratteristiche ambientali ma risentirebbe del passaggio da una stagione all’altra.
Nell’interpretazione ayurvedica, il concetto di dos¸a è dunque un punto focale da cui partire per effettuare, ad esempio una diagnosi clinica e un trattamento terapeutico prevede il tentativo di riportare queste tre forze in equilibrio.

Vediamo ora di prenderle in esame un po’ più da vicino sia come primaria localizzazione dal punto di vista patologico, sia funzionale. Va¯ta, normalmente, alla presenza di squilibrio, si va principalmente ad accumulare nell’intestino colon ma anche in altre zone dell’organismo come le cosce, le anche, le ossa le orecchie, la trachea, il cervello, la pelle. I cinque costituenti di va¯ta o subdos¸a, infatti, determinano funzioni che si possono ritenere principali e si dislocano in varie aree del corpo:

1. Il pra¯na va¯ta (pra¯na: aria prima o principale) alimenta il cervello, i polmoni, il battito cardiaco, i cinque sensi sopratutto udito e tatto.

2. L’uda¯na va¯ta (aria che va verso l’alto) lo ritroviamo nella gola, nel torace, nei polmoni, nell’ombelico, nei seni nasali. Esso alimenta l’espirare, l’esprimersi (anche come parola), la tosse, l’eruttare.

3. Il sa¯mana va¯ta (aria che uniforma o equilibra) alimenta la peristalsi ed è perciò diffuso in tutto l’apparato alimentare, principalmente nell’intestino tenue. E’ collegato all’assimilazione ma soprattutto alla digestione.

4. L’apa¯na va¯ta (aria che si muove verso il basso) è situato nel colon. Governa ogni tipo di espulsione come quella relativa alle feci, all’orina, al flusso mestruale, al parto o all’eiaculazione.

5. Il vya¯na va¯ta (aria diffusa o penetrante) risiede nel cuore, nei vasi sanguigni, nella cute, nelle ossa, nei muscoli e nei nervi. Alimenta, dunque, principalmente, la circolazione, ma anche i movimenti del sistema muscolo-scheletrico e l’innervazione degli organi di senso.

Quando pitta si squilibra va ad accumularsi specialmente nell’intestino tenue ma questo dos¸a si ritrova presente in maniera determinante anche nel fegato, nella milza, nello stomaco, nella cute, negli occhi, nel cuore e nel cervello, grazie all’azione funzionale dei suoi subdos¸a che sono:

1. Pa¯caka pitta (il pitta digestivo) si trova nell’intestino tenue e nella parte finale dello stomaco, negli acidi dello stomaco stesso, negli enzimi, nella bile e negli ormoni. Collegato ad agni (il fuoco digestivo) regola anche la temperatura del corpo.

2. Il rañjaka pitta (il pitta che dà calore) è principalmente collocato nel fegato, nella milza, nell’intestino tenue, nello stomaco, nel sangue, nella bile e nelle feci. Contribuisce, inoltre, alla produzione di globuli rossi.

3. Il sa¯dhaka pitta (il pitta del discernimento) lo si ritrova soprattutto nel cervello e nel cuore. Genera sia la comprensione attraverso il pensiero logico sia il coraggio. Permette anche la digestione mentale e psicologica dei fatti dell’esistenza.

4. L’a¯locaka pitta può essere considerato il pitta degli occhi e permette di comprendere ciò che si vede ma più propriamente, in senso psicologico, consente di sperimentare una corretta visione del mondo.

5. Bhra¯jaka pitta è il fuoco che determina la luminosità della pelle e la sua temperatura. Situato soprattutto nella cute è tuttavia presente anche nel sudore e nelle secrezioni sebacee.

Il kapha, il cui letterale significato è acqua rigogliosa, quando si aggrava va accumulandosi principalmente nell’apparato respiratorio. Tra i dos¸a, come ho già affermato in altre occasioni, è il più grossolano ma di vitale importanza nella costituzione dei fluidi corporei come il plasma, i muchi, la flemma, il liquido cerebro-spinale e sinoviale.
I suoi subdos¸a sono:

1. Kledaka kapha (la forma dell’acqua che umidifica) che ritroviamo nello stomaco a proteggere le pareti dall’azione acida di pa¯caka pitta e a liquefare il cibo nella prima fase della digestione.

2. Avalambaka kapha (la forma dell’acqua che sorregge) localizzato principalmente nel cuore, nella spina dorsale e nella membrana pelvica. Esso lubrifica il cuore ed i polmoni ed è responsabile dei sentimenti affettivi e, qualche volta, degli stati depressivi che conseguono in caso di insoddisfazione.

3. Il bodhaka kapha (la forma dell’acqua che dà percezione) sta nella lingua, nella saliva e nella bocca ed è associato al gusto non solo in senso fisico ma anche psicologico.

4. Il tarpaka kapha (la forma dell’acqua che da appagamento) risiede invece nel cervello, nel fluido cerebro-spinale, nei seni nasali e nel cuore ed è anche associato alla tranquillità emotiva nonché alla serenità.

5. Lo s´les, aka kapha (il kapha della lubrificazione) è il fluido sinoviale che si trova nell’interno delle giunture corporee e delle articolazioni in generale.

 

Per concludere, dos¸a e subdos¸a, sono, nella medicina ayurvedica, i fondamentali costituenti del corpo insieme ai dha¯tu (tessuti), upadhatu (tessuti secondari), dha¯ra¯ kala¯ (membrane e rivestimenti), srotas (canali circolatori), e mala (secrezioni ed escrezioni corporee).

 

Autore: Amadio Bianchi
Messo on line in data: Agosto 2004