PAGANINI E IL TRILLO DEL DIAVOLO di Redazione

La figura del Diavolo è protagonista di tanta parte di letteratura ed arte ma, in particolare, della musica. L’idea che essa possa rievocare lo stato brado racchiuso al fondo dell’animo umano ed attrarre l’incommensurabile desiderio di libertà, fascino e seduzione di quanti provano la famosa “seduzione del male” ha contribuito ad affascinare scrittori e musicisti di tutto il mondo e a riversarne l’ombra nelle opere create od interpretate.
Uno di questi è Niccolò Paganini, famoso per l’interpretazione a tinte forti de Il Trillo del Diavolo.
Violinista e compositore, Niccolò nacque a Genova nel 1782 e morì a Nizza nel 1840; fu allievo di G. Servetto e, poi, di F. Gnocco ma terminò i suoi studi a Parma tra il 1795 e il 1796. Nel giro di pochi anni mise in atto una tournee di concerti che riscosse successo e gli garantì il lavoro alla corte di Elisa Baiocchi dal 1805 al 1808. Da allora l’attività concertistica fu frenetica ed impegnativa: la musica si fece vita e la vita si fuse con la musica. Fu, quindi, meramente a causa di una salute precaria che l’artista decise di mettere un freno alla sua passione e di concluderla a Torino nel 1837, tre anni prima della sua morte.

Ciò che rese famoso Paganini in tutto il mondo non fu soltanto la sua indubbia capacità tecnica, ma piuttosto l’abilità nel cercare e creare suoni dalle suggestioni magiche, di stregare il pubblico a lui devoto e di rievocare atmosfere remote dalle forti connotazioni misteriche. Caratteristico di Niccolò, infatti, fu l’inseguimento di un piacere derivante dal legame fortissimo tra la musica da lui scritta e l’anima dell’interprete. Esempio di questa fervida ricerca sono, in particolare, i Capricci, in cui l’estro creativo si fuse con lo spirito musicale dell’artista che trattò lo strumento come un essere umano le cui potenzialità vanno sfruttate al massimo. Ma Paganini non disdegnò nemmeno la musica da camera suonata con la chitarra, strumento da lui molto amato, e le variazioni (vedi Le streghe, I Palpiti). Un articolo della Gazzetta di Genova, per esempio, ben descrisse l’atmosfera rarefatta e quasi “stregonesca” che Paganini era in grado di riprodurre durante i suoi concerti. L’articolo si riferisce, infatti, ad un concerto che ebbe luogo al Teatro Carlo Felice:

 

Difficile è a descriversi il quadro animato nell’interno del teatro splendidamente illuminato: non meno di tremila spettatori attendeva impazienti l’affrettato momento. Paganini comparve sulla scena. Tutto fu silenzio. Note portentose sorsero al possente tocco dell’arco ed una meravigliosa armonia si diffondeva per l’aurea sala: i suoni, le voci si direbbe quasi la parola che uscir parea viva da quel magico luogo producevano negli animi fortemente concitati ora a passione, ora a festività, il più gradito alternare di affetti e di pensieri”.

Ma da dove sgorgava questa incredibile capacità di corteggiare il pubblico facendo scivolare le mani su note suadenti, per poi farlo  cadere nella rete della seduzione?
Bisogna ricordare che, nell’Ottocento, girava voce che Paganini avesse stretto qualche strano patto col diavolo o che, quanto meno gli fosse devoto; alcune riviste lo rappresentavano addirittura come dotato del classico piede di verro, speso associato all’iconografia del diavolo. In molti giuravano di averlo visto suonare col diavolo in persona o di essere a conoscenza della sua dimestichezza con la negromanzia. Se ci fosse qualcosa di vero in queste voci non ci è dato saperlo. La vita dell’artista fu, comunque, costellata da episodi strani e la sua fisionomia certo non l’aiutava a smentire i pettegolezzi che gli giravano attorno: capelli lunghi e scuri, occhi dallo sguardo tagliente, incarnato pallido e in forte contrasto coi colori scuri del suo volto, naso prominente ed aspetto definito dai suoi stessi amici “cadaverico”. Si fece presto a diffondere la notizia secondo cui Niccolò e il Diavolo fossero legati da una forte “amicizia”: si narrò che le corde dello stesso violino del musicista fossero state costruite con l’aiuto del Demonio e con la pelle di una sua antica fiamma, uccisa in combutta col Malefico.

Il genio che animava l’artista sorprendeva poi, di concerto in concerto, quanti non riuscivano a credere alle proprie orecchie: l’effetto che la maestria di Paganini era in grado di provocare era l’impressione che la sua musica fosse addirittura suonata da più mani; fu, quindi, piuttosto facile raccontare che era stato Lucifero ad insegnare a Paganini i segreti di quella musica incantatrice. A conferma di questo sospetto c’erano gli strani movimenti con cui Niccolò si contorceva quando prendeva in mano l’archetto e la serie di strane malattie che lo colpirono nel corso degli anni, a cui i medici non riuscivano a dare una diagnosi precisa .
Niccolò, sul palco, sembrava un essere umano in trance, la cui mano era guidata da un essere o da energie sovrannaturali. Anche il profondo fascino che infondeva nelle donne – tante, numerosissime – che cadevano ai suoi piedi contribuiva a diffondere invidie e malelingue; e l’artista doveva divertirsi moltissimo a, se non fomentare, quanto meno esimersi dal mettere a tacere tali chiacchiere. Il pubblico, infatti, non ne sembrava affatto spaventato, anzi, risultava intrigato ed incuriosito da quella personalità così vulcanica ed eccentrica. D’altronde Paganini crebbe nell’epoca del Romanticismo, della passione per la passione, del velo posto sulla ratio degli illuministi per dare spazio alla fantasia e la musica, alla stregua della scrittura, era strumento per volare in una dimensione altra, intessuta di magia ed energie sottili.

Ciò che nella tradizione ha sempre circondato la musica di un alone di mistero è, infatti, la natura ambigua grazie alla quale, pur avendo ed imponendo regole, giunge al cuore di ognuno in modo assolutamente anarchico, toccando e facendo vibrare corde diverse da persona a persona. E Paganini questo lo sapeva benissimo dato che, come è noto, era solito suonare i suoi brani senza mai ripetersi ed interpretandoli ogni volta con ardore e spirito nuovi. Brano suggestivi e fortemente ipnotici;  Il Trillo del Diavolo in particolare ha sedotto Paganini e, ancor oggi, non smette di attrarre quanti ad esso si accostano, seppur con orecchie inesperte e non abituate alle sonorità della musica classica: il mitico personaggio dei fumetti Dylan Dog, infatti, si diverte spesso a suonare il pezzo col suo strumento a fiato e Carlo Lucarelli ne ha fatto il titolo di uno suo romanzo. Probabilmente egli per primo fu stregato dalla storia di questa particolarissima e celebre sonata: il compositore che la scrisse era Giuseppe Tartini (1692-1770) che, esattamente come avrebbero fatto negli anni successivi Goethe, Balzac e Hoffman, raccontò di aver stretto un patto col diavolo che gli era apparso in sogno ed al quale aveva chiesto di mostrargli la sua abilità di violinista.

In perfetta sintonia con lo spirito romantico del tempo ne’ Il Trillo del Diavolo Paganini diede, quindi, libero sfogo alla sua fantasia e rese impossibile qualsiasi tentativo di imitazione. Nelle note che si susseguivano veloci, sfuggenti e al tempo stesso intensamente marcate dalla magia del suo pensiero musicale, fu in grado di conciliare musica e visione individuale. La sua personalità policromatica si evidenziò nel suo inconfondibile virtuosismo e nelle acrobazie di suono che solo lui riusciva a mettere in atto.
Ma perché l’associazione tra il modo di suonare di Paganini e la figura del Diavolo? Nel libro di Rosalba Crollo, Psicoanalisi e musica – la musica del diavolo: il diavolo nella musica, l’autrice lo spiega benissimo, alla luce di un’analisi psicologica del “testo musicale” e ricorda che:

 

“[…] il Diavolo non è solo un simbolo, perché ci coinvolge fisicamente. Il Diavolo è tipicamente un archetipo. […] Quello del Diavolo è tipicamente un archetipo, perché è indubbio che il suo simbolismo è antichissimo e universale. […] Ciò introduce una dilatazione, demoniaca appunto, della nostra abituale percezione sensoriale, una sorta di preconcezione della sensorialità, un terzo occhio. “Apri il tuo occhio teatrale, il grande terzo occhio che scruta il mondo attraverso gli atri due”, suggerisce Nietzsche nel 1881 […]

È inoltre curioso ricordare che la performance con cui Paganini rese famosa la sua interpretazione de Il Trillo del Diavolo ha, oggi, contribuito a coprire di mistero una delle tante zone “magiche” della città di Genova (città natia dello scrittore).
In Vico Gattamorta (e già il nome è tutto un programma!), infatti, si trovava la casa dell’artista fino al 1970, data in cui l’abitazione è stata demolita. Alcune persone del luogo giurerebbero che, ancor oggi, può capitare di udire rumori ambigui e… stridenti che provengono da quel luogo, molto simili a un… “trillo demoniaco”, intriso di nostalgia e profonda tristezza.

 

Autore: Redazione
Messo on line in data: Gennaio 2006