NUOVE POESIE di Cristina Bove


BRULICAVA DI LUCI

Brulicava di luci il lungolago
e andava di presagi zufolando
oscure foglie il vento
odorava di mirto il solitario menhir
la Dea giaceva
abbandonata
dove lieve risacca adagia l’onda
s’era accorta d’amare i provvisori
fragili uomini
E al loro fianco tutta notte attese
di falene sfinite sui falò
L’ombra leggera filigrana ondeggia
sopra gli archi lunari e ne accarezza
di rami flessi le colonne attorte
Pesa il respiro
alla figlia del sole ora che avverte
avvicinarsi il tempo della sosta
e il richiamo del Padre
teneramente echeggia nella valle
Ancora un poco
S’attardano le mani a carezzare
un ricordo di sogno fatto d’acqua
Ancora un poco
si dilatano spire accadimenti
remoti come cycas arborescenti
memorie appollaiate
come poiane stanche di volare
La Dea vuole morire
come tutti gli umani vuol morire
per conoscere i passi d’ogni fine i cunicoli vuoti d’ogni morte…
e rinascere ancora a primavera…
Stanca d’eternità
la Dea si scioglie
sulle rive del lago
Poi tornerà cullata dalle braccia
e di sapori odori sensazioni inganni
confusione e certezza umani avrà
costante il Dubbio l’accompagnerà
fino a quel punto in cui d’essere umana
così stanca sarà che nuovamente
invocherà le stelle
e tra gli Dei adagerà l’essenza all’infinito…

NON BASTERANNO I FIORI

Non basteranno i fiori
di tutta la terra
a coprire quegli occhi
rimasti sbarrati
nel grido impossibile
quel braccio per sempre
proteso
sul corpo del figlio
ragazzo cresciuto nel sangue
nel sangue finito
in estremo rifugio piegato
come un bimbo piccino
un neonato
che vuole tornare
nel ventre che ha appena lasciato
Non basterà il pianto
di tutta la terra
a lavare
quel sangue
che unisce il suo petto
squarciato
a quel che rimane
del figlio
il suo viso che viva
avrà ricoperto di baci
Ora scattano foto
tra muri bruciati
carcasse di macchine
e carcasse di uomini
che d’uomo non hanno
nemmeno le spoglie
fratelli che non hanno
avuto primavera
né autunno a portare
leggera la morte
come fossero foglie

FIGLI

Figli
non potendovi dare
tutto il buono ed il bello
della vita
vorrei potervi almeno
allontanare
dal livore
avidità
odio
dell’uomo che diventa
lupo tra gli uomini
vorrei per voi
che amando
tutto davvero amiate
e vi sia reso
Farvi nascere
è stato
ineguagliabile
chiaro-scuro mistero
Allora non sapevo
non valutavo
che
dandovi il giorno
vi davo anche la notte
e
con la vita
quindi
anche la morte
Sono stata la porta
il vostro accesso
al mondo dell’incerto
attraversando me
ci siete
Ora
siamo tutti in attesa

DISPERSIONE

Sono
così dispersa
nei pensieri che
sempre con maggior difficoltà
mi ricompongo
Credo
di stare in bilico
tra la gravitazione
e il suo contrario
cercando
di sentire ancora l’obbligo
di conquistare numeri
Ma so che adesso
è prossimo
l’attimo dello svincolo
semplice
come un battito
di palpebre…

AL RADUNO

Al raduno
delle vecchie signore
se vi fosse un raduno
di vecchie signore
ci verrebbe svelato
il mistero
di sorrisi increspati
di volti appassiti
di spalle cadenti
di braccia appesate
da mille percorsi
case scuole mercati
di gambe sospinte
nei passi attutiti
alle porte dei figli
e nipoti assopiti…
Le donne attempate
hanno perso la gioia
lavando
cucendo
impastando
sanando
contando
placando
tacendo
cantando…
Le stanche signore
del focolare
stremate
dal troppo amare
se
questo per esse
è l’amare
estenuate funambole
della quotidianità
equilibriste
della casalinghità
le care signore
che guardo ogni volta
con tenera
complicità
nascondono
dietro le loro
espressioni sbiadite
nei lunghi sospiri
nelle intese improvvise
di sguardi velati
l’immagine vera
di sé
Se voi tutti poteste
vedere
CHI sono in verità
quelle vecchie signore
del raduno
sareste
stupiti
ammaliati
da giovani donne
stupende ventenni
affacciate
alle pieghe dei vecchi
vestiti
erette
inquietanti
sorprese
d’essere prigioniere
nelle vecchie signore

UNA PACATA NOTTE

Una pacata notte
fatta di soliloqui
intabarrati
solo fessure d’occhi
a chiamare invisibili
risposte
Cerca l’uscita il tarlo
perforando gli assedi
del suo universo ligneo
sull’ultimo ripiano
del comò
l’attende il paradiso
Nel mistero assopito
onirico pensiero
scava trincee ai ricordi
abitanti di case
senza uscita
affollano pareti
Il mio cuore diventa
un orologio
che frantuma minuti
traforando cunicoli nel tempo
Da crimini e lenzuola
se mai risorgerà
cambiatemi l’assetto
dell’inferno
e al nascere dell’alba
potrà tentare
per un altro
cielo

 

Autore: Cristina Bove
Messo on line in data: Aprile 2004