POESIE: IL PROFUMO DEL MITO di Giovanni Corbetta

 

IL GATTO E ODINO

Glorioso da sempre nella sua selvaggia solitudine
Odino il viandante cammina ai margini del mondo,
su strade perdute dove la storia arrugginisce
trascina il passo con stanchezza senza limiti,

e raggiunto il vertice del suo cammino faticoso
quale pugnale la fredda stella della sera
scintilla tra i denti e le labbra screpolate,
e investe il cuore con la sua furia d’uragano,

con gli occhi asciutti di un vulcano spento
dispensa lacrime che sono lava già indurita
sulla smarrita giovinezza della terra,
nulla più cresce nei solchi ormai decrepiti,

lo segue dappresso sulla via della sconfitta
un gatto antico amico del silenzio,
e se un felino non compare dentro il mito
pure il racconto s’allarga nella voce,
e gracchiano i corvi e il gatto fa’ la fusa,

si sfalda l’orgoglio quale infida arenaria
quando il vigore abbandona la carne vulnerabile
e gli anni pesano e sono logora armatura,
ricordi che arrancano in un torrente prosciugato,

s’accumula polvere sul mantello del viandante
e il suo occhio unico scruta le viscere del tempo,
e neppure l’Altissimo può sanare la ferita
che ha inferto al mondo la nostra folle bramosia,

dunque s’immerge nel ventre della morte
Odino l’Altissimo e attende di rinascere,
solo il gatto lo segue nella sovrana indifferenza
e saluta le stelle inarcando la sua coda.

MAPPA DEL MARE INTERIORE

La nave dei sogni sul mare del tramonto
bordeggia un orizzonte spento e illividito
ed io guardo la deriva di simboli e bandiere,
miraggi che poi sgocciolano nel moto delle onde,
in un tremito d’azzurro si perdono sul fondo,

nella rete dei ricordi mi dibatto quale pesce,
il veleno del passato che s’infiltra nelle ossa,
ma mi scortica la pelle il vento della sorte
a disperdere l’inerzia paludosa dell’ignavia
e si slanciano le vele a salutare l’avventura,
tra terra ed acqua e aria una spirale che s’innalza,

cerco dentro l’anima una mappa inafferrabile
come nuvole a brandelli che vagano nel cielo
dove il vincolo segreto che s’occulta nel mio petto
sia inciso in geroglifici di arcana ambiguità,
e la ruota del timone circoscrive gioie e dolore,
un antico pescatore guida la mia mano,

le tracce del mio mito in eroi dimenticati
sono indici preziosi come un faro nella nebbia,
sono l’ancora cui gravita lo sciame delle immagini,
e alla luce della luna il tragitto della vita
è una scia che con tenacia corre incontro all’infinito,
nella schiuma dei marosi ogni peso si dilegua,

segna il punto l’astrolabio nel sentiero delle stelle
e cosa importa mai l’approdo per chi segue il suo destino?,
la vittoria e la sconfitta come gocce dentro il vento
in noi vive questa lotta per la dignità del cuore
e il respiro della luce ha radici nel tuo sangue.

CANTO DELLA SPADA

Ebbra di sangue scintilla alta la spada,
il suo canto che mi agghiaccia a fondo il cuore,
e i suoi volteggi lucidi nell’aria
sono spirali come presagi d’infinito,

e morde la pelle con i suoi brividi di gelo
tagliando a pezzi il tessuto del silenzio,
la scruta un falco che rotea tra le nubi,
balena in un guizzo sul filo dell’ombra e della luce,

ed il ricordo rosso delle braci
dentro agli atomi duttili del ferro,
mentre echeggia come campana la fucina
dell’ardore vibrante del martello,

poi si stempera la passione del metallo,
costretto a giacere tra l’incudine e la morsa,
nel freddo abbraccio dell’acqua sfrigolante,
tra il denso fumo n’è consacrato lo splendore,

l’intera lama bacia il sole innamorato,
i suoi raggi come onde arroventate,
scocca una folgore dalla punta acuminata
in un tripudio fulgente di scintille,

e mi abbacina la sua danza vorticosa
in cui la magmatica roccia incontra il cielo,
tremando i vili si prostrano in ginocchio,
senza vergogna balbettano preci ad ogni dio,

e il loro viso oramai solo una maschera
abbaiano obbedienti ad ogni smorfia del potere,
così abbarbicati alle loro misere esistenze
quali molluschi viscidi allo scoglio,

ma io rimiro lo specchio argenteo dell’acciaio
ed assaporo lo sgomento nel mio sangue,
assaggio la lama contro la carne delle labbra
e un vento nero imperversa dentro l’anima
nessun potere s’innalza sovrano oltre la morte
dunque le porgo il mio sorriso e a lei mi inchino.

Dedicata a M. Moorcock, Diana Paxson e Fritz Leiber e tutte le celebri spade del mondo del mito.
Au contraire, in dispregio alla tipologia dei vili e dei vassalli privi di qualità, un tipo di specie umana purtroppo molto diffusa oggi in Italia.

DOPO LA BATTAGLIA

Trema la terra nel rimbombo dei tamburi,
squillano alte le trombe da battaglia,
Odino l’Altissimo solleva la sua lancia,
con voce di tuono invoca la tempesta,

nubi di morte sciamano le frecce
sibilando come aguzze serpi irate,
l’occhio di brace e l’animo sconvolto
esaltati i guerrieri scuotono le armi,

calano asce a infrangere gli scudi,
le spade cercano il respiro della carne
e dalle membra divelte e lacerate
il sangue sgorga quale fiume in piena,

annaspa il cuore nel nodo dell’angoscia
ed il respiro esplode nei polmoni,
urla selvagge come fragore d’uragano
congelano l’aria in una massa di dolore,

Odino l’Altissimo cammina sui cadaveri
mentre l’eco della battaglia è solo un gemito,
si spegne nei rantoli la bramosia di vivere
e sale la nebbia da zolle fradice di sangue,

soffi di brina sbiancano i volti delle spoglie,
pallide ombre nel loro strazio si trascinano,
poi il silenzio distende ovunque la sua mano
e nessun moto più scuote il peso dell’inerzia,

ma nel tramonto che gocciola di lacrime
un volo d’uccelli a sostegno della vita,
e un gatto seduto sull’albero del mondo
osserva distratto gli effetti della furia
inarca la schiena e s’immerge nel suo sogno.

NAUFRAGIO DI ULISSE

S’immerge il crepuscolo
nelle valli dell’oceano
a spegnere ogni traccia della luce,
e nelle volte del palazzo della notte
l’occhio del mito ci scruta silenzioso,

germina il sangue figure evanescenti
ed irretita dal profumo del passato
l’anima annaspa
quale farfalla nella rete,
leggende incrostano la pelle come edera,

e dentro il gravido ventre delle nubi
si addensa la pioggia
ed ogni goccia bacia il suolo,
un sospiro dalla caverna delle lacrime
lambisce il cuore di chi sogna e invano spera,

nella marea dei secoli all’eterno
è annichilita
la pupilla di chi guarda,
e dal fango della palude della storia
affiorano grumi dolenti di mestizia,

la fonte è uno specchio
che c’incatena nel profondo
e ci perdiamo nel duplice volto del divino,
miseri naufraghi nel mare del destino
il caos deride la nostra presunzione,

e dunque Ulisse al termine del viaggio
è naufragato nelle acque immobili del limbo,
gli eroi scompaiono nel gorgo dell’oblio,
solo il vuoto dov’era l’orizzonte,
resta la polvere e il suono sommesso dei millenni.

 

Autore: Giovanni Corbetta
Messo on line in data: Dicembre 2009