RACCONTO: ALL’IMPROVVISO IL BUIO di Miryam Marino

All’improvviso il buio

Stavo sfrecciando sull’autostrada spingendo con rabbia il piede sull’acceleratore.
Non avevo nessuna voglia di fare quel viaggio. Ma le esigenze del lavoro vengono prima di ogni altra cosa. Del resto chi è che riesce veramente a fare quello che desidera?
In quel momento sarei stato volentieri a casa al calduccio accanto al camino acceso a leggere un buon libro. Per di più ero ancora irritato dal litigio che avevo avuto con un tale a causa del parcheggio, quando mi ero fermato per comprare le sigarette.
Continuavo a pensarci alimentando sempre più la mia irritazione e il mio malumore. Concentrato nei miei pensieri neri non mi ero accorto subito di trovarmi all’improvviso immerso nel buio più compatto che avessi mai visto.

L’autostrada era scomparsa, non più le luci dei catarifrangenti, né i tir che mi correvano accanto, né le macchine che avevo davanti con le loro lucine rosse di posizione, né il loro rumore. Buio e silenzio. I fari della macchina perforavano davanti a me solo la notte.
Mi fermai, presi una pila e scesi a vedere in che posto mi ero ritrovato. Ero costernato, non riuscivo a capire come era potuto accadere.
Avevo l’impressione di trovarmi in una stradina di campagna, ma per la verità non vedevo nulla. Gettai il fascio di luce su quelli che supponevo essere i bordi della strada, ma niente fu illuminato che non fosse il buio e il vuoto. Quando la luce della pila cominciò a impallidire e con un misero sfrigolio si spense del tutto, la mia costernazione si trasformò in paura vera e propria. Provavo lo stesso smarrimento di quando ero stato un bambino pauroso e mi ero trovato da solo al buio in uno sgabuzzino.

A causa dello spavento e della mancanza di ogni punto di riferimento non ero riuscito a uscire sebbene la porta fosse aperta. Volevo tornare alla macchina, ma mi accorsi che anche i fari si erano spenti così che non vedevo assolutamente nulla né dietro né davanti a me.
Per qualche attimo che mi sembrò eterno rimasi bloccato sentendomi del tutto impotente. Poi presi la decisione di andare avanti.
Cominciai a camminare nella notte nera come la pece completamente cieco. Il cuore mi martellava nel petto come un forsennato e non sapevo dove stavo andando. Avevo fatto pochi passi in quelle tenebre quando percepii con immenso stupore e sollievo una fioca luce a breve distanza. Mi trovavo alla soglia di un giardino illuminato da un lampioncino posto davanti alla casa. Avevo la sensazione di essere giunto in un posto in cui ero atteso. Guardai la pavimentazione e mi accorsi che era composta da minuscole mattonelle grigie come era stata quella del giardino di mia nonna. Mi folgorò il pensiero di essere a casa sua. Avanzai nel giardino fino alla casa che aveva dei gradini davanti all’ingresso. Ricordavo che l’abitazione di mia nonna era diversa, ma pensai che ora si era trasferita in questa nuova dimora, portandosi dietro per ricordo la pavimentazione del suo vecchio giardino.

Ora il mio stato d’animo era completamente cambiato. La paura e il timore e tutto lo smarrimento che avevo provato si erano mutati in uno stato di meraviglia e di aspettativa.
Sapevo che mia nonna era deceduta da tempo e così era stato anche per i miei genitori che avevo perso quando ero ancora un ragazzo. Eppure salii di corsa le scale perché mi aspettavo di trovarla. Anzi ero certo che mio padre e mia madre fossero andati da lei perché volevano incontrarmi. La porta era aperta e la casa tutta illuminata.
Entrai in una spaziosa cucina e poi in un’altra stanza dove pensavo che avrei visto i miei genitori. C’era un divano dove ero certo che mia madre si fosse seduta a riposare nell’attesa di me. Ora però non c’era nessuno. Pensai che, stanchi di aspettare, se ne fossero andati.
Salii al piano di sopra per esplorare la casa.

Entrai nel bagno che aveva delle graziose tendine rosa alla finestra. Guardando fuori vedevo il giardino e più in là l’orticello che sicuramente coltivava mia nonna. Pensavo dentro di me che non dovevo dimenticare i particolari di quella casa, di quella avventura. Presagivo che qualcosa di straordinario e di grande mi si sarebbe presto presentato.
Scesi di nuovo in giardino per andare a visitare l’orticello, ma appena fui fuori accadde qualcosa di incredibile e di inconsueto. L’orto e il giardino erano scomparsi e dal buio davanti a me era emerso un palcoscenico. Presto comparvero gli attori.
Ora vedevo l’interno di un circo gremito di pubblico. Assistevano allo spettacolo di due trapezisti. Una donna bionda e agile volava sul trapezio come una farfalla. Dimentico di tutto, osservavo anch’io l’abilità dei due artisti quando un urlo squarciò il silenzio. Veniva dal pubblico, la donna era precipitata nel vuoto e ora giaceva spezzata sul pavimento. Vidi gli altri artisti intorno a lei e il suo partner chinarsi su quella che oltre a essere la sua compagna nell’arte era anche sua moglie.

All’improvviso capii che quella donna ero io, ero stato quella donna. Non provai dispiacere ma nella mia mente si formò un pensiero: “ecco” pensai “perché da piccolo avevo avuto così paura di quelle barchette che volavano come un’altalena.” Quel gioco così innocuo non spaventava nessun bambino ma io ne ero terrorizzato.
Visualizzai l’oscillazione della barchetta che volava in alto e poi precipitava in basso come il movimento della donna sul trapezio. Si era lanciata verso le mani protese del suo partner, ma non era riuscita ad afferrarle ed era precipitata giù.
Questa scoperta mi fece sentire sollevato, come se mi fossi liberato di un peso. Sebbene non fossi più un bambino avevo continuato ad aver paura di qualsiasi cosa che volasse, compresi i viaggi in aereo. Scoprii che quella paura era solo il ricordo di qualcosa accaduto in un’altra vita e che potevo ormai abbandonarla.

Intanto la scena era mutata. Ora vedevo una giovane donna con un viso di bambola e vestita in modo approssimativo. L’abbigliamento era quello di un’altra epoca, forse il Seicento, si capiva che la giovane era molto povera, ma il suo atteggiamento era tutt’altro che dimesso.
Era per strada e, fermatasi sul marciapiede, cominciò a cantare. La sua voce era incredibilmente melodiosa e affascinante e catturò subito l’attenzione dei passanti, che si fermarono ad ascoltare e poi a lasciare una moneta nel cappello che la ragazza aveva posto davanti a sé.
Terminato il canto, la donna raccolse il cappello e si allontanò con un’aria spavalda. Vidi che un uomo le veniva incontro. Era il suo amante, un attore dai capelli arruffati e gli occhi magnetici.
“Ora andranno a ubriacarsi in una bettola e poi passeranno la notte a fare l’amore fino al mattino.” Formulai questo pensiero quasi inconsapevolmente, come se una coscienza dentro di me si fosse ridestata dall’oblio e me lo avesse suggerito. Vidi altre scene della vita di quella giovane donna. Si accompagnava a una combriccola di guitti, tra cui c’era il suo amante. Era sempre allegra e percepii la sua profonda sete di libertà e di vita. Cosa volevano dirmi quelle scene?
All’improvviso capii. Avevo sempre avuto una bella voce intonata e ora sapevo da dove veniva. Ero già stato un’artista di strada e avevo incantato il pubblico. Avevo già respirato quell’anelito di libertà che alleggeriva la mia vita. Una grande gioia mi venne da questa consapevolezza. Quando provai queste emozioni la scena cambiò ancora.

Ora vedevo un uomo anziano chino su rotoli e libri. Dalla finestra aperta si intravedevano i tetti e il profilo della torre Eiffel. L’evento si svolgeva a Parigi. Cercai di vedere cosa stava leggendo. Erano testi kabalistici. Capii che l’uomo era uno studioso di misticismo, forse un rabbino. Questa scoperta mi entusiasmò.
Mi sentii incredibilmente eccitato. La ragione era che, malgrado la mia maschera di razionalità, che indossavo costantemente nella mia vita ordinaria, avevo sempre avuto una passione segreta per argomenti mistici, una passione che coltivavo in segreto e quasi di nascosto da me stesso. Ora ne comprendevo la ragione: ero stato quell’uomo e avevo approfondito ciò che nella mia vita attuale era soltanto un passatempo.

Molte scene si susseguirono su quel palcoscenico, con attori sempre diversi e in ognuno di loro riconoscevo me stesso. Ognuna di quelle esistenze mi aveva lasciato qualcosa. Così capii che, sebbene non avessi avuto mai un’opinione eccelsa di me, io ero la somma e la sintesi di tutte quelle vite che avevo vissuto nelle varie epoche e molte di esse erano state esemplari. Per la prima volta mi sentii veramente fiero di me.
A un tratto mi accorsi che ora sulla scena si stava svolgendo la commedia della mia vita. Vidi me stesso muovermi tra gli spazi angusti del mio quotidiano. Ne fui sconvolto. Perché accadeva? Io stavo ancora vivendo.
Mi ero fatto la convinzione che gli attori che vedevo sul palcoscenico recitassero le mie esistenze passate e perciò quella che stavo ancora vivendo cosa c’entrava? Mi diedi un pizzicotto per verificare di essere presente e che i miei sensi funzionassero ancora. Poi fui coinvolto nello spettacolo.

Vidi quante volte mi ero lasciato abbattere dallo sconforto, quante volte avevo ceduto alle pressioni esterne rimanendo ostaggio delle difficoltà che mi si presentavano nelle varie situazioni. Invece di essere io a condurre la mia vita avevo lasciato che la conducessero gli avvenimenti esterni. Avrei dovuto essere saldo come una montagna e invece ero stato labile come una foglia al vento.
Mentre osservavo tutto questo mi accorsi che lo facevo con distacco, allo stesso modo con cui avevo osservato le mie altre vite passate. Ebbi la percezione che il mio vero io non era in quella vita, o meglio faceva l’esperienza di quella vita, ma non si identificava più completamente con essa, con quel corpo fisico e quella mente in subbuglio. Il mio vero io era qualcosa d’altro, qualcosa di più grande, di più spirituale, di più eterno. “Ora so chi sono” pensai e mi sentii forte, calmo, e pervaso da una nuova e grande saggezza.
Quel momento di grande pace fu interrotto da un clacson che suonava insistentemente. Un automobilista dietro di me voleva a tutti i costi sorpassarmi. Mi portai di lato per permetterglielo e per poco non sfiorai un tir che avanzava velocemente. Ero di nuovo sull’autostrada e stavo correndo per andare ad onorare il mio impegno di lavoro. Dalle indicazioni stradali arguii che avevo fatto un brevissimo percorso e quindi erano passati solo pochi minuti dal momento in cui mi ero trovato immerso nel buio ad ora che continuavo il mio viaggio.
Solo pochi minuti, ma in quello sguardo gettato nella mia coscienza profonda avevo trovato finalmente il centro di me stesso.

 

Autore: Miryam Marino
Messo on line in data: Novembre 2020