RACCONTO: ANGELICA di Miryam Marino

Angelica

Amedeo amava Angelica. Anzi, che dico l’amava, in effetti l’adorava. Ne era incantato, estasiato. La loro convivenza sfiorava ormai i diciotto anni e Amedeo era molto preoccupato sapendo che la sua compagna pelosa stava per lasciarlo.
Una sera di diciotto anni prima, mentre tornava a casa, gli erano giunte alle orecchie delle grida disperate che sulle prime aveva associate al pianto di un neonato, ma col ripetersi del fenomeno aveva capito che se di neonato si trattava doveva trattarsi però di un neonato felino. Tornò un po’ indietro raggiungendo il luogo dove il pianto si faceva più acuto e più vicino. Lì giunto, si guardò intorno e non vide assolutamente nulla. Sul posto c’era un cassonetto e, dopo aver scrutato dappertutto senza esito, Amedeo ebbe l’illuminazione e lo aprì venendo investito all’istante dalle grida più potenti e vibranti che avesse mai sentito.

A lanciare tali urli disperati era un cosino così piccolo che quando Amedeo lo tirò su, gli stava tutto in una mano. Il nostro lo guardò con sgomento e stupore.
“E ora che ci faccio con questo?” si chiese smarrito, ritenendosi del tutto inadeguato a farlo sopravvivere. Il gattino continuava a urlare e a piangere nella sua mano. Urgeva una soluzione immediata. Si avviò verso la casa di una amica la cui gatta aveva partorito da poco, nella speranza che lo accettasse tra i suoi cuccioli. Questa opzione però non fu praticabile. La gatta aveva una mastite e non poteva allattare neppure i suoi micini. Amedeo aveva appena appoggiato sul pavimento il neonato quando questi individuò il grosso gatto nero compagno della gatta mastitica e, deciso a conquistare la tetta, gli corse incontro con il suo andare traballante. Il gatto però, molto turbato dalla sua insistenza e avendone indovinato le mire, si era dato alla fuga. Per nulla arreso, il piccolo lo inseguiva marcandolo stretto.

Era una scena veramente comica vedere quel grosso gatto terrorizzato e inseguito da una briciola di micio. Alla fine, raggiuntolo, gli si avvinghiò a una tetta succhiando a più non posso mentre il felino guardava i due umani con occhi spalancati colmi di costernata disperazione, chiedendo aiuto. Insomma, fallito il tentativo, al poveretto non restò che farsi carico della sopravvivenza di quella piccolissima cosa urlante. Dopo una notte in bianco le cui ore erano state scandite dal pianto del micino affamato, Amedeo si decise ad acculturarsi sull’allevamento dei gattini orfani e scoprì in quel frangente che il latte non doveva essere giammai allungato con acqua come aveva fatto in precedenza, bensì quel latte andava arricchito con tuorlo d’uovo o con omogeneizzati, diversamente il piccolo sarebbe venuto su rachitico perché i neonati abbisognano di molto nutrimento per crescere.

Prima di dargli il biberon lo avvolgeva in un tovagliolo lasciandogli fuori solo le zampine anteriori, questo perché non si sbrodolasse. Ed era meraviglioso vedere questo infante spalancare gli occhi e afferrare con le zampine la bottiglia mentre ciucciava con foga. Amedeo ne era sommamente divertito e intenerito. Insomma era stato un po’ la sua mamma e l’aveva vista crescere poco a poco. Dico vista, perché ben presto si era reso conto del sesso del suo protetto. L’aveva chiamato Paco e dovette cambiarle nome quando la gattina aveva due mesi. Si era dimostrata così ingegnosa e intelligente che Amedeo aveva cominciato a nutrire dei dubbi sul suo sesso e infine c’era stata la conferma. “Come la chiamerò?” si era chiesto, ma poi i suoi occhi misteriosi, azzurri come uno zaffiro di Cylon, lo guardarono con profonda fissità e lui fu certo che doveva chiamarsi Angelica.

Lo sguardo della gatta lo aveva sempre turbato, aveva la inquietante impressione che ella capisse ogni sua parola e la tenesse a mente, e non solo le parole pronunciate, anche i suoi pensieri non espressi. Angelica sembrò confermare questa supposizione il giorno che, unico nel suo genere, non tornò a casa dalla sua passeggiatina pomeridiana che a tarda notte. Eppure Amedeo quel pomeriggio aveva solo pensato di portarla dal veterinario. Quando la sgridava per qualche marachella, se ad Angelica pareva di aver ragione gli rispondeva a tono e gli teneva testa. Capitò che un giorno Angelica si arrabbiò davvero. Dopo aver vigorosamente protestato ai rimproveri del suo compagno umano, si infilò sotto un armadio rifiutandosi di uscire. Restarono arrabbiati l’uno con l’altra tutto il pomeriggio, poi Amedeo dovette allontanarsi. Al ritorno si trovò davanti a uno spettacolo incredibile. Sapeva che Angelica era in grado di aprire tutte le porte della casa comprese quelle degli armadi, per questo motivo aveva custodito i suoi documenti in un mobiletto che aveva sullo sportello una maniglia molto difficile e in effetti Angelica non l’aveva mai aperta. Perciò Amedeo fissava confuso la porta del mobiletto spalancata e tutti i suoi documenti sparsi a terra. Angelica aveva superato anche quella barriera.

L’umano si scosse, si chinò e cercò di capire l’entità dei danni. “Poco male” pensò “erano quasi tutte carte inutili, tranne il libretto della mutua, ma dove sarà finito?” Constatò che le carte inutili erano state soltanto sparse in giro, erano tutte integre. Sotto l’ammucchio trovò l’unico documento che era stato danneggiato. Morsicato, strappato e trafitto dalle unghie giaceva a terra il libretto della mutua. Amedeo restò sbalordito. A produrre quello sfacelo sembrava essere stata una mente consapevole dei propri obiettivi e intenti. Restava da capire come faceva Angelica a sapere che quel documento che aveva distrutto fosse l’unico che gli serviva veramente. D’altra parte Angelica sapeva e vedeva molte cose a cui lui non aveva accesso. Una volta, in giardino, l’aveva vista drizzare il pelo e soffiare verso il nulla. Non c’era assolutamente nulla (per Amedeo) nella direzione verso cui soffiava la gatta. Tuttavia la bestiola era terrorizzata. Quasi raso terra prese a indietreggiare fino a raggiungere il cancello per entrare in casa, dopo di che si voltò e sempre raso terra corse a rifugiarsi sotto il letto rifiutandosi di uscirne per molte ore. Il suo coinquilino umano non conobbe mai la ragione di tale terrore.

Quando usciva o peggio, partiva, restando fuori una giornata intera, Amedeo s’accorgeva subito del cambiamento di umore di Angelica. Lei lo guardava di traverso e sembrava dire “bravo, mi lasci sola ancora una volta!” Poi si allontanava tristemente a testa bassa e si arrotolava con fare sofferto su un cuscino. L’umano si sentiva stringere il cuore. Altre volte si era arrampicata su un cornicione dove era impossibile raggiungerla. Da lassù si protendeva tutta verso l’esterno come a voler mordere l’aria. Amedeo la guardava da lontano in preda a un accesso di tachicardia pregando mentalmente: “Angelica, per pietà scendi da lì, ti prometto che potrai fare tutto quello che vuoi, qualsiasi cosa essa sia, ma scendi ti prego, abbi misericordia prima che mi venga un infarto.”
Nella sua imperturbabile indifferenza Angelica persisteva o, semmai, scendeva da un punto pericoloso del cornicione per approdare su un altro ancora più insidioso.

Qualche volta Amedeo aveva la strana impressione che Angelica lo soggiogasse tirandolo dove voleva lei con un filo invisibile. Quando gli capitava di dover stare fuori a lungo, se Angelica era a spasso, la riportava a casa per tenerla al sicuro. Di solito, quando lui la chiamava la gatta correva subito, a meno che non fosse occupata in altre faccende. Così una volta, mentre continuava a chiamarla, certo che fosse nei paraggi, gli rispose solo il silenzio. Amedeo restò un attimo in dubbio, era stato certo che fosse andata a passeggiare in quei vicoletti pieni di grotte e cantine che le piacevano tanto, ma non si sentiva neppure un fruscio, quindi si voltò per andarsene rassegnato quando con la coda dell’occhio percepì qualcosa di strano dove non doveva esserci. Si girò, fece un passo in avanti e vide fuoriuscire dalla porta di una cantina, là dove mancava l’ultimo tratto di assi di legno, due zampine grige immobili. Angelica non respirava nemmeno standosene lì nascosta nella speranza che Amedeo se ne andasse e che lei potesse rimanere in giro a continuare le sue perlustrazioni. Se poi le somministrava qualche pasticca, lei la ingoiava diligentemente, o meglio era ciò che gli faceva credere, in realtà la nascondeva sotto la lingua e appena Amedeo si girava la sputava in un angolo nascosto. Insomma l’intelligenza di Angelica sfiorava il diabolico. Quando Amedeo si accomodava sul divano davanti alla televisione la gatta gli saltava in grembo e lì si produceva in ogni tenera, carezzevole e gentile effusione possibile, colmandolo di bacini e di fusa. In quei momenti il suo partner umano pensava che non avrebbe potuto vivere senza di lei.

Erano passati così diciotto anni. diciotto anni nella gioia di stare insieme, di ricordi. Angelica si era ammalata, era molto anziana ormai, ma per lui che l’amava così tanto non contava. Osservando la sua piccola amica notava con stupore quanto fosse tranquilla. “Non ha paura” pensò. Non si trattava di coraggio, la gatta sapeva quel che lui non poteva sapere: che la morte non esiste.
Amedeo era persuaso che Angelica non avesse un’anima, poiché è risaputo che nessun animale l’abbia. Perciò era convinto che l’avrebbe persa per sempre e definitivamente e che, scomparso il suo corpicino, non sarebbe rimasto nulla di lei. Mentre Amedeo si dibatteva nel conflitto se farle o non farle fare l’eutanasia, Angelica perse conoscenza. Presto fu trascinata in una dimensione sconosciuta o meglio dimenticata e lì rivide gli amici che prima di lei erano volati sul ponte dell’arcobaleno. Il suo luminoso spirito guida l’aiutò a riportare alla memoria tutta la saggezza che aveva accumulato nelle sue esistenze passate.

Angelica era uno spirito perfettamente evoluto e presto, per sua propria scelta, avrebbe lasciato l’aldilà per entrare nei mondi superiori di pura luce, dove dimorano gli spiriti al termine della loro evoluzione. Lì in quei mondi di elevata vibrazione gli esseri non avevano forma o la cambiavano a loro piacimento di continuo e i loro corpi erano fatti di luce. Questi esseri si dedicavano a guidare umani ed animali nelle loro scelte di vita. Amedeo però non sapeva niente di tutto questo e si stringeva al petto il corpicino inerte inondandolo di lacrime. Angelica lo osservava commossa e pensò che non poteva andare così lontano senza prima averlo rivisto e rassicurato. Una notte, mentre Amedeo era a letto, con gli occhi aperti nel buio e il pensiero rivolto a lei colmo di nostalgia, Angelica aprì un varco nella sostanza astrale per tornare nella dimensione fisica. A un tratto se la ritrovò nel letto. Si stringeva a lui e gli dava i suoi umidi bacini, gli faceva le fusa. L’umano si sentì molto strano, ma felice di riavere la sua gattina non voleva farsi domande ma solo continuare a carezzarla e baciarla. A un certo punto però la razionalità prevalse e l’uomo sentì che cominciava ad essere spaventato. Subito accese la luce e Angelica dovette lasciarlo. Ancora sbigottito Amedeo si chiedeva come era potuto accadere. Non era stato un sogno. Aveva sentito il lieve peso di Angelica tra le sue braccia, aveva sentito l’odore buono della sua pelliccia e l’umido dei suoi bacini ed era perfettamente sveglio. Anzi, non era mai stato così lucido e sveglio.
Nei giorni successivi non riuscì a liberarsi di quel ricordo che sempre di più diventava, al di là di ogni logica, una certezza: Angelica esisteva ancora. E l’amava così tanto da discendere i sette cieli per tornare tra le sue braccia. Finalmente Amedeo capì che Angelica aveva un ‘anima. 

 

Autore: Miryam Marino
Messo on line in data: Settembre 2021