RACCONTO: LA STORIA DI ERNIE SHAW di Marica Petrolati

La nascita di Ernie Shaw, e la sua esistenza in generale, sarebbe probabilmente rimasta dominio esclusivo di quanti ebbero l’occasione di conoscerlo direttamente, e questo, in termini numerici vale a dire si e no duecento persone, cioè l’equivalente della popolazione di Dirsenn, microscopico villaggio dell’Isola di Mull, prospiciente le ridenti coste della Scozia, della cui presenza su questa terra non si trova traccia in nessuna cartina geografica.
Ma il nome di Ernie Shaw, negli ultimi anni ha destato curiosità ed interesse in quanti sono venuti a conoscenza, seppur tempo dopo, della sua vicenda, e il numero di questi ultimi, continua voluminosamente ad aumentare.
Ernie Shaw nacque a Dirsenn nel 1937, figlio unico, rimasto orfano all’età di trent’anni, era quello che si suol dire, usando un calzante eufemismo, un po’ debole di comprendonio. Per questo, e per il suo aspetto fisico, che non era particolarmente attraente, il giovane Ernie, non trovò mai una compagna con cui dividere la sua esistenza. Né ciò avvenne più tardi, quando sulla soglia dei cinquant’anni, incanutito e precocemente invecchiato, a causa anche dell’ingente quantità di alcool che trangugiava smodatamente, si rassegnò all’idea di trascorrere la vita da solo, nella piccola casa fuori dal villaggio che era stata dei suoi genitori. In conclusione Ernie Shaw era il ritratto della persona che nessuno vorrebbe come marito, come padre o come figlio. Le sue giornate si consumavano monotonamente tra la casa fatiscente, l’orto invaso dalle erbacce e l’osteria di Dirsenn, della quale era cliente abituale, e dove probabilmente scambiava le uniche parole della giornata.
Ecco, questa era la vita di Ernie Shaw, prima della notte del 15 maggio 1987, e sono sicura che converrete con me, nel non trovarla particolarmente interessante e degna di qualsivoglia nota, come accade per tutti quei personaggi particolari e bizzarri, che fanno parte del folklore di quei paesi che si fregiano di averne uno.
Molti di questi muoiono così come vivono, nell’indifferenza, ma Ernie Shaw in questo può dirsi fortunato: di lui si parla, e si parlerà ancora, per molto tempo, poiché alla sua storia si stanno tuttora interessando parecchi studiosi.
La sera del 15 maggio di circa dieci anni fa, sull’isola di Mull, l’aria era mite e dolce, e solo in prossimità del piccolo fiume che fiancheggiava Dirsenn ad est , si faceva più umida e pungente.
All’una di quella notte, dopo aver lasciato l’Osteria, Ernie Shaw, s’incamminò per la stradina che conduceva fuori dal villaggio, e che dopo quattro chilometri in mezzo ai campi, portava a casa sua. Era un percorso abituale che faceva due o tre volte al giorno, a piedi, oppure sul vecchio motorino che possedeva.
Quella sera la luna troneggiava alta nel cielo, luminosa e piena. E fu proprio per ammirarla che Ernie, barcollante, si fermò sul piccolo ponte di legno che attraversava il fiume in prossimità di casa sua. Nessuno poteva immaginarlo, ma il suo cuore, alla vista del riflesso di quella sfera dorata che si specchiava sull’acqua argentina, si riempiva di serenità e quiete. Ed era proprio in questo stato di grazia, seppur con la vista annebbiata e lo stomaco sottosopra, che si trovava, quando un particolare attirò la sua attenzione.
Poteva darsi che fosse stato il whisky a fargli vedere doppio, eppure, avrebbe proprio giurato che la luna si fosse sdoppiata, lassù nel cielo stellato. Continuò ad osservare lo strano fenomeno sull’acqua del fiume per alcuni secondi, prima di guardare direttamente quello che stava accadendo.
Quando finalmente alzò gli occhi verso il cielo, rimase abbagliato dall’intensità dell’altra luna, che sembrava molto più vicina e che pareva persino spostarsi un po’. Rimase inebetito, con lo sguardo fisso, fino a che gli occhi non gli bruciarono talmente che fu costretto ad abbassarli.
Dopo alcuni secondi, sentì uno strano ronzio, acuto e fastidioso per le orecchie. Quando trovò la forza di guardare ancora, vide la seconda luna, che si allontanava a velocità pazzesca verso l’interno dell’isola. Dopo di che s’incamminò nuovamente verso casa senza rendersi pienamente conto di quello che era successo.
Il mattino seguente, di buon ora, Ernie Shaw si era alzato come al solito per andare nei campi. La pelle della faccia, del collo e delle mani, era piena di strane arrossature, alcune delle quali, coperte da sottili croste. La giornata in ogni modo scivolò via tranquilla, con l’unico fastidio rappresentato dal bruciore che le macchie gli davano, e uno strano indolenzimento degli occhi. Puntualmente, quella sera, Ernie si recò all’Osteria.
Frank Droghin, proprietario dell’Osteria, raccontò in seguito che Ernie Shaw riferì ad alcuni presenti quello che gli era accaduto, dopo che uno di questi aveva fatto osservazioni sui segni che aveva addosso.
– E’ stata la luna–  aveva risposto lui infastidito.
– La luna?– l’aveva canzonato Jacob Miller, che era seduto vicino a lui.
– Si, ieri sera, mentre tornavo a casa.
– Ernie, tutti abbiamo visto la luna ieri, ma non ci ha fatto niente di simile– aveva continuato Miller canzonandolo.
Al che Ernie Shaw si era affrettato a ribattere:
– Ma non quella luna. Un’altra che le stava di fianco, ieri sera. Era ancora più luminosa, tanto che mi bruciavano gli occhi per guardarla. Poi alla fine è schizzata via come un razzo.
Tutti quelli che lo stavano ascoltando, cinque o sei uomini di Dirsenn, scoppiarono a ridere. Qualcuno, sempre secondo la testimonianza di Droghin, disse scherzando:
– Sarà stato un U.F.O quello che hai visto, Ernie!
Quella frase sembrò colpire Ernie Shaw, poiché rimase in silenzio, con lo sguardo accigliato.
– Ho sentito parlare di questi FO, ma non credevo esistessero davvero–  si limitò a dire.
A quel punto, fu lo stesso Droghin ad intervenire :
– Ernie, io credo piuttosto che sia stato il mezzo litro di whisKy che ti sei scolato ieri sera che ti ha fatto vedere doppio!
A questa uscita, seguita da un coro di risate, Ernie Shaw aveva risposto in un modo che aveva sorpreso tutti:
– Pensa quello che vuoi Frank. E’ vero, avevo bevuto, ma non ho avuto le traveggole. Queste scottature me le ha fatte quella cosa lassù. Lo so che non mi credete, ma non importa. Voi non l’avete vista, io si. Solo io. Ed era bellissima.
Poi si era alzato, dopo aver bevuto solamente un paio di bicchieri, lasciando tutti in silenzio.
Si era avviato verso la porta, salutando con la mano.
Quella fu l’ultima volta che videro Ernie Shaw all’Osteria. E in qualsiasi altro posto. Perché Ernie Shaw quella sera stessa scomparve per sempre senza lasciare tracce. Della sua scomparsa non fu data notizia che due giorni dopo: il fatto che per due sere di seguito non si fosse presentato all’Osteria, avvenimento che non accadeva da sei anni, cioè da quando Ernie si era rotto un braccio, cadendo ubriaco dal motorino, aveva impensierito Droghin e gli avventori del suo locale. Due di questi, Jacob Miller e Martin Stubb, si recarono in auto alle dieci di sera, a casa di Ernie Shaw, per assicurarsi che stesse bene, ed in caso contrario, per sentire se avesse bisogno di qualcosa.
Dopo averlo ripetutamente chiamato senza ottenere risposta, entrarono in casa dalla finestra sul retro che era aperta. Il letto era intatto, e di Ernie non c’era traccia. In pensiero diedero uno sguardo intorno alla casa e nella capanna vicino all’orto. Senza risultato. Il motorino era al suo posto, nella rimessa. A quel punto tornarono da Droghin, tenendo però gli occhi aperti sulla strada del ritorno al villaggio.
Le numerose ricerche che furono effettuate nei giorni seguenti da alcuni abitanti e dalla Polizia di Laugthon, a circa venti chilometri da Dirsenn, non diedero alcun frutto. L’unico particolare insolito rilevato, fu l’erba irregolarmente bruciacchiata nei dintorni del ponte. Esami condotti più tardi, rivelarono che anche le assi di legno del ponte presentavano un principio di combustione.
All’epoca dei fatti, l’ipotesi più accreditata per la scomparsa di Ernie Shaw, fu l’annegamento nel fiume causato dallo stato di ebbrezza in cui era solito versare, e il fatto che il corpo non si fosse trovato dimostrava che la corrente del fiume lo aveva portato fino al mare, e da lì, a causa delle correnti, chissà dove.
Questa versione, conoscendo il soggetto, fu presa per buona da quasi tutti gli abitanti di Dirsenn. Gli unici a non esserne troppo convinti, furono gli uomini che avevano visto per ultimi Ernie Shaw che riferirono “di non averlo mai visto così sobrio in vita sua”. Ma non seppero, o non vollero, fornire altre spiegazioni logiche. Solamente anni più tardi, Droghin, Miller e Stubb, ammisero di aver ripensato a quello che Ernie aveva raccontato la sera della sua scomparsa su quella cosa che aveva visto.

Questo fu il primo avvenimento che nel giro di un mese sconvolse la vita monotona di Dirsenn. Il secondo fu il ritrovamento la notte del 15 giugno, un mese dopo la scomparsa di Shaw, di un neonato probabilmente abbandonato da qualcuno che non ne voleva sapere di allevarlo. Anche in questo caso intervenne la polizia di Laugthon, e visto che il piccolo, un bel maschietto di quattro chili, era stato lasciato davanti all’abitazione dei Fhitkenner, notoriamente impossibilitati ad avere figli, si suppose che lo sciagurato gesto fosse stato compiuto da qualcuno del luogo a conoscenza del fatto. Anche in questo caso le indagini non condussero a niente di concreto. Comunque quello strano episodio, ebbe il merito di rendere felici i coniugi Fhitkenner che dopo essersi occupati del piccolo nelle ore successive il suo ritrovamento non vollero più separasi da lui, cosi che, dopo aver sbrigato le pratiche del caso, lo adottarono legalmente. Il piccolo fu battezzato col nome di Theodor J. Fhitkenner.
Col passare dei mesi la misteriosa fine di Ernie Shaw cominciò a sbiadire nel ricordo degli abitanti di Dirsenn, i quali al massimo, si aspettavano il ritrovamento di ciò che rimaneva del cadavere, in qualche punto della spiaggia. Ma questo non avvenne mai
Fu Jonathan Macombe, arzillo vecchietto di ottant’anni, lontano parente di Ernie Shaw, ad accorgersi per primo di un fatto singolare. Poiché, come già detto, era parente, seppure in maniera molto indiretta, del fu Ernie, toccò a lui, occuparsi della vecchia casa e di ciò che in essa era contenuto. Un afoso pomeriggio dell’estate 1989, Macombe decise di riunire tutti gli effetti personali del pronipote, in modo di risparmiarsi ogni volta il disturbo di controllare che fosse tutto in ordine, poiché se il cadavere non era saltato fuori, poteva anche darsi che quel pazzo furioso di Ernie, un giorno o l’altro decidesse di far ritorno, anche se questa era un ipotesi molto remota. Quando gli capitò fra le mani un vecchio album di fotografie della famiglia Show, preso dal vortice dei ricordi, iniziò a sfogliarlo.
Dalla carta ingiallita Margrith e Benjamin Shaw, sorridevano stringendo al petto il loro bambino. Alcune pose di Ernie, prese quando aveva tre anni, stando alla data riportata sul retro con una calligrafia malferma, ricordarono straordinariamente al vecchio Macombe il viso di un bimbo che aveva visto a passeggio con i genitori due giorni prima.
Osservò con interesse le foto, e si disse che probabilmente la vista e l’età, gli stavano giocando un brutto scherzo. Destino volle che proprio in quel momento, alzando gli occhi sulla finestra polverosa e sporca, incrociò lo sguardo di colui al quale stava pensando.
Theodor J. Fhitkenner, malgrado avesse appena due anni, era già in grado di camminare benissimo da solo, e a quanto pareva, di allontanarsi indisturbato da casa sua, a più di due chilometri di distanza.
Automaticamente il vecchio Macombe tornò a guardare le foto. Un brivido gli attraversò la schiena quando dovette costatare per forza di cose, che il piccolo Theodor era il ritratto vivente di Ernie Shaw da bambino.
Oggi Jonathan Macombe ha quasi novant’anni, vive su una sedia a rotelle e a causa dell’arteriosclerosi non è più in grado di connettere. Se qualcuno però, gli domanda di quel pomeriggio, Macombe ha come un’illuminazione improvvisa, ed è in grado di raccontare per filo e per segno quello che accadde. Soprattutto rammenta bene l’inquietudine che provò quando il suo sguardo incrociò quello del piccolo Fhitkenner e la strana sensazione che lo attanagliò poco dopo, quando decise di uscire fuori a vedere se fosse tutto a posto.
Il sole abbagliava tutto con una luminosità che stordiva l’intelletto. Theodor Fhitkenner se ne stava in piedi, con la schiena appoggiata alla staccionata di legno, ad osservare la casa.
Il vecchio Macombe gli andò incontro, cercando di sorridere, nonostante il nervosismo che lo dominava.
– Cosa fai qui da solo Theodor?– gli aveva detto pensando che la madre potesse essere in pensiero.
Il bambino senza badargli, aveva segnato con il piccolo indice l’oggetto che Macombe teneva ancora sottobraccio.
– E’ mio– si era limitato a dire.
A quel punto Macombe, incuriosito, prese a fargli delle domande.
– Questo è tuo?– aveva ripetuto agitando l’album di fotografie fra loro.
Theodor aveva annuito ripetutamente con la testa. Proprio in quel momento, dalla strada sterrata era arrivata una macchina: Kelly Fhitkenner era scesa con l’espressione spaventata, correndo come una forsennata verso il figlio adottivo.
– Theodor!– aveva gridato stringendoselo al petto.
Dopo alcuni secondi di silenzio, Jonathan Macombe si era rivolto alla donna :
– Certo che tuo figlio è davvero precoce per la sua età. Come ha fatto ad arrivare qui da solo?
Kelly gli aveva rivolto un sorriso forzato :
– E’ molto vivace. Non bisogna mai perderlo di vista un attimo. Ora andiamo a casa, su.
Così dicendo aveva preso per mano il bambino, dirigendosi verso la macchina.
Prima di salire, Macombe lo sentì distintamente pronunciare un nome: “Ernie”.
Kelly Fhitkenner, terrorizzata, si era voltata verso Macombe, ma non aveva detto una parola. Dopo di che partì velocemente sollevando una fitta nuvola di polvere. Questo fu il primo episodio al quale assistette una terza persona, poiché dopo lo sconcertante epilogo della vicenda, George Fhitkenner ammise che lo strano comportamento del bambino aveva iniziato a manifestarsi già durante il primo anno di vita.
Theodor J.Fhitkenner cresceva in maniera smisurata, tanto che i genitori, preoccupati, avevano consultato più di un medico. Questi tuttavia non riscontrarono nulla di anomalo nel bambino. A sei mesi era in grado di camminare da solo, a otto parlava correttamente. Tuttavia, essendo Theodor in buona salute, non diedero eccessivo peso alla cosa.
Il primo segnale d’allarme, venne il 15 maggio 1988.
Non trovandolo a letto, i Fhitkenner svolsero affannose ricerche nei dintorni: trovarono Theodor sul ponte di legno, intento ad ammirare la luna piena, ripetendo continuamente: “Casa, casa.”
I coniugi Fhitkenner, spaventati, non parlarono mai con nessuno dell’accaduto.
Il collegamento con la storia di Ernie Shaw, divenne evidente qualche tempo dopo, quando il bambino, eludendo la sorveglianza dei genitori, a volte anche inspiegabilmente, si recava ogni giorno alla vecchia casa di Shaw, rimanendo a fissarla morbosamente e pronunciando ripetutamente il nome dell’uomo. Inutile dire quale era lo stato d’animo dei genitori, nel cui intimo cominciava a farsi prepotentemente strada la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di anomalo. Nonostante questo, l’amore che provavano nei confronti del figlio adottivo, che verso di loro era comunque molto affettuoso, impedì loro di compiere qualsiasi passo in proposito.
Passarono così altri otto anni, durante i quali lo strano comportamento del bambino, che a dieci anni era già un ragazzo fatto, continuava a manifestarsi sempre più spesso tanto da creare attorno a lui, e alla sua famiglia in generale, un alone di mistero e sospetto. Si può tranquillamente affermare che i membri della famigli Fhitkenner furono a mano a mano esclusi dalla vita di Dirsenn. La vecchia casa di Ernie Shaw fu totalmente abbandonata, acquistando una fama negativa. Solamente il vecchio Macombe, finché le condizioni di salute, glielo permisero, tornò qualche volta sul posto. Poiché durante questi sopralluoghi, trovava Theodor J. Fhitkenner seduto sullo steccato, o sotto il portico (proprio come faceva Ernie Shaw), decise di desistere definitivamente dal quel proposito perché, come disse poi “c’era qualcosa di strano intorno alla casa, e soprattutto nel ragazzo”.
Ma la parte più incredibile di questa vicenda, è rappresentata dall’epilogo che ebbe, sul quale si sono fatte centinaia di ipotesi.
Nel 1997, la notte del 15 maggio, Theodor J.Fhitkennen seguì lo stesso destino di Ernie Shaw, scomparendo anch’egli senza lasciare traccia. Anche in questo caso però furono trovati segni di combustione sull’erba e sulle assi del ponte.
La testimonianza dei coniugi Fhitkenner aiutò a ricostruire parzialmente l’accaduto: dichiararono che Theodor aveva l’abitudine di uscire la sera tardi per fare una passeggiata in campagna, cosa che lui amava fare, specialmente se c’era la luna piena, come la notte della sua scomparsa. A quel punto dissero di aver sentito della grida provenire dai campi circostanti, appartenenti sicuramente a più di una persona. Affacciandosi alla finestra avevano visto un’auto percorrere a velocità folle la strada sterrata che costeggiava i campi, conducendo poi sulla costa.
Le indagini non diedero risultati in questa direzione, cosi che la scomparsa del ragazzo fu imputata all’aggressione di ignoti, così come credevano fermamente i genitori.
Alcuni giorni dopo la scomparsa, Frank Droghin e Martin Stubb si recarono a casa dei Fitkenner, per esprimere il loro rammarico per la fine oscura capitata al figlio, poiché ormai si disperava di trovarlo in vita. Non appena li videro, Droghin e Stubb rimasero sconvolti dall’aspetto della donna: il viso, il collo e le mani erano pieni di macchie rosse, simile a quelle che avevano visto addosso a Shaw alcuni anni prima.
I Fithknnen dissero, così come avevano fatto con la polizia, che qualche giorno prima Kelly si era ustionata con una sostanza particolarmente tossica che usavano come antiparassitario, ma la spiegazione non convinse i due uomini, ormai certi che sia la scomparsa di Ernie, che quella di Theodor, erano strettamente collegate con qualche avvenimento oscuro avvenuto nella zona. Kelly Fithkennen è morta di cancro nel dicembre 1997, appena sette mesi la scomparsa del figlio. Fu solamente dopo la sua dipartita che il marito George, schiacciato dal peso che aveva sulle spalle, iniziò a parlare di quello che era veramente successo: partendo dall’inquietante comportamento di Theodor, fino ad arrivare alla fatidica notte dalla quale non si seppe più nulla di lui.
Inizialmente si confidò con Droghin, il quale riferì la storia ad altri conoscenti, fino a che la vicenda non varcò i confini di Dirsenn.
La notte del 15 maggio 1997 George Fithekenner si era svegliato all’improvviso accorgendosi che né sua moglie, né suo figlio, erano più in casa. La sua attenzione fu immediatamente attirata da uno strano ronzio che gli tormentava le orecchie. Alcuni secondi dopo sua moglie strisciò in lacrime fino alla porta di casa, con la pelle terribilmente arrossata e in alcuni punti sanguinanti, mentre gli occhi erano gonfi e semichiusi.
George aveva tentato di calmarla e di ottenere da lei delle spiegazioni, ma l’unica cosa che Kelly fu in grado di dirgli, era che aveva assistito a qualcosa di incredibile e che Theodor non sarebbe più tornato a casa. Ma sua moglie non gli riferì mai esattamente di cosa si fosse trattato, anzi lo convinse a raccontare la storia dell’aggressione, poiché se avesse raccontato la verità l’avrebbero presa per pazza. George Fhitkenner, visto le condizioni pietose in cui la donna versava, senza pensarci due volte l’accontentò.
Quando Kelly si fu ripresa al punto di riuscire a parlare coerentemente, implorò il marito di non chiederle mai cosa fosse accaduto; in cambio George ricevette la promessa che quando elle sarebbe stata vicino alla morte gli avrebbe raccontato ogni cosa, come se fosse stata sicura che la sua fine fosse ormai prossima. E in effetti così fu.
Ma la promessa fu mantenuta solo in parte, poiché le ultime parole della donna, confidate al marito in punto di morte furono: “Ernie Shaw è tornato con loro a riprendersi il figlio che hanno in comune”.

 

Autore: Marica Petrolati
Messo on line in data: Ottobre 2000