RACCONTO: LA FATA DA SALVARE di Astfelia

Nel regno delle fate dell’aria viveva una fata splendida e molto vanitosa di nome Myra, dai lunghissimi capelli ramati, le ali d’oro e le fluenti vesti del colore del cielo.
Orgogliosissima della sua straordinaria bellezza, Myra credeva che, in virtù di essa, tutto le fosse dovuto e che le fosse lecito fare ciò che voleva, sia nel mondo umano che in quello fatato.
Più volte la bellissima fata si era invaghita di un essere umano e lo aveva rapito per portarlo nel suo mondo incantato, incurante di strapparlo alla sua famiglia.

Un giorno Myra rapì un giovane e bellissimo guardaboschi. Egli però aveva una fidanzata che lo amava moltissimo e che, quando non lo vide più tornare, pensò fosse stato divorato da qualche belva nel bosco. Distrutta dal dolore, la ragazza si suicidò.

Questo tragico evento non poté passare inosservato alla corte delle fate dell’aria, che già da tempo non vedeva di buon occhio i comportamenti di Myra. La regina delle fate si consultò a lungo con le sue consigliere ed infine fu deciso che a Myra dovesse essere inflitta una dura punizione: sarebbe stata privata della sua bellezza ed esiliata fra gli umani, ove sarebbe rimasta finché un uomo non si fosse innamorato perdutamente di lei e non avesse riconosciuto, in virtù del proprio immenso amore, la fata che si celava nella donna scialba ed insignificante che sarebbe diventata.

Così fu. Myra fu gettata nell’esistenza umana e nella peggiore delle condizioni in cui ci si possa trovare in questa vita. Non ebbe bellezza, né ricchezza, né affetti famigliari. Si ritrovò dunque esule in un mondo al quale non apparteneva, sola e sperduta, priva del suo splendore di cui solo lei era consapevole e che nessuno, ma proprio nessuno riusciva a scorgere. Dove mai avrebbe potuto trovare l’uomo che avrebbe risuscitata la magnifica fata nascosta dentro di lei?

La sua dolorosa tensione verso un mondo soprannaturale di pura bellezza e luminosità veniva continuamente frustrata dal grigiore e dalla meschinità della sua esistenza umana.
Punizione più grande non avrebbe potuto colpire una fata e Myra maledisse infinite volte la sua superbia e presunzione che le avevano causato tanto danno. Tuttavia non poteva permettersi di abbandonarsi ai rimpianti. Ad onta del suo squallido aspetto, ad onta di ogni ostacolo doveva trovare l’uomo che l’avrebbe amata appassionatamente e che l’avrebbe liberata da quella triste condizione.

Myra era un’adolescente complessata ed insicura e frequentava l’ultimo anno del liceo. L’unica qualità che le fate le avevano lasciato era la sua intelligenza superiore che le consentiva di apprendere ogni materia con grande facilità. Studiava dunque con profitto e nel frattempo si era innamorata di un suo compagno di scuola di nome Gabryel. Sebbene egli non la ricambiasse e la considerasse nulla più di una buona amica, si era convinta che fosse lui l’uomo del suo destino. Aveva intuito fin dal primo sguardo che anch’egli era un esule nel mondo umano, perché aveva avvertito il suo disagio, il suo tedio per l’umana mediocrità. A Myra piaceva pensare che Gabryel provenisse da qualche mondo incantato da cui anch’egli era stato bandito per chissà quale colpa e che, in passato, fosse stato un principe degli elfi o degli esseri fatati del mare. Tuttavia, di tutto ciò, a differenza della sua amica, il ragazzo non aveva alcuna memoria.

Myra era certa che prima o poi sarebbe riuscita a risvegliarlo da quel suo sonno, così lo avrebbe salvato e subito dopo lui avrebbe salvato lei. Era solo questione di tempo e il tempo, inesorabilmente, passava.
Myra parlava, parlava a Gabryel e gli raccontava di mondi arcani fuori dalla materia, oltre la percezione dei sensi, oltre la vanità delle forme.

“Guarda oltre le apparenze della materia.” gli sussurrava continuamente con parole ogni volta diverse, ma dallo stesso significato “Guarda oltre, scopri la fata che ti ama, che tu amerai. Mondi di felicità infinità ti accoglieranno…”
Gabryel ascoltava tutto questo distrattamente, senza interesse e non comprendeva: vaneggiamenti suonavano alle sue orecchie gli strani discorsi della sua amica che, lo sapeva, era innamorata di lui, e che, ne era certo, lui non avrebbe mai potuto amare.

Tuttavia Myra continuava instancabilmente a parlare:
“In un giardino incantato, una fata curiosa guarda dentro il calice di un fiore solo per scoprire uno straordinario nuovo mondo dove gli abitanti sono anche più piccoli di lei. Dentro il calice gli spiriti del fiore sono immersi nel loro universo, completamente inconsapevoli di chi, da fuori, li guarda. Come gli esseri fatati, noi viviamo nel nostro piccolo mondo, all’interno di altri mondi, e l’universo in cui ci troviamo, cosa in esso sia grande o piccolo, bello o brutto dipende solo da come noi guardiamo la vita…”

Queste e mille altre parole fluivano da Myra a Gabryel senza che egli potesse coglierne il senso.
E intanto il tempo continuava a scorrere: non erano più adolescenti, ma ormai adulti, ciascuno con la propria vita monotona, insignificante, priva di profondi affetti e di autentiche passioni.
E l’unica vera, salvifica passione, quella di Myra per Gabryel continuava ad infrangersi contro il muro della sua amichevole, cordiale indifferenza.

Ciascuno di loro due ebbe altre storie sentimentali. Myra si era ormai abituata a sapere Gabryel coinvolto in avventure con altre donne, lei stessa aveva relazioni con altri uomini. Qualcuno di essi, forse, si sarebbe davvero innamorato di lei e l’avrebbe liberata, se solo lei gliel’avesse permesso, ma Myra non voleva che fosse qualcun altro a compiere quel miracolo, voleva che fosse Gabryel e continuava ad aspettarlo, sia pure ormai senza attaccamento, lasciando che lui vivesse la propria vita come voleva. Non lo cercava quasi mai e aspettava sempre che fosse lui a cercarla per essere certa che desiderasse davvero la sua compagnia. Fra loro, ogni tanto, momenti di tenerezza infinita, rubati ad una reticenza mai vinta del tutto, e poi nulla più, se non quel filo di comunicazione unica, di puro amore intellettuale che li aveva sempre uniti.

Passarono così ben venticinque anni: molti, troppi per qualsiasi donna, ma non per una fata. Myra continuava instancabilmente ad aspettare, anche se ormai aveva smesso di credere che, in tempi brevi, Gabryel si sarebbe innamorato di lei e l’avrebbe salvata dall’esilio in terra, salvando nel medesimo tempo anche se stesso. Forse in vecchiaia, quando la fiamma dei sensi avrebbe smesso di ardere in loro, Gabryel si sarebbe rifugiato da lei come un naufrago e allora, in un impeto di amore puro e scevro dai vincoli della materia, si sarebbero congiunti in un solo essere e liberati dai vincoli dell’umana condizione per riunirsi al mondo a cui appartenevano. La fine dell’esilio, l’inizio di una nuova vita…

Oltre all’amicizia con Gabryel, Myra aveva un altro profondo legame affettivo nel mondo umano: una grande amica, Anya, con la quale aveva sempre avuto una comunicazione speciale, paragonabile solo alla confidenza che aveva con Gabryel.
Tuttavia Anya abitava in un’altra città, quindi le due donne non si vedevano molto spesso.

Un’estate Anya decise di andare a trovare l’amica Myra, che non vedeva ormai da parecchio tempo e venne da lei accolta con il consueto, sincero entusiasmo.
Anya era una bella donna bionda, dagli occhi di cielo e il sorriso incantevole. Alla sua bellezza si univano una sensibilità, una raffinatezza ed un’intelligenza fuori dal comune. Per tutto ciò Myra l’ammirava moltissimo e le aveva sempre confidato tutto di sé, anche i suoi più reconditi pensieri su Gabryel, tacendole solo il segreto riguardante la propria origine non umana.
In occasione della visita di Anya, Myra organizzò una serata con Gabryel ed altri amici.

La serata riuscì gradevole per tutti. Gabryel si comportava da perfetto gentiluomo con la bella Anya, dalla cui grazia era chiaramente affascinato, ma ciò non destava alcuna gelosia in Myra. Per lei l’attenzione che Gabryel dedicava ad un’altra donna non era importante. Importante era invece che Gabryel le si avvicinasse ogni tanto per abbracciarla col consueto affetto o anche solo per rivolgerle qualche parola scherzosa, lasciandole intravedere in tal modo, ancora una volta, l’immagine di un luminoso futuro nel quale un universo d’incanto e di magia avrebbe dischiuso loro le sue porte auree.

Fecero tardi. Quando Gabryel riaccompagnò a casa le due amiche, Myra si sentiva stanca.
Gabryel la tirava per le lunghe, tutto preso dalla gradevole conversazione con la bella Anya.
Myra espresse più volte il desiderio di accomiatarsi, ma nessuno le badò.

“Si è fatto davvero tardi, dobbiamo proprio andare!” disse infine con maggior decisione e Gabryel parve infastidito: “Lasciami contemplare ancora un po’ il viso soave di questa dolce fata!” esclamò riferendosi ad Anya, e a quel punto qualcosa si spezzò nell’anima di Myra.

Fata! Gabryel aveva chiamato “fata” una donna, e quella donna non era lei!
In quel momento di stanchezza, Myra, stupidamente, non riuscì a realizzare che egli aveva usato quel termine solo per vezzo e galanteria, senza ovviamente credere che Anya fosse davvero una fata e, tantomeno, una fata da salvare. Paradossalmente Myra percepì l’esatto contrario e allora sì che la gelosia la punse!

Era troppo, veramente troppo per lei, dopo tutto il tempo che aveva atteso e che ora, all’improvviso, le pesava enormemente sul cuore.
Stanchezza, nervosismo e gelosia formarono una miscela esplosiva che fece uscire dalla sua bocca i peggiori insulti contro Gabryel. Egli all’inizio rimase esterrefatto, poi reagì violentemente, infine litigarono e, in breve, quello che avrebbe potuto essere un banale litigio degenerò in un dissidio insanabile.

Gabryel accusò l’amica di averlo deliberatamente insultato per metterlo in cattiva luce con Anya. Lei replicò stizzosamente che non era affatto così. Gabryel non le credette e fece ciò che non avrebbe mai dovuto fare: iniziò a rimproverarla aspramente, le rinfacciò di essere sempre stata possessiva, se non addirittura morbosa, nei suoi confronti e oltretutto ossessionata dalla gelosia per le donne più belle di lei.

Myra ne rimase ferita a morte: lei che per anni aveva faticosamente dissimulato, anche con se stessa, l’attaccamento per Gabryel sotto la parvenza di un’affettuosa e discreta amicizia!
E dopo tutto ciò, essere da lui biasimata in quel modo!
Se c’è una cosa che un uomo non può fare con una fata è rimproverarla duramente, perché lei non riesce a tollerarlo, ma Gabryel non poteva sapere che la sua amica Myra era in realtà una fata. In verità nemmeno lui era un essere soprannaturale, esule fra gli umani, come Myra aveva sempre creduto, ma soltanto un uomo comune che pensava di avere a che fare con una donna comune, un po’ bizzosa ed accecata da un’eterna gelosia.
Invece era tutto sbagliato: ciò che lei credeva di lui, ciò che lui pensava di lei.

In ogni caso fu la fine. La fata Myra decise all’istante che non c’era più alcuna possibilità di comunicazione fra lei e Gabryel. Con una freddezza glaciale, sotto gli occhi dell’incredula Anya, gli disse che non voleva rivederlo mai più, per nessun motivo.
In quel momento non pensava che stava gettando al vento la sua unica possibilità di salvarsi e di ricongiungersi al suo mondo.
Gabryel era sbalordito e dispiaciuto: non si sarebbe mai aspettato un simile trattamento dalla sua amica Myra, ma lei era una sfinge: implacabile, impenetrabile.

Finì così.
Rimasta sola con Anya, Myra realizzò finalmente quel che aveva fatto e pianse tutte le sue lacrime, ma giurò che non sarebbe mai tornata sui suoi passi.
Per distrarla un poco dal suo dolore, la buona Anya portò con sé l’amica nella propria città vicina al mare, per una breve vacanza.
Myra stava sdraiata su uno scoglio, godendo dei caldi raggi del sole sulla pelle e dell’acqua che le lambiva le gambe.

L’acqua non era il suo elemento ed in essa Myra, fata dell’aria, non sapeva muoversi, non era neppure capace di nuotare.
Mentre Anya nuotava a largo, lei guardava con occhi assenti la distesa blu del mare che si confondeva all’orizzonte con l’azzurro del cielo. Sognava le sue ali d’oro di fata, con le quali, nella sua vita passata, si librava nel cielo e volava a lungo, libera e gaia come una rondine. Chiuse gli occhi al blu del mare e del cielo, mentre grosse lacrime le rigavano le guance.
Il suo dolore era muto ed insondabile.

Ad un certo punto udì una voce dentro di sé: la voce della regina della fate dell’aria.
“Abbiamo compassione del tuo dolore, Myra.” le sussurrava quella voce gentile “Non possiamo restituirti il tuo splendore e le tue ali d’oro, perché tu non hai saputo conquistare l’amore di un uomo, ma abbiamo deciso di porre fine al tuo doloroso esilio nel mondo umano. Lasciati andare nel mare: l’acqua è clemente e ti accoglierà benevola, ti offrirà una nuova dimora fra le creature marine e tu sperimenterai una nuova forma di esistenza scevra dal dolore. Lasciati andare, abbandonati all’acqua…”

Myra restò immobile sullo scoglio, ad occhi chiusi: “Mi stanno dicendo che devo morire.” pensò con tranquillità “Morire ora, nell’acqua… Sì, è l’unica cosa giusta.”
Si lasciò lentamente scivolare giù dallo scoglio, sempre ad occhi chiusi, sprofondò in mare, sparì sott’acqua.
Anya, che stava nuotando verso di lei, assistette alla scena atterrita ed impotente.
Nuotò affannosamente fino allo scoglio, gridando il nome dell’amica ormai scomparsa alla sua vista, si immerse sott’acqua per cercarla, ma non la trovò più.

Pianse tutte le sue lacrime, credendo che Myra si fosse suicidata, annegandosi.
Il suo corpo fu a lungo cercato, ma mai ritrovato.
Soltanto qualche tempo dopo, Anya trovò il coraggio di informare Gabryel della triste fine della loro comune amica. Egli ne rimase molto scosso e pensò che in parte fosse stata colpa sua, ma il senso di colpa non lo attanagliò a lungo. Col tempo dimenticò e lentamente la sua vita cambiò in meglio, come se la scomparsa della sua vecchia amica lo avesse liberato da una specie di maledizione. Incontrò infine una donna buona e bella che, fin dal primo momento, lo amò teneramente. La sposò e furono felici. Dopo qualche tempo divennero genitori ed in seguito nonni: nella maturità e poi nella vecchiaia, Gabryel trovò una serenità che non aveva mai avuto in gioventù.

Era ormai anziano, quando, con la moglie e i due nipotini, si recò in vacanza al mare, nella stessa località dove tanti anni prima Anya e Myra avevano trascorso i loro ultimi giorni insieme.
La sera, dopo cena, quando i nipoti si erano addormentati e la moglie si dedicava ad un buon libro, Gabryel andava a fare una passeggiata sulla spiaggia. Per caso, una sera, arrivò fino allo scoglio dove, tanto tempo prima, Myra si era distesa, prima di scomparire in mare per sempre.
Su quello stesso scoglio Gabryel vide improvvisamente, illuminata dal chiarore della luna piena, una giovane donna dai capelli ramati, vestita di verde ed adorna di conchiglie e stelle marine. La donna, sorridendo, sussurrava dolci parole ad una grossa conchiglia che teneva fra le mani e dalla quale uscivano strani bagliori di luce ed incomprensibili mormorii.

Mentre Gabryel guardava rapito quello strano spettacolo, ricordò le enigmatiche parole che Myra gli ripeteva spesso quando erano ragazzi: “In un giardino incantato, una fata curiosa guarda dentro il calice di un fiore solo per scoprire uno straordinario nuovo mondo dove gli abitanti sono anche più piccoli di lei. Dentro il calice gli spiriti del fiore sono immersi nel loro universo, completamente inconsapevoli di chi, da fuori, li guarda…”
Un mondo di esseri fatati dentro il calice di un fiore, come dentro una conchiglia!
La donna sussurrava una specie di cantilena: “Piccole sirene che abitate nella mia conchiglia, é bello per me stare in vostra compagnia e trascorrere ore liete, godendo insieme a voi della generosità del mare…”

Si interruppe, distogliendo lo sguardo dalla conchiglia per puntarlo su Gabryel e sorridergli per un istante.
Trasecolando, egli riconobbe il sorriso e lo sguardo della sua perduta amica Myra.
Un attimo dopo la vide scomparire nel mare con la sua conchiglia, dimora di esseri fatati: un altro minuscolo universo con cui lei sola poteva comunicare, un universo arcano a cui era sempre appartenuta e al quale si era infine ricongiunta.
A tutto questo, ai mondi incantati di cui Myra gli aveva tanto parlato, Gabryel, da giovane, non aveva mai creduto. Solo ora, da vecchio, dopo quella singolare apparizione sullo scoglio, al chiaro di luna, egli iniziava ad intuire e forse a comprendere una nuova, inquietante realtà.

 

Autore: Astfelia
Messo on line in data: Settembre 2004