RACCONTO: LA MIA STRANA AMICA MARY di Astfelia
La mia amica Mary è sempre stata una creatura singolare. Fin da giovanissima ha voluto distinguersi da tutti, anche a costo di apparire stravagante. Ha sempre parlato a voce troppo alta e riso troppo forte, si è sempre vestita in modo trasandato, ha rifiutato tutto e tutti, tranne me, forse. Io ero il suo idolo: mi adorava e sono praticamente certo che si sarebbe gettata nel fuoco per me, se solo gliel’avessi chiesto. L’ho sempre considerata poco più di una nullità e non le ho mai badato troppo. Esteticamente non mi è mai piaciuta: la sua trascuratezza mi dava ai nervi, la sua asprezza a volte mi innervosiva e soprattutto il suo continuo rimproverarmi, magari anche inconsciamente, di non essermi mai innamorato di lei mi infastidiva. Che potevo farci se non riuscivo ad amarla? All’amore non si comanda e, se le sue qualità non mi bastavano, non era una mia colpa.
In ogni caso siamo rimasti grandi amici per molti anni: ci confidavamo tutto e insieme stavamo bene, ci divertivamo, anche se c’era sempre quella nota stonata fra noi che mi imbarazzava un poco: sentivo che lei da me voleva di più e sapevo che io, più di tanto, non avrei mai potuto darle. Certo qualche volta l’ho baciata, ma così, quasi per gioco, senza pensare di illuderla, perché non l’ho mai ritenuta stupida. Infatti non si è mai illusa, ma so che continuava a volere da me qualcosa… Basta, non nego che qualche volta anch’io ho pensato a come avrebbe potuto essere la vita con lei, se fossi riuscito ad amarla. Credo di averglielo anche detto una volta e mi sembra mi abbia risposto, con la sua caratteristica durezza, che ormai era troppo tardi ed era inutile porsi certi quesiti. Aveva ragione. Su molte altre cose ha avuto ragione, forse, anche se io non me ne sono mai accorto.
Si vantava di essere dotata di una certa preveggenza e alludeva spesso, con aria misteriosa, alla sua conoscenza delle arti magiche. Naturalmente non l’ho mai presa sul serio e soltanto per scherzo la chiamavo “streghetta”, anche perché un po’ strega lo sembrava davvero, soprattutto per il suo aspetto. Mi ricordo i suoi capelli sempre arruffati, i suoi abiti scuri, gli strani anelli ed i tanti braccialetti che si metteva, considerandoli ornamenti apotropaici. Era strana, ecco, ed eccessiva in ogni suo atteggiamento.
Anche con la musica aveva un rapporto ambiguo: a volte si incupiva nell’ascoltarla, altre si trasformava in una specie di baccante in preda all’estasi dionisiaca. Era pazza forse, non so…
Negli ultimi tempi ci eravamo allontanati e devo dire che la cosa non mi era dispiaciuta. Non ci vedevamo quasi mai e io le telefonavo ogni tanto, senza sapere nemmeno perché, forse solo per abitudine. Non ci dicevamo più quasi nulla di noi, i nostri discorsi erano vuoti e superficiali e lei non mancava di rinfacciarmi con livore anche questo, come se fosse solo colpa mia: che tedio! Ogni volta che la sentivo, pensavo che avrei fatto meglio a non chiamarla più.
Le cose erano a questo punto lo scorso sabato, quando non sapevo proprio che fare di me e mi annoiavo più del solito. Chiamare Mary? Nemmeno per sogno, ma anche di vedere gli altri amici non avevo una gran voglia. Così optai per restarmene in camera mia ad ascoltare un po’ di musica, ma non riuscivo a scegliere neanche un cd e infine accesi la radio. Mi arrivarono alle orecchie le note di una delle canzoni preferite da Mary, di quelle che la mandavano in estasi: “Till the next somewhere” di Ray Charles e Dee Dee Bridgewater: tanto per rimanere in tema. Stavo per cambiare stazione, quando rimasi conquistato da un paio di note e mi bloccai. Qualcosa mi indusse a volgere lo sguardo verso la porta della stanza e vidi Mary che mi sorrideva, appoggiata allo stipite. Trasecolai: da dove era spuntata fuori? Ma non riuscii a dire una parola. Se ne stava li’, ferma a guardarmi. Era lei, ma nello stesso tempo non era lei: sembrava assai più bella di come la ricordavo. Indossava un lungo vestito azzurro che non le avevo mai visto, i suoi capelli bruni erano molto più lunghi del solito e niente affatto arruffati, ma lisci e lucenti come la seta. I suoi grandi occhi scuri brillavano di una luce vivissima, il suo volto aveva un bel colorito roseo, i lineamenti erano distesi e non corrucciati, come di consueto.
Ritrovai finalmente la voce: “Che cosa diavolo…?” ma non feci in tempo a finire: Mary, o la sua sorella bella, era scomparsa.
Scossi la testa, stropicciandomi gli occhi: ora ci mancavano anche le allucinazioni!
Mi lasciai cadere sul letto, mentre Ray Charles e Dee Dee Bridgewater continuavano a cantare dalla radio. Mi tediava, ora, quella canzone che sembrava non finire mai, ma non avevo voglia di muovermi per cambiare stazione. Restai qualche secondo ad occhi chiusi, finché uno strano chiarore mi indusse ad aprirli. Girai lentamente la testa e, accanto al mio letto, vidi Mary seduta a gambe incrociate in mezzo ad un cerchio di candele. Mi fissava con lo stesso sorriso enigmatico di poco prima. Era troppo! Balzai in piedi, urlando: “Ma che ci fai qui? Come sei entrata?”
Si alzò lentamente, senza smettere di sorridermi e di fissarmi con quegli occhi da strega. Tese una mano, prese la mia destra e mi indusse ad entrare nel cerchio di candele. Mi mise le braccia intorno al collo e mi sussurrò con una voce che non sembrava nemmeno la sua “Sono qui per te. Balliamo prima che la musica finisca.”
Non potevo fare a meno di assecondarla, anche se non capivo assolutamente cosa stesse succedendo. Il suo profumo mi inebriava e mi confondeva ancora di più: la mia amica Mary non aveva mai portato il profumo. “Questo è il nostro ultimo ballo.” mi sussurrò stringendosi di più a me “Vado via.”
“Vai via dove? Cosa…”
“Ssss…baciami.”
In realtà avevo desiderato baciarla fin dal primo momento in cui l’avevo vista in camera mia. Mi lasciai andare senza fare più domande. La baciai a lungo e mi sorpresi a desiderare che il tempo si fermasse e che restassimo per sempre lì, abbracciati in quel cerchio di candele.
Desiderare di stare con Mary per sempre… Non avevo mai pensato che potessi succedermi, né che le avrei mai posto una domanda tanto assurda: “Ma tu sei una strega o una fata?”
“Tutt’e due.” mi rispose sorridendo.
Era tutto pazzesco.
La canzone di Ray Charles e Dee Dee Bridgewater stava finendo. Sulle ultime note, lei si sciolse dal mio abbraccio, sussurrando: “Grazie per il ballo. Devo andare ora.”
Fine della canzone e fine della magia: Mary o chi per lei, era scomparsa, delle candele nessuna traccia, nemmeno un filo di fumo.
Mi risvegliai la mattina dopo, sul pavimento invece che nel mio letto, infreddolito e con tutte le ossa doloranti. Mi rimisi faticosamente in piedi, stropicciandomi gli occhi impastati di sonno: che nottataccia! Quello strano sogno su Mary doveva avermi fatto agitare a tal punto da cadere dal letto e finire per terra. E non me ne ero neanche accorto! Bah, che stranezza!
Mi stavo dirigendo verso la finestra per aprirla e lasciar entrare un po’ d’aria fresca, quando vidi sul comodino un biglietto e due rose bianche.
In quel momento il cellulare squillò con la melodia della canzone di Ray Charles e Dee Dee Bridgewater, che non era mai stata memorizzata nel mio telefonino. Numero riservato, al mio “pronto” nessuna risposta. Sudavo e mi girava la testa. Afferrai il biglietto per leggerlo. La grafia era quella inconfondibile della mia amica Mary:
“Mio caro, sarei andata via senza nemmeno salutarti, se non avessi sentito che stavi pensando a me. Credo che in fondo tu abbia sempre saputo che io non appartenevo né a te, né a questo mondo. Finalmente ho capito cosa devo fare di me: andrò via a cercare il mio popolo verso nord, dove finiscono le città, dove, nei boschi, vivono le fate, gli elfi e i folletti. Non stare in pena per me e non crucciarti: non avremmo mai potuto stare insieme perché apparteniamo a due mondi diversi. Ma non ci perderemo del tutto. Ci incontreremo qualche volta nei sogni.
Sempre tua, Mary”
Ormai ero del tutto sconvolto e temevo d’aver perso la ragione. Provai a telefonare a Mary, ma al numero di casa nessuna risposta, il cellulare era spento.
Mentre correvo in strada verso casa sua, realizzavo vagamente che non era solo il desiderio di capire cosa fosse successo a farmi precipitare a cercarla, ma proprio il desiderio di lei.
Non l’ho trovata più. Ho suonato il campanello di casa sua e mi hanno aperto degli sconosciuti. Ho chiesto loro notizie di Mary e mi hanno risposto che aveva venduto in fretta la casa qualche tempo prima ed era andata via senza lasciare alcun recapito.
“Una donna molto strana.” ha commentato l’anziana signora.
“Molto misteriosa.” ha aggiunto suo marito.
L’ho persa per sempre.
So che non la rivedrò mai, ma spesso la sogno, così come mi è magicamente apparsa quell’ultima volta nella mia stanza, col vestito azzurro da fata e i capelli lunghissimi, bella è sorridente come non era mai stata quando era ancora la mia strana amica Mary.
Autore: Astfelia
Messo on line in data: Settembre 2004