RACCONTO: VJLIA di Astfelia

Ywain stava immobile, avvolto nel suo nero mantello, lo sguardo fisso in un punto imprecisato dell’orizzonte.
Una voce da lontano, fra gli alberi: “Ywain! Amore…”
Erano giorni che gli sembrava di udire quella voce femminile dalla tonalità indefinibile, flebile, malinconica, una voce che ricordava due immensi occhi d’un azzurro chiarissimo, quasi bianco…
No, era solo lo stormir delle foglie in autunno, ma proprio in autunno, poco più di un anno prima… Di notte, sull’erba fresca, ai piedi d’una grande quercia… Con le ramate foglie autunnali che frusciavano, come se sospirassero di piacere e dolore, come una donna…
“Ilenya!”
“Ywain! Amore…”
Il principe Ywain si scosse: scendevano le tenebre, doveva tornare a palazzo, ove quella sera avrebbe avuto luogo un ricevimento organizzato per festeggiare il trentesimo anno di regno di suo padre, Ulien, sovrano di Umall. Sarebbero stati presenti anche i suoi suoceri, i genitori della sua sposa Lehana, sovrani del regno di Gailenga.
Montò a cavallo e partì al galoppo, lasciandosi alle spalle la foresta e quello stormir di foglie simile ad un lamento di donna. Ilenya non sarebbe stata presente all’evento. Mentre cavalcava a spron battuto verso il palazzo, Ywain non poteva far a meno di pensare alla prima volta che l’aveva vista, ad un altro ricevimento, a Gailenga… La corte di Gailenga era in festa per il matrimonio della principessa Lehana con il principe Ywain di Umall. I festeggiamenti sarebbero durati tre giorni: i due precedenti alle nozze e quello della solenne celebrazione. Erano giunti a corte, per l’occasione, tutti i più alti nobili d’Irlanda, i più famosi bardi e il Venerabile Druido Fionn Badhna che avrebbe assicurato il favore degli dèi con i suoi riti propiziatori. Ywain e Lehana erano promessi fin da bambini e, quando il principe aveva incontrato per la prima volta la sua fidanzata, aveva ringraziato gli dèi: non avrebbe potuto desiderare una sposa più dolce e più bella. A sua volta la principessa Lehana era rimasta affascinata dall’aspetto del suo promesso sposo: dalla sua alta statura, dai lineamenti aristocratici del suo volto bruno, dagli occhi scuri e i capelli nerissimi, lunghi e lucidi come l’ala d’un corvo. I sovrani di Umall e di Gailenga osservavano con soddisfazione i loro figli danzare con grazia al centro della sala. Fra il re e la regina di Gailenga sedeva la loro secondogenita, Ilenya, con una mano in quella della madre. Era una fanciulla esile di circa sedici anni, dai lunghissimi, serici capelli del colore delle tenebre, la carnagione diafana, gli enormi occhi chiari sempre dilatati come in un continuo stupore, persi in un’inquietante fissità, nella contemplazione di una realtà lontana, nota a lei sola.

La regina Valyeda strinse nella sua la mano della figlia e le sfuggì un sospiro.
La sua futura consuocera, la regina Ethna, le sfiorò il braccio con gentilezza, mormorando: “Ha un viso così dolce, povera creatura!”
“A volte vorrei tanto sapere cosa pensa, cosa vede…”, sospirò malinconicamente Valyeda.
“E’ sempre così? Non parla mai?”
“Sempre così, come la vedi, dal giorno in cui è nata. Ormai non speriamo più che possa migliorare. Vive in un mondo tutto suo, incomunicabile col nostro. A volte la sento bisbigliare, ma non sono mai riuscita a comprendere una sua sola parola. Parla con se stessa o forse con gli spiriti, con le creature magiche che la capiscono, non so…”
“Illusioni di una povera madre”, pensava Ethna. “Vuole credere che la figlia comunichi con una realtà superiore. In realtà è soltanto una povera folle.” Si guardò bene dall’esprimere i suoi pensieri ad alta voce.
“Immagino non possiate mai lasciarla da sola”, disse soltanto.
“No, infatti, c’è sempre un’ancella con lei che l’accudisce in tutto. Soltanto la sera, più o meno verso quest’ora, esce e non vuole nessuno con sé. La guardiamo da lontano: siede tranquilla nel boschetto che circonda il castello, sotto un albero, e resta là, immobile anche per ore.”
“Tutto ciò è molto triste”, disse la regina di Umall.
“Sì, molto doloroso”, annuì tristemente la regina di Gailenga. “Ma stasera dobbiamo dimenticare il dolore e gioire per Lehana e Ywain. Guardali, sono bellissimi insieme!”
La principessa Ilenya lasciò la mano della madre, si alzò e rimase immobile vicino ad un arazzo, con gli occhi persi nella luce della grande sala.
Il principe Ywain, terminata la danza con la sua fidanzata, stava attraversando la sala per avvicinarsi ai sovrani. Il suo sguardo fu catturato dall’esile figura di Ilenya, che spiccava sullo sfondo dell’arazzo viola, nella sua bianca veste ricamata d’argento, col suo manto di lunghi capelli neri dalle strane sfumature tendenti al blu, che le scendeva sulle spalle leggermente curve. Il principe conosceva la triste storia della sorella di Lehana. Si fermò ad osservare la fanciulla con un misto di pena e di curiosità: che strana, eterea creatura… Gli parve avvolta in una luce ultraterrena, come se appartenesse ad un altro mondo, e guardò i suoi immensi occhi di cristallo che l’oltrepassarono senza vederlo. Vi lesse una totale inconsapevolezza di sé e di quanto la circondava. Quella creatura ignara di tutto, persa in un vuoto senza fine, gli sembrò all’improvviso affascinante, irresistibile, si scoprì a chiedersi come sarebbe stato possederla, violare quella sua fragile innocenza. La desiderò ardentemente, in modo assai diverso da come desiderava Lehana: la bramava proprio per la sua incoscienza. Se la sua mente era vuota, come traspariva dai suoi occhi privi d’espressione, allora lei era solo sensi: tenera, calda, inconsapevole, struggente sensualità…
Ilenya si staccò dall’arazzo e attraversò la sala, dirigendosi lentamente verso la porta. La madre la guardò allontanarsi e l’ancella non la seguì come di consueto. Il principe Ywain restò immobile e trattenne il respiro, mentre lei gli passava accanto silenziosa. Il profumo di viola che emanava dai suoi capelli lo inebriò… Si guardò intorno nervosamente: Lehana era stata catturata da un gruppo di dame molto loquaci e i sovrani erano immersi in un’animata conversazione. Se si fosse assentato per un po’, forse nessuno lo avrebbe notato.
Uscendo da palazzo, il principe Ywain maledisse mentalmente se stesso, le dame ciarliere e i sovrani di Gailenga che non si curavano di lasciar uscire da sola, nella notte, quella loro povera figlia priva di senno. Tutto gli appariva come un piano ordito da volontà occulte. Se era destino…
Seguì Ilenya, all’inizio più con preoccupazione e curiosità che con desiderio: la sua razionalità cercava di reprimere le insane fantasie che aveva nutrito sulla sventurata fanciulla.
Non la vide subito. Il suo sguardo attento esplorò velocemente ogni parte del cortile, finché non scorse Ilenya dirigersi lentamente verso il bosco che circondava il castello. L’aria della sera era fresca. Ywain si strinse addosso il pesante mantello nero. La ragazza indossava solo la sua leggera veste bianca: come poteva non aver freddo? Forse l’indifferenza al variare della temperatura faceva parte della sua malattia. La seguì da lontano. Ilenya non si addentrò molto nel bosco, si fermò alla prima quercia, si appoggiò al tronco. Ywain la guardava da una certa distanza, ipnotizzato da quella figura bianca addossata al tronco della pianta, unita ad essa come se ne facesse parte, illuminata dalla splendente luce della luna piena. Gli parve che i rami dell’albero si piegassero su di lei come per cingerla in un abbraccio protettivo.
Una leggera brezza soffiò sotto la bianca veste, il desiderio di Ywain si risvegliò più bruciante di prima. Uscì dall’ombra e si avvicinò alla fanciulla, arrivò ad un passo da lei, le sorrise: “Ilenya…”, sussurrò. Lei non ebbe alcuna reazione: rimase immobile, fissandolo senza vederlo con i suoi vacui occhi del colore del cielo al sorgere del sole. La sua pelle diafana sembrava brillare dei riflessi argentei della luce lunare e un intenso profumo di viola l’avvolgeva, conferendole mistero e sensualità.
“Ilenya…”, ripeté Ywain, facendosi ancora più vicino a lei, tanto che la fanciulla avrebbe potuto avvertire il furioso battito del suo cuore, il suo affannoso respiro. La ragazza si abbandonò ancor di più contro il tronco nodoso dalla quercia, con un lieve sospiro alzò un braccio, sfiorò col dorso della mano la ruvida corteccia, chiudendo gli occhi, reclinando il capo da una parte e sorridendo con infinita dolcezza.
Ywain vide in ogni suo gesto un tacito, voluttuoso invito: lei gli si stava offrendo! Non seppe più resistere. Raccolse tutto il proprio coraggio e penetrò il suo mondo oscuro e infinito, liberandosi dei limiti della coscienza, spingendosi oltre gli orizzonti della consapevolezza, varcando frontiere lontanissime e proibite, fino a raggiungere l’altra metà di se stesso, la metà oscura che aveva sempre ignorato e che trovò nascosta dentro di lei.
Gridò il nome della fanciulla: “Ilenya!”
Lei gridò il suo: “Ywain!”, pronunciando, per la prima volta nella sua povera vita, un nome umano e unendovi sommessamente una parola di cui la sua mente vuota non conosceva il senso, ma che scaturì dai più segreti meandri del suo cuore: “Amore…”
Allora ogni realtà sembrò sfumare, dileguarsi nell’immensità di quella passione impossibile che aveva brevemente unito due parti inconsapevoli di uno stesso essere, fino a quel momento scisse e lontanissime fra loro. Il cuore impazzito di Ywain riposò per un attimo sul cuore di Ilenya. Ma fu solo un attimo.
Stordito, sgomento, egli si scosse e si staccò bruscamente dalla fanciulla ansante.
Lei giaceva sull’erba, fra le foglie ramate, con lo sguardo di perla perso nel vuoto, l’ombra d’un sorriso sulle labbra.
La guardò inorridito, attonito, stentando a credere in ciò che era accaduto: non poteva averlo fatto! In preda al panico, si volse e corse via, lasciandosela alle spalle e provando la sensazione di aver trafitto una creatura fragile e di averla poi abbandonata lì, agonizzante sull’erba, fra le foglie di rame.
Mentre correva lontano da quella quercia, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, sentiva sulla pelle il respiro di Ilenya, il forte battito del suo cuore contro il proprio, la sua voce indefinibile che gridava il suo nome: “Ywain!” e sospirava come in un ultimo alito di vita : “Amore…”
Forse era morta…
Tornò in sé soltanto quando si ritrovò immerso nella luce del palazzo. Era stato solo un momento di follia da seppellire negli abissi della coscienza e dimenticare. La ragazza non avrebbe mai parlato, forse non si era nemmeno resa conto, nessuno avrebbe mai saputo, ora lui doveva solo recuperare la sua lucidità e la padronanza di se stesso e correre dalla sua fidanzata e dai sovrani: di certo tutti si stavano chiedendo dove fosse finito.

Lehana teneva in braccio il suo primogenito di pochi mesi, mostrandolo orgogliosamente ai nonni che lo vedevano per la prima volta. I sovrani di Gailenga erano venuti in visita ad Umall in occasione dei festeggiamenti per il trentesimo anno di regno del vecchio re Ulien. Galaan e Valyeda guardarono con occhi pieni di commozione il loro primo nipotino e la loro figlia raggiante che non vedevano dal giorno delle sue nozze, all’incirca un anno prima, poco tempo prima che… Sui volti dei sovrani di Gailenga, la gioia del momento presente si mescolava ai segni di un forte dolore passato, non ancora superato.
“Se anche tua sorella Ilenya fosse qui oggi, la mia gioia sarebbe completa”, disse malinconicamente la regina Valyeda alla figlia Lehana.
Tutti restarono per un po’ immersi in un mesto silenzio, finché la regina Ethna non pronunciò una frase di circostanza, dopodiché la conversazione si rianimò, concentrandosi sul neonato.
Il principe Ywain ricordava un’altra occasione in cui si era intrattenuto in conversazione con i propri genitori, Lehana e i sovrani di Gailenga, un anno prima…
Conversava disinvoltamente, ma il suo cuore era in tumulto per Ilenya. Perché non rientrava? Come aveva potuto lasciarla sola?
Ad un certo punto la vide comparire nella sala e trasse un sospiro di sollievo. La guardò avanzare lentamente, col suo consueto sguardo inespressivo, come se niente di nuovo fosse accaduto. Sembrava solo un po’ infreddolita. L’ancella accorse da lei e le mise un mantello sulle spalle, poi l’accompagnò verso il trono. Ywain trattenne il respiro, mentre i sovrani di Gailenga baciavano affettuosamente la loro secondogenita, augurandole la buonanotte, pur sapendo che lei non li avrebbe nemmeno uditi, né avrebbe loro risposto. E se ora la ragazza avesse parlato? Ma no, lei non pronunciò una sola sillaba e si lasciò condurre passivamente verso la propria stanza dall’ancella che l’avrebbe preparata per la notte.
Eppure Ywain sapeva che poteva parlare, l’aveva udita distintamente pronunciare quelle due parole che ora rimbombavano nella sua testa…
Non doveva pensarci, era tutto finito e non ci sarebbero state conseguenze: probabilmente la ragazza non si era resa conto di quanto era accaduto e in ogni caso ora non ricordava nulla. Nessuno avrebbe saputo, nessuno…
“Io so quel che hai fatto, principe Ywain di Umall!”
La stridula voce senile lo fece sobbalzare: il vecchio Druido, il Venerabile Fionn Badhna, lo aspettava all’imboccatura del corridoio che portava alle stanze da letto.
“Cosa vuoi, Druido? Che ci fai ancora in giro a quest’ora?”, replicò bruscamente Ywain.
“Ti ho visto”, fu la lapidaria risposta del vecchio. “Non con i miei occhi, ma con la Vista.”
Maledetta onniscienza druidica! Pretesa onniscienza, peraltro, perché in essa Ywain non credeva. Egli non aveva grande considerazione per la religione.
Provava una netta avversione soprattutto per la fede dei Cristiani, credendo che fosse del tutto inadeguata allo spirito indomito del suo popolo e riteneva inspiegabile che tanti Celti, in seguito alla propaganda del famoso Patrizio, si fossero convertiti negli ultimi due secoli. Quanto all’antica religione celtica, egli la considerava poco più di un insieme di affascinanti leggende, sia pur legate da un nodo di conoscenza e dottrina profonda. La rispettava più che altro formalmente, in quanto era l’antico credo dei suoi padri, senza reale, intima adesione.
Ora, probabilmente, quel Druido, standosene nascosto fra gli alberi del bosco, intento ai suoi sortilegi, aveva avuto modo di spiare lui e Ilenya e aveva deciso di minacciarlo. Non si lasciò intimorire. Prese tempo: “Cosa avresti visto, Venerabile Fionn?”
“Te e la principessa Ilenya nel bosco. Tu l’hai posseduta.”
Ywain lo sfidò con lo sguardo: “E se anche fosse? Se hai visto, avrai notato anche che lei mi si è offerta, non le ho usato violenza, anzi le ho forse dato l’unico tipo di felicità che può sperimentare in questo mondo.”
“Non serve che ti giustifichi, non ti sto accusando”, replicò il Druido. “Volevo solo dirti che la vostra unione non è casuale. E’ Ilenya la donna del tuo destino, non Lehana.”
Ywain si trattenne a stento dal ridere: “Ma che dici, vecchio? Ilenya è una povera malata di mente e quel che è accaduto fra di noi non è stato altro che un attimo di follia, uno sbaglio da dimenticare.”
Gli occhi penetranti del Druido lo trapassarono: “Dentro di te sai che non è così. Quello che hai provato unendoti a lei è stato molto profondo, tanto da farti trovare in lei la parte di te stesso che credevi di aver negato per sempre.”
“Tu vaneggi, Druido!”, gridò quasi Ywain, odiando quel vecchio, soprattutto perché leggeva nella sua anima come in un libro aperto.
“…Lei è il tuo cuore, il centro dei tuoi sentimenti, la tua follia…”, continuò tranquillamente il Venerabile Fionn. “Quella piccola follia che ti manca per aver fede nel mistero della vita. Tu sei il senno che lei non ha e che solo con te potrebbe ritrovare. Siete come due metà divise. Insieme formereste un essere completo e felice, vi salvereste. Vuoi ancora sposare Lehana, dopo quanto ti ho rivelato?”
“Certo che voglio sposare Lehana! Sono stufo del tuo farneticare, Druido, e sappi che non temo né te, né i tuoi dèi. Rivela a mio padre e al padre di Lehana quello che hai visto e morirai per mano mia!”, tuonò Ywain, all’apice dell’ira.
“Non agitarti”, replicò il Druido, imperturbabile. “Nessuno saprà niente, se non sarai tu a rivelarlo, e sposerai Lehana, ma non troverai mai in lei ciò che hai trovato stanotte in Ilenya. E ricorda, la tua vita resterà indissolubilmente legata a lei, perché così è nel fato….”
E il vecchio Druido si allontanò nel corridoio buio, lasciandosi dietro l’eco delle sue ultime parole.
Dimenticare, dimenticare subito tutto…
Il giorno successivo, Ywain si tenne ben lontano da Ilenya ed evitò il più possibile di rivolgerle lo sguardo. A sera, la vide uscire da palazzo alla solita ora e intuì che sarebbe andata ad aspettarlo alla loro quercia, ma si guardò bene dal seguirla, anche se in cuor suo provava un’immensa pena per quella creatura che lo avrebbe atteso invano. Si costrinse ad ignorare quel sentimento struggente.
L’indomani fu celebrato il suo fastoso matrimonio con la principessa Lehana. Ilenya vi assistette silenziosa e assente, accanto ai suoi genitori. Il suo volto non tradiva alcuna consapevolezza, alcuna emozione. Solo un attimo prima di partire con la sua sposa per Umall, il principe Ywain le rivolse uno sguardo furtivo: “Addio, mia dolce follia”, sussurrò mestamente il suo cuore.

Lehana era al quinto mese di gravidanza, quando giunse la triste notizia. Suo marito la trovò in lacrime. Una lettera era scivolata dalla sua mano sul pavimento. Ywain la raccolse e la scorse velocemente: era dei sovrani di Gailenga e annunciava la morte di Ilenya. Si era tolta la vita in un momento di estrema follia, trafiggendosi con un pugnale. L’avevano trovata di notte. Giaceva ai piedi di una quercia, con indosso la sua veste più candida, in un lago di sangue: il suo dolce candore macchiato di rosso.
Leggendo la dolorosa lettera dei sovrani di Gailenga, Ywain provò un dolore acutissimo, nel corpo e nello spirito, come se una lama affilata penetrasse in lui e gli tagliasse in due l’anima.
Sentì la parte recisa uscire dal suo corpo e volar via, verso la quercia, dove era stato trovato il corpo di Ilenya, dove forse ancora si trovava il suo spirito senza pace.
Abbracciò la moglie, sconvolta dal dolore, nascose fra i suoi capelli il proprio volto che era una maschera d’orrore.
Sussurrava a Lehana parole di consolazione, ma vedeva Ilenya che giaceva senza vita ai piedi della quercia, il suo tenero corpo avvolto nella bianca veste inondata di sangue, i suoi neri capelli sparsi fra le foglie di rame, gli occhi di perla spalancati. Vedeva i rami della quercia piegarsi sulla fanciulla morta, come per abbracciarla un’ultima volta, la bianca luna arrossarsi, il cielo incupirsi… E sentiva di essere lui stesso il pugnale che l’aveva trafitta a morte… Il pianto della moglie lo strappò a quell’atroce visione.
“Come ha potuto procurarsi quel pugnale?”, singhiozzava Lehana.
“Forse l’avrà rubato ad una guardia…”, ipotizzò debolmente Ywain.
“Ma non è possibile! Non veniva mai lasciata sola, c’era sempre un’ancella con lei, e nessun uomo in armi poteva avvicinarla: fin da quando era piccola temevamo che si facesse del male.”
“Magari in un attimo di disattenzione dell’ancella…”
“No, non è andata così!”, negò Lehana, asciugandosi col dorso della mano le gote inondate di lacrime. “Ywain, fin da quando Ilenya era piccola, la mamma e io la sentivamo mormorare parole incomprensibili. Abbiamo sempre pensato che parlasse con gli elfi e con tutte le creature fatate a noi invisibili. Era con loro che si intratteneva la sera, quando voleva restare sola nel bosco, perché loro la capivano, comunicavano con lei. Forse, in un momento di enorme sofferenza causato dalla sua malattia, ha chiesto loro di aiutarla a morire, e gli elfi, avendo pietà di lei, le hanno dato quel pugnale…” Lehana scoppiò nuovamente in un pianto dirotto e Ywain la strinse forte a sé: “Sono solo fantasie, mia cara. Non straziarti così, fallo per il bambino che aspetti. Sforzati di pensare che tua sorella ora ha smesso di soffrire e ha trovato la pace.” Ma egli stesso non credeva nelle parole che diceva alla moglie per confortarla.

I festeggiamenti in onore di re Ulien di Umall, si protrassero fino a notte inoltrata, poi l’intera corte cadde in un sonno profondo. Solo il principe Ywain vegliava. Facendo attenzione a non destare la sposa addormentata, lasciò la camera nuziale e uscì da palazzo, nella fredda notte, avvolto nel suo pesante mantello nero. Giunse a cavallo ai margini della foresta, ove aveva udito più volte quella misteriosa voce proveniente dal folto degli alberi, che aveva risvegliato in lui il pensiero di Ilenya. Voleva accertarsi una volta per tutte che si fosse trattato solo di una sua fantasia, scaturita dal fruscio delle foglie nel vento autunnale. Scese da cavallo. Era buio e tirava un vento gelido. Incurante del freddo, il principe rimase immobile, con tutti i sensi all’erta. La voce lontana raggiunse nuovamente il suo udito: “Ywain! Amore…”
Rabbrividì. Ora ne era certo e non voleva più fingere di ignorarlo: non era il sibilo del vento, né lo stormir delle foglie. Non aveva sognato, era lei!
“Ilenya…”, sussurrò.
Ancor più distintamente, la voce gli rispose di nuovo: “Ywain! Amore…”
Lei era là, fra gli alberi, ma lontano, oltre la foresta, sotto la loro quercia, nella terra di Gailenga. Era rimasta là da allora, da quella notte, non aveva mai smesso di aspettarlo e di chiamarlo, e lui finalmente la sentiva. Si lasciò avvolgere, catturare, cullare dal suono di quella voce che gli riportò infuocati momenti d’amore sepolti nella sua anima, ma mai dimenticati. Sospirò nel rivivere la fusione del suo corpo con quello di Ilenya, l’unione delle loro anime.
“Ilenya…”, mormorò ancora, stravolto dallo struggente desiderio di stringere ancora tra le braccia quel tenero corpo. “Mio dolcissimo, folle amore, ti ritroverò e saremo ancora una cosa sola…”

Il principe Ywain insistette per riaccompagnare i sovrani di Gailenga nel loro viaggio di ritorno, adducendo come pretesto che la foresta situata fra il regno di Umall e quello di Gailenga era piena di insidie e che la scorta reale poteva non essere sufficiente. Nessuno poteva immaginare che quella fosse solo una scusa per tornare alla quercia di Ilenya.
Il principe scortò dunque i suoceri fino alla reggia. Calavano le tenebre e sorgeva la luna, quando il drappello reale giunse a palazzo.
I sovrani invitarono il genero a trattenersi, quella notte, per rifocillarsi e riposare, ma il principe volle ripartire subito, mostrandosi ansioso di tornare dalla sposa e dal figlioletto.
Invece, accomiatatosi in fretta dai suoceri, si precipitò, col cuore in tumulto, alla vecchia quercia che non aveva mai dimenticato.
Si fermò ad una certa distanza dal grande albero, sentendosi all’improvviso smarrito, timoroso di avvicinarsi. Attese sospeso una voce, un’apparizione e, quando la luna fu allo zenith, egli udì e vide.
“Ywain! Amore…”
Addossata al tronco della pianta, la creatura appariva come una figura eterea avvolta da una nebbia leggera che rendeva i suoi contorni sfumati, ma Ywain la riconobbe senza ombra di dubbio: era lei, Ilenya, la sua dolce ossessione, la sua follia, nella veste bianca ricamata d’argento, con la pelle diafana e i lunghissimi capelli neri dalle sfumature blu. Ywain smontò da cavallo, si diresse lentamente verso quell’apparizione come in un sogno, mormorando il nome di lei, udendo la sua voce che invocava il suo.
“Ilenya, amore mio, sono qui.”
E lei alzò un braccio, sfiorando la corteccia dell’albero col dorso della mano, reclinando il capo da un lato e sorridendo con infinita dolcezza, come quella notte di un anno prima, come se ancora lo invitasse ad amarla. Ywain tese la mano per toccarla, ma la sua mano attraversò la figura immateriale e sfiorò il fusto della quercia. Il contatto con la ruvida corteccia fu doloroso.
Con un lieve gemito, l’apparizione si dileguò sotto i suoi occhi dilatati e sgomenti. Ywain si gettò con furia contro il fusto dell’albero, graffiandosi le mani e il viso con la corteccia, gridando disperatamente: Ilenya!”
Ma nessuna voce gli rispondeva più.
Rimase così, avvinghiato al tronco dell’albero, singhiozzando convulsamente e gridando il nome dell’amata, finché una voce alle sue spalle non lo indusse a voltarsi. Si ritrovò davanti il Druido Fionn Badhna appoggiato al suo bastone, che lo guardava con occhi pietosi: “Ora se n’è andata, figlio mio.” Ywain si precipitò verso il Druido, lo prese per le spalle: “Vecchio, tu sai tutto, dunque dammi una spiegazione! Io l’ho vista, era là, era la mia Ilenya!”
“Sì, era lei, ma ora è un Vilja, uno spirito che non riesce a trovare la pace nel nulla che segue l’ultimo respiro. E’ rimasta qui, nel luogo in cui si è tolta la vita, ed è soprattutto il tuo accorato ricordo di lei ad impedirle di staccarsi definitivamente da questo mondo.”
“Un Vilja…”, ripeté Ywain assorto. “Sembrava così reale… Ho cercato di toccarla ed è svanita.”
“Non puoi toccarla, lei non ha più un corpo materiale”, disse gravemente il Druido. Un lampo attraversò gli occhi allucinati di Ywain: “Ma se la sua anima non è ancora sprofondata nel nulla, forse è possibile riportarla in vita! Druido, ti scongiuro, usa tutta la tua dottrina, la tua magia e riportala da me!”
“Vaneggi, figlio. Nessuna dottrina, nessuna magia può ridarle la vita, e tu lo sai.”
“Forse i Cristiani…”, mormorò Ywain. “Loro dicono che il loro Dio ha sconfitto la morte…”
Il Druido scosse la bianca testa: “Se andrai dai Cristiani, ti diranno soltanto di convertirti e di pregare per la tua e per la sua anima.”
Ywain lasciò andare il Druido e gridò con voce strozzata: “Ma allora che devo fare? Io non posso più esistere senza di lei!”
“Non puoi far nulla. Puoi soltanto tornare al tuo palazzo, dai tuoi cari, e sforzarti di dimenticare”, fu la quieta risposta del Druido.
Ywain lo fulminò con lo sguardo: “Come puoi dirmi questo, proprio tu? Sai bene che non posso dimenticare, sarebbe come dimenticare me stesso. Fosti tu a dirmi che la mia anima era fusa con la sua. Allora non volli ascoltarti, ma adesso so che avevi ragione. Ora dimmi la verità: lei si è uccisa per causa mia?”
“Non farti ancora del male, figlio mio”, mormorò il Druido. Il principe lo scosse nuovamente per le spalle, senza alcun rispetto, divorandolo con lo sguardo: “Parla, ti ho detto! Devo sapere tutto!”
Sia pure a malincuore, il vecchio Druido fu costretto confermare i suoi sospetti: “Lei venne qui ogni sera ad aspettarti, per mesi. Piangeva, e le creature fatate del bosco cercavano di consolarla, ma lei non voleva che te.”
Gli occhi di Ywain erano dilatati dallo sgomento e dalla disperazione: “Piangeva…”, ripeté con voce indefinibile. “Piangeva per me, e io l’ho lasciata morire…”
“Tu non lo sapevi, non avevi compreso”, cercò di giustificarlo il Druido, pur sapendo che ogni parola sarebbe stata vana.
“Ma tu mi avevi avvertito! Se fossi rimasto con lei, sarebbe guarita e ora saremmo felici insieme, vero?”
“Forse, ma che senso ha chiederselo, ormai?”
“Nessuno…”, mormorò debolmente Ywain. Non sopportava più la vista del Druido e voleva rimanere solo. “Dimmi soltanto un’ultima cosa: lei mi si mostrerà ancora, se resto qui?”
“Sì, ma ciò non è bene. Non è bene che un vivo si trovi a lungo in contatto con un Vilja. Torna da tua moglie e da tuo figlio, principe. E’ questa l’unica cosa giusta da fare.”
“Sì”, rispose distrattamente Ywain, soltanto per togliersi di torno il Druido. “Lo farò, ma non subito. Voglio vederla ancora. Adesso va’ via, lasciami solo.”

Rimase nel freddo bosco, dormendo a terra, sul proprio mantello, senza riparo, senza cibo, senz’acqua, dimentico di tutto fuorché delle apparizioni di Ilenya. Ogni sera, al sorgere della luna, si predisponeva in attesa presso la quercia. Non cercava più di toccare l’eterea figura, si accontentava di contemplarla. Ilenya gli apparve ancora, distesa ai piedi della quercia, ansante, con un lieve sorriso sul volto leggermente rosato. Era così che l’aveva lasciata quella notte, fuggendo da lei, dopo l’amore. Quella visione gli strappò un brandello d’anima, poi si dileguò.
La sera successiva gli apparve seduta sotto il grande albero, avvolta nel suo candore. Piangeva, lacerandosi la veste, strappandosi i capelli e gridando disperatamente un nome: “Ywain!”.
Quella visione gli strappò un altro brandello d’anima, poi si dileguò. Infine gli apparve distesa a terra, sotto l’albero, fra le foglie ramate, con le braccia aperte a croce, gli occhi spalancati, un pugnale stretto nella mano destra. Con un grido acuto e un movimento fulmineo, si trafiggeva con il pugnale e il sangue le inondava la veste bianca. Nel sangue scompariva l’immagine della fanciulla, solo il sangue restava negli occhi folli di Ywain. L’ultimo brandello della sua anima fu strappato via violentemente da quell’ultima visione.
Cadde a terra in ginocchio, con gli occhi sbarrati. Rimase a lungo così, immobile, inerte, infine crollò in avanti, riverso, fra le foglie ramate che frusciarono nell’impatto col suo corpo esanime. Nel loro fruscio, la voce flebile di Ilenya: “Ywain! Amore…”

Le guardie di Umall e di Gailenga battevano la foresta alla ricerca del principe Ywain scomparso da giorni. Lo trovarono lì, sotto la quercia, riverso fra le foglie, avvolto nel suo nero mantello. Sul suo corpo, nessun segno che indicasse un’aggressione subita.
La sua famiglia non trovò mai una spiegazione alla sua morte. Soltanto il Venerabile Fionn Badhna sapeva la verità, ma non la rivelò ad anima viva.
Solo una volta, di notte, egli vide, presso la quercia, le immagini sfumate di due Vilja tanto strettamente abbracciati da sembrare un solo essere per metà bianco, per metà nero.
Dopo quell’apparizione, il Druido si costrinse a dimenticarsi di loro per lasciarli andar via da quel luogo, per permettere alle loro anime indivisibili di sprofondare dolcemente nell’immensa quiete del nulla, per sempre.

 

Autore: Astfelia
Messo on line in data: Maggio 2005