ERBE MAGICHE: IL TARASSACO di Katia

L’ultima neve con il disgelo si tramuta in acqua, che scivola via tra le rocce, arrivando a valle, donando un gorgoglio vivace al ruscello che s’insinua tra i prati vellutati di nuova erbetta.

Tutto pullula di vita; le api, messaggere d’amore, volano da corolla in corolla.
Odo i campanacci delle prime mucche al pascolo, l’aria frizzante del mattino rende il cielo di un azzurro intenso.
Cammino lungo il vialetto che porta al mio magico mondo, e vedo una donna curva, che raccoglie scrupolosamente delle tenere foglie.

“Buon giorno Bice, cosa sta raccogliendo?”
Buon dì, so dre a tos su sicorie, stasera le fo su coi ouff, ie nse bune!” (Buon giorno, sto raccogliendo cicorie. Questa sera le mangio con le uova, sono così buone!).

Ecco là il Tarassaco.
Comunemente chiamato cicoria selvatica, dente di leone o soffione, è una pianta spontanea dalle molteplici virtù, ma nella cucina popolare costituisce un’ottima insalata, cruda o bollita, dal sapore piacevolmente amaro e aromatico. I miei ricordi di bimba affiorano alla mente, quando la favola faceva parte della mia vita e, spensierata, correvo sui prati chiazzati dal giallo intenso del Tarassaco; quando trovavo i soffioni, con tutto il fiato facevo volare i peli di pappo, che come bolle di sapone si lasciavano trasportare dal vento.

Nella credenza popolare, i soffioni del Tarassaco erano usati come oracolo: i giovani innamorati donavano alla pianta messaggera le loro speranze ed i loro amori, con un soffio deciso lasciavano andare il pappo, e se tutti gli acheni involavano, i loro sogni si sarebbero realizzati.
Le streghe usavano frizionarsi tutto il corpo con il tarassaco, perché questo le avrebbe aiutate a farsi accettare dalla gente; inoltre questo rituale serviva anche a far realizzare i loro desideri.


Questa pianticella solare dai vividi fiori, che al primo raggio di luce si aprono ed al tramonto si chiudono, è chiamata anche “orologio del pastore“, ma fra i centocinquanta nomi che porta, ce n’è uno ostico, che ancor oggi si usa tra le genti di montagna:

Fiore del diavolo“, probabilmente perché verso la fine del Medioevo il Tarassaco era demonizzato per il suo nome Taraxacum, che secondo alcuni studiosi derivava dal greco tarachè (turbamento). Negli orti questa pianta è combattuta con gran foga, perché le sue radici lunghe e forti sono difficili da estirpare e facilmente attecchiscono di nuovo se qualche radice resta in profondità.

Nel libro Le fate dei fiori Cicely Mary Barker dedica alcuni versi al dente di leone.

Guardate le mie foglie dentellate,
soffiate le lancette del soffione
guardate, fra le siepi, le mie ondate,
guardate il prato, guardate il sentiero,
guardatemi in giardino, allegro e fiero!
Raccoglietemi pure: io cresco ancora,
senza chieder permesso né scusarmi,
che fate con le vostre zappe, allora?
Non riuscirete mai ad estirparmi!
Nessuno mi può fare impressione,
perché io sono il Dente di Leone!

 

Si racconta che la comparsa del tarassaco sia molto antica, quando gnomi, elfi e fate liberamente scorazzavano fra la natura ancora incontaminata. Ma con la comparsa dell’uomo cominciarono i problemi; gli elfi e gli gnomi si rifugiarono fra le rocce e i boschi, mentre le fatine dall’abito solare spesso venivano calpestate dagli umani disattenti; non sapendo come nascondersi e come vivere liberamente nei verdi prati, decisero di trasformarsi in fiore, ed è per questo motivo che se calpestiamo un tarassaco, questa pianticella di scatto torna eretta, probabilmente, perché dentro alla corolla c’è lo spirito delle fate, che orgogliose non si fanno abbattere. Questo fiore magico è definito sovrannaturale, non solo per questa simpatica leggenda, ma anche per la sua tenace sopravivenza.

I contadini tostavano le radici del Tarassaco come surrogato del caffè, allora piuttosto costoso, mentre oggi lo ritroviamo al supermercato nei barattoli come sana alternativa alla caffeina.
Nella tradizione erboristica popolare, i boccioli di questa pianta sono usati per curare l’astenia, mentre il decotto delle radici è ottimo per combattere la gotta e le crisi dolorose dei reumatismi; il succo di radice fresca, invece, è somministrato a cucchiaiate nei casi di congestione, stimola la secrezione di bile e facilita la digestione; il miele ambrato del Tarassaco è consigliato per chi soffre d’acne e per disturbi al fegato.
L’impacco fatto con le foglie è ottimo contro l’impurità del viso, pelle infiammata o infetta, gonfiori delle ghiandole, gonfiori addominali, mentre il succo degli steli può essere usato contro le verruche. Nelle cosiddette “cure depurative primaverili” si prepara come infuso misto alla borragine; occorre berne quattro tazze il giorno per circa sei settimane.
Nell’antica medicina cinese ed indiana il Tarassaco era impiegato per curare il cancro al seno.
Questa pianta è controindicata per soggetti con problemi d’epatite, gastrite, ulcera peptica.

Grazie ai costituenti che si trovano nelle foglie e nelle radici del Tarassaco, tra cui una notevole quantità di vitamine (la provitamina A, vitamine B, C), sali minerali, inulina ed altre sostanze importanti, come la taraxacina e la colina, che stimolano il metabolismo delle cellule epatiche, le proprietà di questa pianticella sono molteplici: antitossica, tonica, diuretica, lassativa, depurativa, antiscorbutica.
Riconosciuta come pianta officinale, il Tarassaco è usato ufficialmente in fitoterapia ed omeopatia, sotto forma di tintura madre, capsule e sciroppi. Sono così conosciute le sue qualità che oggi la cura con questa pianta viene chiamata Tarassacoterapia. Ebbene, quando avrete l’occasione di andare in gita, in campagna o in montagna, osservate attentamente i verdi prati incolti, forse vedrete una signora Bice intenta a raccogliere dei fiori gialli, magari per cucinare delle ottime frittelle per i propri figli (per la ricetta, cliccate qui).

 

Autore: Katia
Messo on line in data: Maggio 2003