MICHAIL A. BULGAKOV di Redazione

Michail Afanas’evic Bulgakov rappresenta uno dei maggiori scrittori e drammaturghi sovietici esistiti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Nacque a Kiev nel 1891 in una famiglia colta – il padre era docente di storia e la madre una donna erudita ed amante dell’arte – e benestante, caratterizzata da una religiosità piuttosto marcata.
Dopo la morte del padre, lo scrittore si iscrisse alla facoltà San Vladimir di Kiev, dove si laureò nel 1916 e iniziò presto la sua attività di medico chirurgo, prestando servizio in diversi ospedali della sua patria. Erede di una sensibilità culturale strettamente connessa a quella artistica, pur lavorando alacremente come medico, non dimenticò mai la sua passione per la letteratura e, subito dopo la rivoluzione, si stabilì a Mosca dove iniziò a mettere a frutto la sua abilità scrittoria.

Nel 1925 fondò la rivista “Rossija” e cominciò la pubblicazione di un romanzo, La guardia bianca, che dovette però lasciar sospesa. L’anno dopo, infatti, andava in scena una rappresentazione teatrale della stessa opera, intitolata I giorni dei Turbiny, che gli guadagnò la fama di avversario al regime, poiché narrava le vicende poco felici di alcuni ufficiali bianchi, che vedevano la loro famiglia sgretolarsi sotto il peso della guerra civile. Le alte cariche del governo sovietico riconobbero in quest’opera un chiaro ostracismo al regime e attaccarono Bulgakov con l’accusa di sodalizio con i loro acerrimi nemici.
Fu quindi con i suoi primi scritti che lo scrittore, in seguito tanto amato da Stalin, rivelò il suo profondo anticonformismo e palesò un’importante autonomia di pensiero, che lo rese tra gli scrittori più acuti dell’epoca. Acerbo ma esemplare testimone della sua epoca, così tormentata e contrita da vicissitudini poco piacevoli dello stalinismo cruento che dilagava nella Russia sovietica del tempo, scrisse Le uova fatali (1925), Diavoleide (1925), Cuore di cane (1925).

Ma il master piece di questo grande scrittore fu Il Maestro e Margherita, romanzo che egli lasciò incompiuto, morendo. Si tratta di un romanzo non troppo comune, frutto di una fervida scrittura che si fa facilmente riscrittura, di tracciati percorsi e ricalcati pedissequamente – quasi fobicamente – dallo stesso autore, il quale cercò in tutti i modi di assemblare in quelle magiche parole il suo concetto di vita e le sue credenze più profonde. Lo scenario che fa da sfondo al romanzo è la non facile Russia della prima metà del ‘900, quella in cui le violenze venivano occultate con poca bravura dagli esponenti del regime e dove la libertà d’espressione era un miraggio per quanti, non consenzienti nei confronti del governo, sognavano di fare della loro capacità scrittoria il pane con cui vivere.

Quando, finalmente, durante gli anni ’60, il romanzo fu pubblicato, le reazioni da parte del grande pubblico furono le più disparate. Ci fu chi arguì la notevole abilità narrativa dello scrittore sovietico e se ne appassionò oltre misura e chi vide in lui un personaggio dissacratore e dissacrante, ai limiti della blasfemia. Questo, ovviamente, rese plausibile l’interesse dei critici, a livello mondiale, sul fenomeno Bulgakov, che s’andava imponendo senza troppa difficoltà come “scrittore sovietico del secolo” e metteva addirittura in ombra l’autore del romanzo che si era guadagnato i primi posti nell’editoria del tempo: Il Dottor Zivago. L’ossessione ermeneutica di quanti cercavano di interpretare i valori veicolati dallo scrittore, opinabili ma pur sempre tali, fu palese e resta ancor oggi influente sugli studi di critica letteraria.

Ispirazione a questo particolarissimo romanzo a sfondo metafisico sembrano essere il Faust goethiano e la dicotomia, così già profondamente scandagliata dai predecessori dello scrittore, tra bene e male, con conseguente messa a fuoco sul dilemma della salvezza dell’umanità. Il tono dirompente, ma allo stesso tempo fantasioso ed innovativo dello scrittore, si scaglia con rabbia contro i soprusi e le censure dell’epoca dirette ai suoi libri e a quelli di suoi contemporanei che, in numero esiguo, si opponevano al regime, o per lo meno, con esso non simpatizzavano.
Il protagonista è Woland, rappresentazione umana di Satana, che scorazza per la Mosca degli anni ’20 seminando il panico ed il terrore tra la gente, frantumando antiche certezze e mettendo a nudo ipocrisie e prevaricazioni del tempo. Il tutto attraverso azioni dissacranti, condite da un sottile compiacimento stilistico dell’autore stesso.

L’eletto-protetto di Woland è invece il Maestro, vittima della censura a un suo romanzo su Pilato – di cui Bulgakov riporta i capitoli sulla condanna a morte di Gesù – e rinchiuso in un manicomio. Egli verrà salvato dalla sua amata Margherita che accetta, in cambio della liberazione del Maestro, di celebrare un sabba per una notte.
Il romanzo si sviluppa, così, su tre piani differenti, che coincidono con le dimensioni dei tre protagonisti. Imponente nella sua figura d’altri tempi e avvolto in panni mefistofelici, appare Woland, personaggio scardinatore. Nella Mosca dello stalinismo, così ricca di burocrati, di delatori e di intellettuali da strapazzo e dove il progressismo sembra celare la forma più aberrante di omologazione, egli giunge all’improvviso, mettendo in discussione l’intera idea che l’uomo si è fatto, nel corso dei secoli, della vita.

Woland-Satana si rivela un mago eccelso, abile nel volgere le forze della natura a suo vantaggio e grande amante della magia nera, grazie ai cui prodigi getta la città nel caos più totale. Egli si accanisce contro coloro che cercano di smitizzare il soprannaturale e assedia ogni angolo che gli cade sotto gli occhi. Aiutato dai suoi adepti crea una catena di episodi tragicomici, piuttosto improbabili: trasforma le alte cariche politiche in vampiri, porta alla follia i sostenitori del regime, fa scomparire i membri del ministero. In una rocambolesca fusione di magia, buffo satanismo, apparizioni, sparizioni, magie, fattucchiere e stregoni, Bulgakov riesce a rievocare un realismo paradossalmente crudissimo, quando graffia con violenza distruttiva il mondo dei burocrati, degli intellettuali e del manicomio dove viene rinchiuso il Maestro Ivan.
E la novità di questa scrittura così fervida, viva ma altrettanto toccante sta nel riuscire a gettare nuova luce – o nuova ombra? – su Satana, che non si manifesta più come il Re del Male, colui che impera esclusivamente per fini personali e a favore delle tenebre, bensì come angelo vendicatore che lotta per far luce su una nuova verità, l’unica incontrastabile“verità”.

Il suo protetto è, infatti, il povero Maestro, emarginato dagli editori e dai suoi colleghi perché considerato blasfemo o folle. Egli cerca di pubblicare un libro che racconti una nova storia su Pilato, ma che viene rifiutato da tutti, se non addirittura censurato. La forza che anima le speranze del Maestro è la bella Margherita, con cui vive un amore meraviglioso, rifugio alle delusioni più cocenti, eppure perfino questo sentimento non basta per colmare la sua rabbia e il suo dolore: la tirannia contro la libertà di pensiero, l’ostracismo, la fragilità dei suoi intenti lo fanno capitolare in una forma di pseudo-depressione e finisce rinchiuso in un manicomio.
Lo salverà Woland con l’aiuto di Margherita che, dopo aver trovato una crema miracolosa, grazie alla quale riesce a diventare ancora più bella e sensuale, vola su una scopa attraversando tutta la città e si reca al sabba, dove seguiranno altri incredibili prodigi.
Sul piano alternativo scorrono le vicende di Pilato, narrate con voce antica e toni appassionati, attraverso metafore ricche di senso e un’ironia vivissima che pregna, in fondo, ogni meandro dell’opera.

Il romanzo è stato definito da molti un “romanzo magico” e, forse, definizione più adatta non poteva esistere. Tanto per cominciare, la struttura dell’opera stessa tradisce una maestria fantasiosa e capace di portenti; assomiglia un po’ alla simpatica matrioska russa perché è “romanzo nel romanzo” – espediente letterario già sperimentato col “teatro nel teatro” –. Ma il romanzo partorito dal romanzo non è narrazione della scrittura stessa; è, piuttosto, una storia parallela e mai convergente con l’altra che l’ingloba. Essa ha le sembianze di un reportage storico, con la descrizione di episodi realmente accaduti in tempi ormai andati, ma di cui la storia ha dato, in seguito, un’interpretazione falsata e strumentalizzata dagli organi di potere. Perfino l’autore del romanzo nel romanzo si rifiuta di definirsi “scrittore” e demanda questo ruolo ai letterati, suoi colleghi, che lo scherniscono e lo censurano. Egli si pone come strumento di veicolo di nuove verità, verità autentiche, per di più comprovate da esseri supremi ed extraterreni che hanno assistito in prima persona agli eventi raccontati.

Il romanzo raccontato dal romanzo altro non è che il Vangelo, nel suo punto di massima espressione umana: quello della condanna a morte di Gesù Cristo, rievocato col nome di Yeshua Hanozri. Al di là dei due romanzi principali ce n’è un terzo, forse meno visibile, che è il riferimento continuo al Vangelo canonico, come se esso fosse una didascalia di confronto a piè di pagina.L’elemento magico, così insito in quest’opera singolarissima, è la scrittura stessa dell’autore padre, ovvero Bulgakov. Egli, naturalmente, è colui che ha scritto entrambi i testi, ma la sua genialità sta proprio nell’averlo fatto sdoppiandosi attraverso abili “giochi di prestigio letterari”, dando luogo a due scrittori, a due Bulgakov, così difficilmente riconoscibili l’uno nell’altro.
Se quello del romanzo principale utilizza una scrittura elegante, concisa e solenne, quello che incarna il Maestro, invece, fa sfoggio di una scrittura vivace, briosa e ricca di colpi di scena. Per non parlare, poi, della voce narrante gli episodi del Vangelo canonico, che si fa impersonale ed aulica, quasi come se fosse frutto di uno stato di una trance.

Ecco che la scrittura si fa voce di tre dimensioni e di tre mondi assolutamente speculari l’uno dell’altro, come se si trattasse di un gioco di specchi che trova luogo tra le coordinate sottili del tempo.
La prima scrittura è voce narrante della Mosca degli anni ’20 e ’40, la Mosca dissipata di ostracismo e false adulazioni, di percorsi facili per chi il regime lo amava e di percorsi a soffocare per chi il sistema lo aborriva. Direttamente da due millenni prima lo specchio del primo mondo rimanda l’immagine del secondo: quello della Gerusalemme immediatamente precedente all’epoca cristiana, così tanto romana, la Gerusalemme dei linciaggi e delle condanne a morte di ladroni e malfattori, ma anche di colui che era venuto per portare nuova Luce all’umanità. Il terzo mondo, recalcitrante all’ingiustizia e alla censura, quello etereo ed immenso del trascendente, è lo spazio da cui viene inviato sulla terra una guida, Woland-Satana, affinché il destino del Maestro si compia senza inutili ostacoli.

Incredibilmente abile è stato, quindi, Bulgakov, nel creare un mosaico fatto di parole, immagini e suggestioni coloratissime e diverse l’una dall’altra, che accompagnano come una musica costante uno sfalsamento di piani narrativi e spazio-temporali assolutamente distanti fra loro.
Tantissime sono state e ancora saranno le chiavi di lettura di questo dolcissimo e al tempo stesso terribilissimo romanzo, la cui forza risiede nel riuscire a resuscitare sentimenti sepolti in ognuno di noi e domande sul senso della vita e sul senso della morte. Ma pur sempre viva resterà la sua capacità di emozionare, al di là del tempo e dello spazio. Il finale stesso lascia il lettore “a bocca umida”, con tanti vuoti da colmare con interpretazioni che siano però personalissime, con la possibilità di indossare il romanzo come si vuole, in base alla propria cultura e alle proprie individualissime credenze.
Quel che è certo è che Il Maestro e Margherita non suonerà forse mai anacronistico, specialmente in un’epoca, come questa, in cui gli interrogativi mistici ed esistenziali si moltiplicano cercando risposte che calzino adeguatamente il proprio pensiero. E così esso potrà piacere o non piacere affatto, si lascerà amare o si lascerà odiare, ma una cosa nel leggere questo romanzo sicuramente non accadrà: non lascerà indifferenti!

 

Autore: Redazione
Messo on line in data: Gennaio 2005