NEW AGE E NATURA di Lilith

Un ritorno alle origini?

I poeti sono ancora inclini a credere, più delle altre persone, che nel grembo della vita ci siano, semi – assopite, determinate potenze e bellezze eterne, il cui presagio balugina talvolta nel nostro enigmatico presente come un lampo di calore nella notte” (Hermann Hesse).

Nell’era del virtuale, in cui il nostro vivere frenetico ci fa spesso dimenticare il naturale ritmo della vita e della creazione, scandito da fasi cicliche (l’alternarsi del giorno e della notti, la successione delle stagioni), si sta diffondendo un movimento di pensiero – generalmente definito New Age – che mira al ritorno alle origini. Questo grande obiettivo viene perseguito essenzialmente attraverso la ricerca musicale di suoni e armonie tendenti al raggiungimento di stati meditativi e di apertura verso le forze cosmiche, ma anche attraverso una riflessione filosofica ed esistenziale che spazia dalla ricerca nelle tradizioni religiose orientali, alla sperimentazione di metodi olistici di guarigione. Il filo conduttore è, comunque, il rapporto tra uomo e Natura. Sul versante poetico, sebbene non sia individuabile un movimento apertamente riconducibile alla New Age, è possibile cogliere una linea di pensiero – alimentata da alcuni poeti romantici del secolo scorso – facente capo ad autori che hanno, con diverse modalità, cantato la Natura, nella duplice veste di ispiratrice e specchio dell’anima umana.

Il cantore per eccellenza della Natura è il romantico inglese Wordsworth, che contrappone la celebrazione delle “meraviglie” cui la Natura “tiene legata l’anima umana” al noto pessimismo leopardiano icasticamente sintetizzato nella nota definizione “Natura matrigna”, latrice di pene ed avara di doni, che non rende all’uomo quel che ha originariamente promesso, infondendogli illusioni di felicità, sempre disattese dal dinamismo cieco e casuale dell’esistenza umana. Nelle Ballate liriche, l’autore si sofferma sulle sensazioni- di meraviglia, sino a raggiungere l’intensità, quasi istintuale, di un “piacere febbricoso” – provocate dagli scenari boschivi nel poeta, novello “viandante” alla ricerca della bellezza e di una sapienza che non può essere racchiusa nei libri (“lotta sorda senza fine”).
La Natura è fonte di saggezza e di insegnamenti “sul bene e sul male” ed il canto dell’ “allegro tordo” o un “fremito a primavera” arricchiscono il cuore, mentre l’intelletto sfigura la bellezza delle cose e seziona la realtà, alterandone l’intima essenza. Il culmine dell’esaltazione poetica della Natura viene raggiunto nei Versi scritti di prima primavera, in cui il “brivido di piacere” comunicato al poeta dalle creature del bosco viene offuscato dalla considerazione del male che l’uomo ha perpetrato su se stesso. Invero, è sorprendente che nell’epoca della rivoluzione industriale e tecnologica, in cui dilagava un atteggiamento ingenuo di fiducia nelle capacità umana di dominio della natura, si levassero alcuni isolati moniti sui rischi insiti in siffatto processo, di cui l’uomo di questo secolo ha dovuto suo malgrado prendere coscienza, a seguito della sistematica ed agghiacciante distruzione delle risorse naturali, perpetrata in nome di un sedicente progresso tecnologico (o tecnocratico?).

Il sentimento panico della Natura, percepita dal Wordsworth come organismo vivente fonte di estasi, – così vicino, seppure caratterizzato da una certa fanciullesca ingenuità, alla sensibilità New Age – lascia posto ad un complesso processo di interiorizzazione del mondo esteriore, efficacemente sintetizzato nella poetica del simbolista Baudelaire. La Natura, dipinta come un “tempio in cui pilastri vivi a volte emettono confuse parole”, diviene lo specchio dell’anima umana. Il mondo fisico non è che il riflesso di una realtà metafisica, che si traduce in “foreste di simboli” nelle quali l’uomo faticosamente si muove. Pertanto, i profumi, i colori ed i suoni non hanno una valenza autonoma, ma “si rispondono” in un’armonia estatica creata dallo spirito, espandendosi oltre i confini delle percezioni meramente sensoriali. Pertanto, un profumo non corrisponde esclusivamente ad una percezione olfattiva, ma possiede anche una valenza tattile, cromatica e sonora (“…esistono profumi freschi come carni di bambino, dolci come oboi, verdi come praterie…”). La Natura e le forme da cui è popolata (stagni, valli, monti, boschi, nuvole, mari, “sfere stellate”) sono espressione di un processo di elevazione spirituale, attraverso cui l’anima si allontana dalla pesantezza della materia (“morbosi miasmi”), fino a raggiungere l’immensità luminosa e ad abbeverarsi al “puro liquido divino”, al “fuoco chiaro che colma spazi limpidi”. Le entità che popolano il mondo fisico (il mare, l’albatro), non hanno dunque vita autonoma, ma sono la rappresentazione simbolica di una modalità interiore, la ricchezza insondabile dell’anima del poeta, incomprensibile al volgo.

Una valenza fortemente simbolica è pure presente nella Natura del Montale, la quale diviene specchio di situazioni psicologiche ed emotive e riflette, attraverso la descrizione di un paesaggio “scabro ed essenziale” e tuttavia caratterizzato da elementi visionari (il “meriggiare pallido e assorto”, le “scaglie di mare”, il “sole che abbaglia”), l’interiorità e l’approccio esistenziale del poeta. E’ in questa Natura quasi surreale, in cui ogni cosa pare disfarsi in un eccesso di luce e di calore, che si incontra “il male di vivere” – segno della “divina Indifferenza” – rappresentato da un possente e diffuso anelito di vita, inesorabilmente “strozzato” dalla morte incombente (“l’incartocciarsi della foglia riarsa”, “il cavallo stramazzato”). Il paesaggio è, dunque, il luogo in cui “scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità”. Tema dominante nella poetica del Montale è l’immobilità come illusione e delirio – “i silenzi in cui le cose si abbandonano e sembrano vicine a scoprire il loro ultimo segreto”, o nel quale l’uomo, ridotto ad un’ombra, si allontana come una “disturbata divinità” -, cui si contrappongono la speranza di fuggire attraverso “una maglia rotta nella rete” dell’esistenza ed il sentimento di gioia suscitato dalla solarità dei “gialli di limoni”,che timidamente si affacciano attraverso un portone malchiuso.

In questo complesso iter poetico appena tracciato, che si snoda attraverso tre autori particolarmente sensibili alla tematica del rapporto uomo – Natura, è ravvisabile un denominatore comune: la Natura, con le creature e le entità che la popolano, è una rappresentazione oggettivizzata o simbolica della sfera soggettiva del poeta, ovvero lo specchio degli stati emozionali che si muovono nell’animo umano. Si passa, dunque, dall’approccio estatico e quasi carnale di Wordsworth, alle raffinate costruzioni simboliche ed intellettuali di Baudelaire, al pessimismo esistenziale di Montale, a tratti rotto da qualche momento di speranza.

Questi atteggiamenti, per quanto variegati e differenziati tra loro, sono comunque lontani dalla ricerca di quello stato di “non mente” che ha caratterizzato, in Estremo Oriente, l’opera dei poeti zen. La poetica orientale scaturisce, infatti, dalla sensazione pura, priva di qualunque giudizio o sovrastruttura mentale, ovvero da una percezione diretta della realtà fenomenica. In quest’ottica, la Natura non è buona né malvagia, non è fonte di illusione né di speranza, è semplicemente quello che è, il luogo fisico e spirituale in cui l’uomo dimora. Questo approccio è ben rappresentato nei seguenti versi del poeta giapponese Su Tun – p’o:

Pioggia e nebbia sulla montagna
ed onde che si gonfiano sul fiume.
Se non ci sei stato ancora,
è certo che lo desidererai.
Ma dopo che ci sarai stato, di ritorno a casa, come tutto ti sembrerà naturale!
Pioggia e nebbia sulla montagna
ed onde che si gonfiano sul fiume!

La Natura è, per il poeta giapponese, la casa dell’uomo, nella quale tutto è come deve essere e il poeta ha una percezione diretta, scevra di giudizi, della pioggia e della nebbia sulla montagna e delle onde che si gonfiano sul fiume. Orbene, sul versante poetico non è stato ancora colmato lo iato tra Oriente ed Occidente, come è invece avvenuto, grazie alla ricerca posta in essere da pensatori e musicisti New Age, in campo filosofico e musicale. E’ auspicabile che, anche in questo campo, gli artisti e gli intellettuali estendano la loro ricerca oltre i confini tradizionali, individuando nuove forme di espressione che consentano di esplorare in modo più profondo e totale la tematica del rapporto tra uomo e Natura, vista come fonte di vita e di energia, che arricchisce l’uomo in un rapporto di reciproco scambio e di simbiosi.

 

Autore: Lilith
Messo on line in data: Settembre 2006