PRAGA: LA CITTA’ MAGICA DI RODOLFO II di Devon Scott

Tra maghi e alchimisti


Durante il regno dell’imperatore Rodolfo II, Praga veniva considerata la città più magica d’Europa.Diceva una leggenda che la capitale era stata fondata nel 752 d. C. dalla regina Libussa, strega e veggente, che faceva predizioni stando su una soglia, cioè “prah“, parola che diede origine al nome Praha, per noi Praga.

Nell’immagine a lato,“Libussa profetizza la gloria di Praga” di Joseph Mathauser (1846-1917)

Il dottor Faust vi aveva abitato, nel quartiere di Na Skalcach, vicino al mercato del bestiame, e vi era addirittura morto. Era arrivato per seguire lezioni di alchimia, poi aveva lasciato la città per andare a Wurzburg come auditore ai corsi che teneva l’abate Tritemio. Questi, in una lettera a un amico, menzionò Faust, definendolo geniale, ma pazzo e con un concetto blasfemo dei miracoli di Cristo. Faust lasciò Wurzburg per insegnare filosofia a Wittemberg, dove conobbe Lutero, che ascoltò i suoi discorsi sulla magia e non li digerì: egli disse infatti ad alcuni amici che in Faust c’era “un diavolo altero, che vuole conquistare la gloria in questo mondo, malgrado Dio e la Sua parola” e affermò che se Faust voleva fare il mago facesse pure, ma un giorno avrebbe pagato molto cara la sua scelta. Queste parole si rivelarono profetiche.

Il dottor Faust, tornato a Praga a insegnare, nel 1525, ormai avviato verso la vecchiaia, si lasciò tentare dall’astuto diavolo Mefistofele, che gli offrì, per un periodo di ventiquattro anni, ricchezza, bellezza, giovinezza e conoscenza di tutte le cose magiche, che gli avrebbero permesso di diventare simile a Dio, in cambio della sua anima. Faust accettò.
Diventato molto bello e giovane, egli visse spensieratamente, girando per il mondo in compagnia di un cane nero, che era in realtà un demonio, ed avendo rocambolesche avventure: penetrato nell’harem del Gran Turco, gli fece credere di essere l’incarnazione di Maometto, passando così sei piacevoli notti con le concubine del sultano. Un’altra volta, recatosi in visita al Pontefice, gli rubò tutto il vasellame d’argento; poi si procurò, con le sue conoscenze magiche, alcune belle diavolesse per fare scherzi maligni ai suoi avversari e fece anche parlare per magia la testa di un vitello arrostito portato in tavola, terrorizzando i commensali. La baldoria andò avanti per tutti i ventiquattro anni concessi dal patto, fino a quando il diavolo non giunse a prendersi la sua anima.
In quella terribile ultima notte si poterono udire urla strazianti ed orribili rumori provenire dalla casa , ma nessuno osò avvicinarsi. La mattina dopo il valletto del professore si fece coraggio ed entrò, trovando tutta la casa a soqquadro, ogni mobile e suppellettile in pezzi, sangue ovunque e un enorme buco nel soffitto. Il corpo di Faust non fu più ritrovato.

Nell’immagine a lato, veduta di Praga

Nessuno riuscì mai a tappare il buco; ben richiuso, al calar del sole le travi e le tegole si sbriciolavano e la mattina dopo era tutto uguale a prima. I vicini fecero numerosi tentativi, finché il fantasma stesso di Faust non comparve ad ammonire tutti di lasciare le cose come stavano. La casa venne abbandonata e per secoli, fino al suo crollo, recò i segni della lotta col demonio, che si era portato via l’anima di Faust sfondando il soffitto.

Tre anni dopo la morte di Faust nacque Rodolfo II.
A undici anni venne mandato a Madrid alla corte di Filippo II, fratello di sua madre; ci rimase sette anni, tra il formalismo bigotto e i roghi dell’Inquisizione, per “imparare a fare il re“.
L’esperienza lo segnò profondamente, accentuando la sua insicurezza e misantropia, ma inducendolo anche alla tolleranza religiosa come reazione agli spettacoli visti. Divenuto re di Boemia nel 1576, alla morte del padre, egli trascurò gli affari di stato per occuparsi della sua sterminata e costosissima collezione di oggetti curiosi, di quadri, di cavalli e di opere di magia, di cui fu un ardente sostenitore. Alla sua corte furono ospitati noti sapienti, artisti, alchimisti, cabalisti e maghi dell’epoca, tra cui Keplero, l’astrologo Tycho Brahe ed anche il pittore milanese Giuseppe Arcimboldi, che per lui dipinse stupendi quadri allegorici e metafisici.
Si fermò nel suo palazzo anche Michael Sendivogius, un alchimista polacco che, avendo liberato dalla prigionia un altro alchimista, lo scozzese Alexander Seton, aveva avuto da lui in dono la Pietra Filosofale. Rodolfo lo colmò di onori, ma Sendivogius non ebbe un destino felice. Recatosi a Stoccarda, un collega invidioso gli rubò la Pietra; non riuscendo più a fare l’oro alchemico senza la sua Pietra, il poveretto morì in miseria.
Sotto il castello della città vecchia c’era il quartiere di Malà Strana, con il “vicolo d’oro” che era la sede degli alchimisti.

Nella foto a lato,
Zlata Ulicka, il “Vicolo d’oro” in cui abitavano gli alchimisti

Nel cimitero ebraico si trova, ancora oggi, la tomba del grande cabalista, il rabbino Jehuda ben Bezalel, detto Rabbi Low: il leggendario costruttore del Golem.
Il rabbino Low aveva chiesto a Jehova da mandargli in sogno un consiglio su come proteggere il popolo d’Israele dai suoi nemici.
Il signore gli mandò una formula per plasmare il Golem. Il rabbino si recò sulle rive della Moldava, dove tracciò sulla sabbia una figura maschile alta tre cubiti. Recitate le formule, la figura prese vita.
Egli lo condusse a casa e lo mise di guardia in cortile, proibendo a tutti di dargli ordini. Tutti ubbidirono, ma sua moglie, curiosa e dalla lingua lunga, un giorno gli comandò di portarle acqua. Il Golem eseguì. Mentre nessuno lo controllava, egli portò secchi su secchi di acqua, fino a che la stanza a pian terreno non fu allagata. E avrebbe continuato, se il rabbino non fosse intervenuto. Non vi ricorda la scena dell’apprendista stregone nel film “Fantasia“?
Low “spegneva” il Golem tutti i venerdì sera, perché il sabato era il giorno dedicato al Signore, in cui non si lavorava. Ma una sera dimenticò di togliere dalla sua bocca il foglietto su cui era scritto il nome di Dio, la parola magica che gli permetteva di vivere, e il Golem gli sfasciò la casa ed uccise tutti gli animali; richiamato d’urgenza, il rabbino gli strappò via il foglietto e non lo rianimò mai più. Low chiese a Rodolfo, che lo stimava molto, di emanare leggi che proteggessero gli Ebrei. Egli lo fece e non ci fu più bisogno di un altro protettore animato magicamente. Una leggenda dice che il Golem riposa ancora, nel sottotetto della sinagoga di Praga, in attesa di essere risvegliato da una formula magica, per proteggere il popolo d’Israele.

Nel 1584 giunse a Praga John Dee, accompagnato da Edward Kelley e preceduto da una fama straordinaria di mago, alchimista e negromante. Dee, nato vicino a Londra nel 1527, era un matematico, ma per i suoi studi sull’alchimia e sull’astrologia si fece fama di stregone.
Aveva una vera passione per la chiaroveggenza; non avendo alcuna dote di medium, egli cercava medium a pagamento; fu così che conobbe uno strano figuro, Edward Kelley, il cui vero nome pare fosse Talbot. Questi aveva le orecchie mozzate, pena che era abituale per chi batteva monete false, e si dilettava di negromanzia; unite le loro forze, i due si dedicarono anima e corpo ai colloqui con il mondo dei trapassati e degli spiriti, con i quali essi comunicavano mediante la lingua “Enochiana“, alfabeto angelico costituito non da lettere senza senso, ma da un vero e proprio linguaggio articolato, dotato di regole grammaticali e sintattiche. Non si sa in che modo Dee e Kelley vennero a conoscenza di questa lingua, però le comunicazioni divennero assai frequenti; lo scopo di Dee era di apprendere i segreti della natura e di Dio, lo scopo di Kelley era forse il potere o la ricchezza. I due stettero insieme per anni, litigando spesso furiosamente.
Nel 1583 andarono in Polonia, l’anno seguente a Praga per interessare Rodolfo II alle loro ricerche; alcuni dicono che Dee era in missione diplomatica per conto della regina Elisabetta, incaricato di tenere d’occhio Rodolfo per timore che si alleasse con lo zio, il cattolicissimo re di Spagna Filippo II.
Accolti con tutti gli onori, furono presto cacciati per l’intervento del Nunzio Apostolico, che temeva l’influenza diabolica dei due “profanatori di tombe” sul re. Rientrati in Inghilterra, continuarono la loro convivenza per qualche anno, finché Kelley non decise di tornare  a Praga. Qui egli operò una trasmutazione alchemica per l’imperatore e fu insignito del titolo di Cavaliere da Rodolfo, che ammirava le sue capacità di alchimista.  Caduto in disgrazia, fu rinchiuso in una prigione dalla quale tentò di fuggire, rompendosi una gamba; morì in carcere nel 1597, suicida. Dee, rimasto solo, visse in sempre maggiore povertà, facendo oroscopi per pochi soldi per campare, e morì in totale miseria nel 1608.


Nell’immagine a lato,
“Estate”, di Giuseppe Arcimboldi, detto l’Arcimboldo (1527–1593), uno dei pittori preferiti di Rodolfo II.
La tavola raffigurata è la versione presente al Kunsthistorisches Museum di Vienna

La collezione di Rodolfo comprendeva libri rari di magia, oggetti in oro e argento, tra cui una magnifica collezione di orologi e cornici d’oro lavorate con pietre preziose, quadri e oggetti automatici, tra cui un automa che giocava a scacchi. Ma quello che rendeva la collezione unica era la serie di stranezze e di oggetti insoliti, provenienti da ogni parte della terra: animali esotici, tra cui un leone, armi finemente cesellate, mappamondi, gusci di tartaruga, sfere di cristallo per veggenza, fossili, monete, calchi di gesso, pietre dalle strane forme, sostanze animali e minerali che si diceva proteggessero dal veleno. C’erano perfino due mandragore, mitiche piante magiche, che egli aveva battezzato con un nome maschile e uno femminile; vestite con camicine di seta, venivano messe a letto in scrigni come bamboline; a ogni luna nuova le piante venivano cosparse di vino per mantenere vivi i loro poteri. Morto Rodolfo, la sua collezione venne depredata e saccheggiata, specialmente per quel che riguardava gli oggetti preziosi; ciò che rimase fu venduto all’asta.

Autore: Devon Scott
Messo on line in data: Febbraio 2004