RACCONTO: IL GIARDINO DELLA STREGA di Myrko Cassano

L’atmosfera di quel giardino chiuso da un inferriata primi Novecento era di totale abbandono.
La luce dei lampioni curvi su se stessi segnalava agli occhi della vita che passava sfiorando quel luogo, che il tempo si era fermato lasciando spazio alla vegetazione che s’inerpicava sulla tettoia di ghisa. Le panchine avevano il legno ingrossato dalle intemperie, frammenti di vetro ricoprivano lo spazio lasciato libero dalle sterpaglie.
In città era noto con l’inquietante soprannome del “giardino della strega”. I ragazzi di notte scavalcavano l’inferriata e provavano a se stessi di essere coraggiosi in quel mondo di ombre. Poi, dopo essersi suggestionati per bene, alimentavano le paure degli altri dicendo di aver visto la strega. Le descrizioni facevano parte della leggenda metropolitana ma anche se in totale abbandono quel vecchio giardino aveva un fascino tutto suo e fu così che il tale assessore sotto campagna elettorale bonificò quel pezzo di terra resosi tanto famoso.
Gli operai del comune si erano messi al lavoro, con riluttanza, in quello strano luogo così simile ma così intrinsecamente diverso da tanti altri Avevano sostituito le sbrindellate panchine con altre nuove di zecca, o meglio di plastica riciclata, i giardinieri avevano zappato le aiuole inaridite e le avevano fertilizzate. Poi avevano continuato la loro opera spazzando via i vetri e le cartacce e, a lavoro finito, si erano messi d’accordo per andare a farsi una birra e un panino da qualche parte, lasciando il cancello aperto.
Qualche tempo dopo era stato nominato un custode e l’assessore, rieletto, aveva inaugurato la guardiola tagliando un nastro colorato in una fredda mattina di febbraio. In primavera il giardino della strega, era pieno di gente e di piante in fiore. I bambini giocavano allegramente, adulti in tuta correvano lungo i percorsi delimitati da mattoncini, le donne chiacchieravano sedute sulle panchine.

Anna passeggiava con lo zaino messo a sghimbescio e guardava i bambini giocare. La giornata era tersa e pulita e non sembrava proprio di essere in città. Fu allora che notò la donna.
Era seduta compostamente su una panchina, il volto rivolto al sole tiepido, gli occhi semichiusi ed un’espressione da gatta soddisfatta. Era vestita in modo particolare. Anna frequentava il giardino di tanto in tanto, ma quella donna non l’aveva mai vista. Impulsivamente sorrise a quella figuretta sola. Come se avesse sentito il suo sguardo, la donna aprì gli occhi. Erano di un verde meraviglioso.
– Buongiorno signora – disse Anna un po’ imbarazzata.
– Salve, cara ragazza – Il tono di voce era lieve e musicale al contempo.
– Le dispiace se mi siedo qui con lei? – chiese Anna che nel frattempo si era avvicinata alla donna.
– Assolutamente no! Prego – disse la donna spostandosi per farle posto.
– Non l’ ho mai vista da queste parti…?
– Tu abiti qui? – chiese la donna alla ragazzina.
– Sì, abito con mia madre, e con mio padre e sua moglie durante le vacanze estive.
– Sempre in questa zona?
– Sì – rispose Anna. Era cordiale e affabile.
– Anch’io abito qui.
– Non l’avevo mai incontrata – Gli occhi di Anna si persero sul vestito della signora, sul filo di perle argentee che portava al collo, nei suoi occhi verdi. Sicuramente era una signora di buona famiglia. Aveva una piccola borsetta di cuoio tra le mani ma non la stringeva, come ad esempio faceva sua madre. La teneva mollemente tra le dita sottili, con le unghie ben limate. Sulle ginocchia era poggiato un cappello tondo di feltro color malva, in accordo con il vestito e con le scarpe. Un’eleganza e un’accuratezza nei particolari che strideva con la sua giacca a vento.
– Quanti anni hai? – chiese Ia donna.
– Quindici, appena compiuti – Rifletté un attimo sulla sua esistenza e s’immalinconì.
– E soffri molto? – La domanda inaspettata la fece sobbalzare… e poi fu semplice e liberatorio per Anna dire di sì.
Le lacrime cominciarono a rigarle il volto, e poi le parlò, le raccontò delle sue difficoltà, del rapporto con suo padre, della stanchezza di sua madre, strofinandosi gli occhi e il naso, mentre cercava il fazzoletto che chiaramente non aveva.

I bambini continuarono imperterriti a giocare, lanciando in alto la palla che rimbalzava sulle aiuole, sotto lo sguardo severo del custode e quello amorevole delle madri.
Le due figure sulla panchina parlarono molto a lungo, poi Anna si rese conto che era tardi e che doveva rientrare. La salutò cordialmente sforzandosi di non abbracciarla. Era stato veramente bello parlare con lei. Allontanandosi a piedi, si accorse di stringere tra mani un fazzolettino ricamato.
Lo avrebbe restituito alla donna il giorno dopo, sperando ardentemente di ritrovarla.
Camminò di buon passo nel suo quartiere, salutò i negozianti che abbassavano le saracinesche dei negozi. Passò davanti al negozio di sua madre, era già chiuso.Le avrebbe fatto piacere parlarle della sua nuova amica.
Sua madre l’aspettava a casa. La tv era accesa e aveva apparecchiato la tavola.
– Ciao tesoro, hai fatto i compiti con Luigi?
– No, non sono riuscita a trovarlo, comunque la versione l’avevo già fatta.
– E allora cosa hai fatto?
– Sono andata al giardino della strega, era una bellissima giornata… e sai mamma, ho conosciuto una signora tanto simpatica… si chiama Serenella.
– Anna, vuoi il parmigiano o il pecorino? – esclamò la madre impegnata a scolare gli spaghetti.
– Quello che vuoi, anche tutti e due se ti va!
La madre portò in tavola gli spaghetti, insieme ad una bottiglia d’acqua. Anna la guardò. Sembrava veramente stanchissima. I capelli erano spettinati e avrebbero voluto le mani di un parrucchiere con tutte le loro forze. Ma i soldi sembrava non bastassero mai.
Sul volto tirato Anna leggeva le pieghe amare di un sorriso forzato, del sopracciglio destro sollevato.
– Ti ha cercato zio Aldo dopo pranzo, ha telefonato… Voleva sapere se era andato tutto bene! A cosa si riferiva? – chiese Anna, mentre sua madre rigirava la forchetta nel piatto.
– Non saprei… Anna – rispose in fretta come a voler cambiare discorso.
– Mi sembrava agitato, qualcosa a che fare con papà?
– Assolutamente, no!
– Problemi con l’erboristeria? O ancora il tuo mal di testa?
– No, ma cosa ti viene in mente? – Si versò l’acqua, bevve e riprese fiato.
– Allora, hai studiato con Luigi? – le chiese mentre i suoi spaghetti si rattrappivano nel piatto.
Anna voltò il viso verso la tv e ascoltò il suo cuore batterle forte. Sua madre aveva la testa da tutta un’altra parte. Cosa stava succedendo?

La signora dagli occhi verdi sembrava l’aspettasse e l’accolse con un sorriso. La ragazzina le aveva riportato il fazzolettino e questo la commosse. Il rispetto per le cose degli altri era anacronistico in una quindicenne.
La guardò in viso e negli occhi, scuri come quelli di un daino, vide il passare delle ombre. L’angolo della bocca senza rossetto, tremava impercettibilmente. Chiacchierarono a lungo, quel giorno. Nel giardino i semi iniziavano a risvegliarsi, le piantine avevano già messo le gemme. Parlarono a lungo della magica primavera che tutto risvegliava e nonostante la differenza di età che le divideva sembravano avere la stessa visione delle cose. Era confortante.
– Speriamo non ci sia una gelata – disse Anna prima di andare via.
– Non essere pessimista – rise la signora.
Il custode del giardino spense la luce della guardiola e si domandò se fossero usciti tutti.
Quel giardino dava un senso di pace, nonostante il traffico caotico gli girasse intorno, entrandoci ci si sentiva… altrove. Sbirciò tra l’inferriata, non gli sembrava di vedere nessuno.
Ma non avrebbe mai fatto il giro al buio, le ombre lì sembravano avere una vita loro e lui ne era consapevole… Il pensiero che qualcuno rimanesse chiuso dentro il giardino lo turbava sempre, era l’incubo che lo accompagnava tutte le volte che chiudeva il lucchetto. Diede ancora uno sguardo. Le panchine riflettevano la luce della luna e gli alberi sembravano d’argento. Quel giardino aveva un fascino da togliere il fiato. Inforcò la bicicletta e si diresse verso casa con una strana pace nel cuore.
Anna rientrando a casa, incontrò lo zio visibilmente preoccupato.
– Ciao zio, come mai da queste parti? – Si sbracciò dal marciapiede opposto per attirare la sua attenzione.
Lui attraversò in fretta, curvo nel suo impermeabile.
– Anna, dobbiamo parlare – Le accarezzò i capelli e quel gesto insolito la spaventò da morire.
La prese sottobraccio e fecero il giro dell’isolato.
– C’é un bar da queste parti?
– Si, è all’angolo – rispose Anna.
Aldo capì che doveva assolutamente dirglielo. Sua sorella non l’avrebbe mai turbata, se avesse potuto rimandare.
Il barista la salutò, guardando un po’ in tralice il quarantenne curvo che l’accompagnava.
Anna era andata a scuola con sua figlia e dopo la separazione dei genitori della ragazzina istintivamente le aveva fatto un po’ da padre, seguendola con occhio protettivo.
– Anna, come mai ancora in giro?
– Salve, signor Giacomo io e mio zio facciamo due chiacchiere… – Il barista ravvisò la somiglianza tra quell’uomo e la signora Giulia e annuì dicendo: “Bene, cosa vi porto?”

Il bar era semivuoto, se si escludevano i soliti quattro che giocavano a tressette nella saletta attigua, dalla quale proveniva il suono delle loro voci e un lieve sentore di fumo.
– Anna siediti…
Suo zio si tirò l’impermeabile sul collo, alzandone il bavero come a volersi difendere da un freddo insistente. Eppure la serata era dolce.
Anna lo guardò. E percepì come un cucciolo spaventato che qualcosa nella sua vita sarebbe nuovamente cambiato.
– Anna… tua madre… – La voce gli si ruppe in un pianto inopportuno, poi a fatica continuò – è stata operata oggi… ti ho cercato nel pomeriggio… è venuto tuo padre e poi è ripartito…
Anna lo guardava attonita, guardava le labbra carnose di suo zio, tanto simili a quelle di sua madre, muoversi, senza capire il senso delle parole, il senso di quello che stava succedendo.
– Anna… abbiamo fatto di tutto… tua madre può morire da un momento all’altro… un tumore al cervello… nessuna cura. – Ecco l’aveva detto, sebbene in modo sconnesso. Aldo sospirò profondamente.
Si sentiva la bocca secca e la lingua incollata al palato. Guardò sua nipote. Sembrava così piccola, tanto fragile.
Il cuore di Anna batteva forte e lei lo ascoltò. Le sembrava che dovesse scoppiare da un momento all’altro, poi un tremito iniziò a scuoterla tutta.
– Se avesse pianto sarebbe stato meglio, tanto meglio – pensò Aldo. Rimase a dormire a casa della sorella, non aveva cuore di lasciarla sola. Il freddo aveva invaso entrambi, in quella notte di primavera.
Serenella aveva aspettato sulla panchina esposta al tiepido sole primaverile, l’arrivo della sua giovane amica, poi seppe dalle chiacchiere che giravano nel giardino, che alla mamma di Anna era successo qualcosa di terribile.
– La proprietaria dell’erboristeria – aveva gridato una donna all’altra. E quella tragedia era diventata un goffo pietismo.
– Giulia poveretta, ah signora mia, il marito aveva l’amante giovane. Bisogna saperseli tenere i mariti. Lo zio ha passato anni in una comunità per tossici. – Quelle chiacchiere le chiudevano il cuore in una morsa. Aspettò pazientemente che facesse buio.
Il custode chiuse il lucchetto del cancello e lo scatto metallico lo turbò come sempre. L’eco di quel rumore lo accompagnava a casa tutte le sere.
La luna splendeva argentea nel cielo e Serenella era sola. Passeggiava nel giardino, chiedendosi il perché di tante cose, di tanti destini. Sentiva la mancanza della ragazzina, sentiva che doveva in qualche modo aiutarla.
Le ombre che aveva visto nei suoi occhi, i nodi che aveva nel suo cuore insieme all’innocenza e la gentilezza, quella sensibilità rara, l’avevano colpita profondamente.
Si sedette alla luce della luna e la guidò lì dove doveva andare, secondo antichi rituali, mai svelati, e i suoi occhi diventarono argentei e lei riebbe il potere. Percepì Anna ed il suo incubo, fino a dissolverlo. Poi si rese conto che doveva fare di più. La stanchezza la pervase e capì di essere tanto stanca e tanto vecchia.
Se qualcuno l’avesse vista in quel momento forse l’avrebbe salvata. Ma lei continuò imperterrita, aiutata solo dalla luna.

Il custode si sedette sulla panchina, aveva le gambe che gli tremavano.
La donna l’aveva trovata lui, quella mattina, esanime. Aveva cercato di rianimarla, ma era fredda… avrebbe perso il posto? Avrebbe dovuto fare il giro nei giardino? Quel giardino dava corpo alle sue paure di bambino, alle chiacchiere. Non aveva fatto il suo dovere… ecco.
L’ambulanza era appena andata via, i vigili gli avevano chiesto cosa fosse successo e lui… forse avrebbe perso il posto. Gli occhi cisposi galleggiavano impauriti.
Aldo accompagnò Anna in ospedale, come sempre in quell’ultimo periodo. Un rito che diventava pesante. La gente seduta nei corridoi aveva un’aria affranta. Raggiunsero il reparto della Rianimazione. Una grande porta a vetri, un campanello ed un citofono. Aldo suonò un po’ titubante.
Un’infermiera la fece entrare e l’aiutò ad indossare il camice e le soprascarpe. Era raffreddata? Le aveva chiesto, come ogni giorno.
Sua madre con gli occhi chiusi… sembrava sorriderle, diafana, in quel letto tanto diverso dal suo. La testa bendata.
Le sembrava di essere tanto forte al suo confronto. Si guardò intorno per cercare una sedia, ma non c’era niente che facesse pensare ad una sosta più lunga. Il cartello sul letto recitava: “Visite Brevi”.
Anna prese la mano di sua madre: – Mamma, sono Anna – La voce calma, le lacrime rigavano le guance.
Sentì la mano di sua madre stringerle la propria. Si emozionò tantissimo.
– Infermiera – gridò – mia madre… venga qui.
La donna la raggiunse subito, per poi accompagnarla alla porta.
– Aspettate qui – disse con un tono che non ammetteva repliche.
Le ore, nell’attesa, sfilarono lente come sempre quando si soffre. Aldo la teneva abbracciata e insieme aspettarono, mentre la speranza si faceva spazio nei loro cuori.
Due infermieri corpulenti spinsero fuori dal reparto un lettiga. Il volto era coperto da un lenzuolo. Ai suoi piedi Anna riconobbe una piccola borsa di cuoio e le scarpe color malva. Si alzò, mentre suo zio cercava di trattenerla e corse verso la lettiga.
– Non c’é stato niente da fare, per questa donna…
– Posso vederla? – chiese Anna.
– La conosce? – fece uno dei due, dondolandosi sui piedi.
– Sì, credo che abiti nel mio quartiere.
Il lenzuolo fu scostato dal volto sereno. Sembrava dormisse.
– Sa come si chiama? Non abbiamo nessun indizio, nonostante l’interessamento di tanta gente. Signorina lei la conosceva? – Il viso paonazzo dell’infermiere contrastava col pallore della donna sdraiata sulla lettiga. Anna le accarezzò il viso sotto lo sguardo sbigottito di suo zio.
– So solo il suo nome di battesimo, si chiama… si chiamava Serenella.
– Sa se ha parenti?
– No, non abbiamo mai parlato dei suoi parenti, solo del miei. – Anna chinò il capo e abbracciò lo zio e scoppiò in lacrime.
Poi l’infermiera comparve come per magia di fianco a loro e parlò concitatamente.
“Sua madre si è svegliata, una cosa inspiegabile, eppure nessuno riesce a capire quello che è successo”: come se fosse una formula magica, priva di pause, Anna ripeteva queste parole che aveva sentito poche ore prima. Era felicissima, ma c’era un piccolo neo che le guastava la felicità.
La signora Serenella era morta sola, nella lettiga, senza nessuno che le tenesse la mano.
Erano stati incontri intensi, in cui si erano scambiate delle emozioni profonde. Sua madre non aveva fatto in tempo a conoscerla eppure erano state così vicine da sfiorarsi.
Giulia tornò alla vita con i capelli corti ed un indicibile sorriso. Un’energia incontenibile sembrava pervaderla. Iniziò ad amare le passeggiate con sua figlia. L’estate si faceva strada e durante le serate più calde andavano in giro a mangïarsi un gelato.
Si sedevano insieme nel giardino della strega e chiacchieravano di tutto, dalle banalità alle cose importanti. Poi un giorno arrivò a casa un pacchetto che conteneva strane perle argentee. Anna vedendole, si commosse e seppe che erano un dono di Serenella. Come fossero arrivate lì e per mano di chi era un grande mistero. Ma la loro vita era stata benedetta e loro due non si ponevano altre domande.

L’erboristeria andava benissimo, i clienti facevano la fila per avere una tisana preparata da Giulia che sembrava aver sviluppato doti che prima non aveva. I preparati di erbe li miscelava personalmente, leggeva nei cuori della gente che si trovava di fronte e in quello di sua figlia, con facilità come se fosse un dono naturale. La sua vita era cambiata in meglio, gustava i piccoli piaceri, le piccole cose.
Recuperava giorno dopo giorno la forza fisica, ma mentalmente ed emotivamente si sentiva colma. E il bisogno di dare si faceva strada in lei. Il primo a beneficiarne fu Aldo, che dopo un periodo di tentennamenti accettò di lavorare con lei.
Andavano una volta al mese in campagna a raccogliere erbe da far essiccare e Giulia si meravigliava della sua sicurezza nel raccogliere e classificare le piantine, quasi avesse un sesto senso. Non l’aveva mai fatto prima e nemmeno ne aveva sentito la necessità.
Il tumore era scomparso misteriosamente lasciandole un dono altrettanto sorprendente.
Anna notava i cambiamenti in sua madre e li accoglieva con entusiasmo e partecipazione.
Quella sera sarebbero andati in pizzeria a festeggiare il suo quarantesimo compleanno. Lei e lo zio le avevano comprato un foulard color malva di seta pesante.
Quando la vide entrare con le perle argentee al collo, le sembrò bellissima. Alla luce della luna che splendeva in cielo, gli occhi di sua madre che erano neri come i suoi mandavano bagliori verdi inconsueti.
Il suo magnetismo era diventato tangibile e le donava un’aria inquietante.
– Giulia, stai benissimo. – dichiarò Aldo.
– E’ vero mamma, sei splendida! – proseguì Anna.
Giulia strappò la carta che conteneva il foulard e ne accarezzò la trama preziosa.
Poi alzò il bicchiere e brindando con loro due esclamò: – A Serenella!
– A cosa stiamo brindando? – chiese Anna.
– A “Serenella”! Il nostro nuovo negozio in centro! – esclamò allegramente Giulia annodandosi il foulard al collo. In quell’istante sua figlia, intravide qualcosa nel suo viso, nel suo sorriso e sebbene fosse solo una percezione sottile, ne fu confortata.
Giulia aveva un’espressione da gatta soddisfatta.
Le perle argentee ammiccavano alla luna, complice di quel mistero.

 

Autore: Myrko Cassano
Messo on line in data: Luglio 2003