RACCONTO: IL PATTO di Tarquinio Danieli

Monia uscì di cattivo umore quella mattina di maggio inoltrato, per recarsi all’Università.
Era una bella ragazza di vent’anni, attraente, con capelli scuri a caschetto. Non amava mettersi in mostra con abbigliamento appariscente o con trucco molto provocante e marcato del viso. Si vestiva quasi sempre con Jeans e maglietta, sicuramente firmati, ma senza altri fronzoli e civetterie.
Monia frequentava un corso universitario e quella mattina doveva sostenere una relazione per un seminario sulla parapsicologia, di cui faceva parte. Il professor Maniscalchi era il docente che seguiva quel tipo di seminario. Era ritenuto un professore “Sui – Generis”, cioè molto egocentrico e proiettato verso un insegnamento sperimentale di nuovi metodi di studio che prendono atto della veloce e dinamica trasformazione della società odierna, offrendo meno enfasi ai temi classici, canonici e tradizionali. Monia, quella mattina doveva sostenere un discorso che indicasse la legittimazione della parapsicologia sondata con i parametri e gli strumenti che la Letteratura metteva a disposizione. Capolavori letterari su temi riferiti al mistero ne è piena la Letteratura, e Monia non ebbe difficoltà a documentarsi; dal poema di Goethe, Faust, ai racconti di vario genere su fatti di fantasmi, ad aneddoti su grandi occultisti e ipnotisti che riuscivano a plagiare l’animo umano e fargli fare ciò che volevano.
Monia però non aveva affrontato lo studio con approccio di ricerca e spirito neutro. Un’angoscia sottile, un’inquietudine violenta ed un senso di paura si erano impossessati del suo animo. In quello stato, Monia si stava dirigendo verso l’istituto. Ad ogni passo, le veniva un’indicibile desiderio di tornare indietro, ma non sapeva spiegarsene il motivo, tanto che passo dopo passo giunse all’ateneo.
Appena entrato in aula e consumato il buongiorno di rito, Maniscalchi non perse tempo e fissando insistentemente Monia negli occhi, la invitò a relazionare su quello che era il tema della relazione.
Monia si alzò di scatto dal banco, ma non riuscì ad avvicinarsi alla cattedra. Pochi metri la dividevano, visto che si trovava nella prima fila di banchi, ma non riusciva a compiere un passo.
Maniscalchi la guardava intensamente senza battere ciglio. Monia, di colpo iniziò dal suo posto a relazionare, indirizzando il suo viso verso i compagni, per poter sfuggire dall’intenso sguardo del professore:
“La nostra esistenza, da sempre, è contornata da misteri, addirittura da quando noi esseri umani abbiamo iniziato il nostro percorso evolutivo su questo pianeta. Nel periodo storico in cui siamo, abbiamo acquisito un livello tale di conoscenze tecnologiche, scientifiche ed esistenziali, che non riteniamo possano esservi nuove conoscenze che possano stravolgere il benessere di vita che con fatica siamo riusciti a crearci. Infatti, con troppo orgoglio cerchiamo di ritenere inconfutabile o almeno difficilmente modificabile la fenomenologia scientifica acquisita secondo i canoni dell’osservazione legata alla ripetizione dei fenomeni.
Tutto ciò che esce dalla logica dell’evidenza e della ripetibilità, può essere messo in dubbio sulla base di interpretazioni o di desideri che esulano dal fenomeno reale, e quindi non servono a nulla.
A mio avviso vi sono due piani di riflessione da identificare nell’approccio ad un fenomeno sconosciuto: quello morale e quello scientifico.
La vanità ed il libero arbitrio sono stati gli elementi di spicco che portarono Faust alla dannazione per la ricerca di un successo vacuo e temporaneo. Dannò la sua anima vendendola al Diavolo, per poter acquistare potere, ricchezza e fama, ma tutto questo lo portò a perdere la sua anima, a svuotare la sua essenza di uomo, a perdere ogni sua facoltà di scelta e di armonia nelle azioni che compongono un individuo nella sua esistenza. Tutto questo abiurò, per poter raggiungere un successo materiale. La sua anima gli fu tolta attraverso il patto che egli fece con Satana.
Questa riflessione morale che ho fatto sul tema di Faust, si lega con il desiderio di sapere cosa sono determinati eventi che si presentano in modo tale che non è possibile al momento attuale delle nostre conoscenze, dare una spiegazione. Questo limite dell’uomo sui misteri che ancora lo circondano, è stato abbondantemente affrontato e dibattuto dalla letteratura di ogni lingua e paese. Da racconti e storie su fantasmi, fenomeno ritenuto come veicolo per mantenere ancora un collegamento da parte di trapassati, alla vita terrena, per motivi legati ad una vita che si è conclusa troppo presto e che quindi ha lasciato punti ancora aperti da chiudere; energie passate che non vogliono o non possono staccarsi da una realtà che hanno ormai lasciato…”

Maniscalchi la interruppe dicendo:
“Quindi se ho ben compreso, l’incredibilità delle cose che ci sembrano inspiegabili è dovuta alla mancanza di conoscenze che le rendano spiegabili, e che questa mancanza sia dovuta ad una insufficienza di dati che l’uomo non ha ancora acquisito nella sua esperienza di vita sia collettiva che individuale. Però non dimentichiamo che questa è una delle possibilità interpretative, difatti per fare un esempio, cosa mi può dire sulla possibilità del plagio psichico, secondo la stessa logica del plagio di Faust avvenuto da parte del diavolo, se comunque di plagio si può parlare, però tenendo conto meno dell’accezione morale e un po’ di più di quella scientifica…”
Rispose Monia: “Se ci possiamo riferire alle ipotesi legate a possibili interferenze tra cervelli, ovvero la capacità di captare le imposizioni psichiche, o in altri termini subire le imposizioni di un altro a eseguire azioni contro o a dispetto della propria volontà; mah!… scientificamente non siamo ancora giunti a…”
La giovane si interruppe di colpo. Gli occhi di Maniscalchi le si erano piantati dentro come un raggio sconosciuto che stesse sondando i lati più reconditi dei pensieri più discreti, ed un senso di forte imbarazzo la assalì e crebbe sempre più fintanto che di colpo sbiancò e scoppiò in un pianto dirotto e dimesso.
“Signorina Laschelli cosa le succede?” disse Maniscalchi facendo trapelare una punta di preoccupazione dalla sua voce.
Monia cercò subito di riprendersi:
“…Nulla professore… mi scusi , ho avuto un attimo di smarrimento. Questo tema non è stato facile da studiare, anche perché mi ha sgomentato non poco nella mia sensibilità…”
“La comprendo signorina, la comprendo molto bene…”, Maniscalchi cambiò umore estraniandosi con fare pensoso, poi di colpo si rivolse verso Monia.
“Ma lei, Signorina, non ha mai avuto la sensazione, anche solo per un momento, della solitudine più disperata, senza potersi appoggiare a nessuno. Sentirsi posseduta da una mente perversa e superiore alla sua che gli si è conficcata nel profondo dell’animo e sentire di botto sulle sue spalle il peso enorme dell’ignoto e dell’impossibilità di sapere…”
Gli occhi di Maniscalchi erano penetrati come un fuoco dentro le iridi della ragazza, che balbettando disse: “Ma… professore… lei mi spaventa!”, Maniscalchi,riprendendosi frettolosamente dallo stato di veemenza e di esaltazione che lo aveva assalito, si scusò con Monia e congedò il seminario.

Monia si avviò verso casa con un’angoscia indicibile che opprimeva tutto il suo essere. Non aveva mai visto prima d’ora il professore comportarsi in quel modo e neppure aveva mai provato delle sensazioni di angoscia così forti e tali da sfigurare il suo comportamento e le sue azioni.
Quella notte non chiuse occhio, vedeva Maniscalchi dappertutto che sogghignava diabolicamente, sentiva la sua voce che rimbombava nel suo cervello: “… Sentirsi posseduta da una mente perversa e superiore alla sua…”, vedeva gli occhi di lui penetrare violentemente dentro i suoi con una potenza che non gli dava tregua né scampo. Monia si sollevò di botto sul letto, era in un bagno di freddo sudore. Sentiva un fremito, una sensazione di paura che la possedeva, la dominava e non aveva la forza per ribellarsi e cacciarla.

Il giorno seguente all’università, Maniscalchi la fermò di soppiatto alla fine della lezione e la invitò a casa sua. Maniscalchi aveva oltre quarant’anni e viveva solo. Monia con molta remissività salì sull’automobile del professore.
Monia giunse verso le diciannove di fronte alla porta della sua abitazione. La madre la stava attendendo con ansia. Doveva essere a casa già da quattro ore e non aveva nemmeno avvisato del ritardo. La madre la investì con veemenza, ma Monia candidamente con fare sorridente e pacato rispose alla madre scusandosi dell’imperdonabile mancanza di delicatezza nel dimenticarsi di avvertire che era stata dal professore per approfondire i temi della relazione che necessitavano di alcune considerazioni critiche e lessicali, poi salì nella sua stanza e cambiò repentinamente umore accasciandosi sul letto e scoppiando in un pianto silenzioso e disperato.
Da quel giorno Monia si presentava puntualmente dopo le lezioni a casa del professore, senza che avesse ricevuto alcun invito formale. Quel desiderio però contrastava profondamente con le sue sensazioni interne, ma non poteva fare a meno di presentarsi tutti i giorni a casa di Maniscalchi.
Inoltre Maniscalchi la trattava in maniera eccelsa, e questo aveva affievolito il suo contrasto interno ma dentro di lei una parte ancora si ribellava e teneva gelosamente ancora in mente, alcune considerazioni come il discorso sul libero arbitrio, la vanità nel raggiungimento degli obiettivi, il plagio del desiderio.

Le ore con Maniscalchi passavano semplicemente nella lettura del Faust di Goethe e di alcuni saggi critici sul romanzo, ma Monia poi quando rientrava a casa si sentiva stanca, spossata con le labbra umide. Sensazioni all’apparenza normali che però non facevano parte del suo modo di sentire.
Un giorno sempre a casa di Maniscalchi l’occhio le cadde su una riflessione critica che citava così: “Cambiare in peggio significa perdere quella volontà di riscatto che rende una persona libera, pulita e trasparente verso se stessa e verso gli altri. Chi acquisisce la logica riferita al tema del cavaliere senza macchia e senza paura, non potrà mai, assolutamente , effettuare alcunché di famigerato, in special modo riferibile al cosiddetto patto con il diavolo…” Di colpo Monia si trovò in una situazione nuova, come se si fosse risvegliata da un mondo illusorio e falso. Maniscalchi era vicino a lei e stava palpando il suo corpo. Monia allora si rese conto di avere un potere incredibile da usare verso Maniscalchi. Quell’uomo che fino ad ora aveva sempre esercitato su di lei un timore riverenziale, una forte personalità che la soggiogava e la faceva sentire inferiore e impotente, poteva essere domato! Questo pensiero si era immediatamente delineato nella sua mente .
“Lei vuole il mio corpo, professore…. Ma in cambio io desidero conoscere la sua personalità, le sue capacità di affabulazione, di capacità di coinvolgimento e di sottomissione inconscia della volontà altrui…”
Sul volto di Maniscalchi comparve immediatamente un sogghigno tra il divertito e il sorpreso, e con quella lucidità e chiarezza che lo sottolineava, disse: “Con questa richiesta, Monia tu mi stai proponendo un patto.… un patto con il diavolo! Non rischi la dannazione, ovviamente, offri solo la tua verginità, ma in cambio chiedi il potere… la capacità di gestire e di manipolare… sei scaltra, Monia, non ti credevo così”.
Maniscalchi si avvicinò velocemente a Monia, iniziando a toccarla, ad accarezzarla ed a spogliarla. Monia dapprima si irrigidì, ma poi il professore iniziò a sussurarle nelle orecchie delle parole oscure. Monia cominciò a sentirsi diversa. La sua rigidità stava scomparendo e sentiva salire in lei una sensazione di sfrenata libidine.
” Avrai il potere…” Pronunziò a voce alta Maniscalchi: “quando sarai costretta in particolari momenti, a dover decidere, avrai la forza e la capacità fredda e necessaria, per decidere al meglio…”, poi la strinse forte al petto e la baciò. Monia sembrava aver acquisito un animo leggero, ed un’euforia mai provata si era impossessata di lei. Iniziò a spogliarsi con fare molto sensuale. Maniscalchi la fissava compiaciuto, poi quando la ebbe completamente nuda, le fece cenno di spogliarlo. La notte passò piacevolmente. Quando Maniscalchi si svegliò su far dell’alba, Monia non giaceva più nel suo letto. Era andata via.

Il mattino seguente, all’Università non la vide, e la mancanza cominciò a preoccuparlo, ma la sua preoccupazione non durò molto. Dopo circa una mezz’ora, il preside dell’ateneo con due poliziotti, entrarono nell’aula. Erano venuti a prenderlo per portarlo in questura. Su di lui era stata formulata una denuncia per molestie sessuali e per stupro. Maniscalchi non riusciva e credere alle sue orecchie, era come inebetito. Giunto in questura, la situazione gli comparve nitida e chiara appena vide Monia, insieme ad altre due persone e a due poliziotti. Monia lo fissò dritto negli occhi senza parlare, e Maniscalchi non ebbe neppure il tempo di pensare a rivolgerle la parola, perché fu subito introdotto nell’ufficio del questore. Le accuse su di lui si riferivano anche al fatto di aver reso Monia incapace di difendersi, drogata e incupìta ai suoi voleri, e soggiogata dalla forza della sua personalità. C’erano parecchi testimoni che confermavano questa situazione.
Come se non bastasse, vi era l’aggravante di utilizzo di droga e spaccio di stupefacenti, tutto ben documentato. D’un tratto il Questore gli chiese di far vedere cosa aveva nelle tasche. Comparve, a sua insaputa, una bustina con della polvere bianca. Lo aveva incastrato veramente bene, la piccola innocente Monia. Era riuscita a inscenare una commedia veramente ineccepibile. Maniscalchi non provò neppure a difendersi, fece chiamare il suo avvocato, ma la situazione era difficile, tanto che il suo difensore non riuscì a evitargli l’arresto immediato.
All’uscita dall’ufficio mentre lo accompagnavano in cella, vide Monia che lo aspettava. Aveva uno sguardo beffardo di una persona che stava pregustando la sua rivincita. Passandogli frettolosamente accanto, Monia sussurrò: “Un patto con il diavolo non paga mai, e questa volta per di più è il diavolo che non ha pagato”.
Un livore sottile si impossessò dell’uomo. Maniscalchi si girò di scatto mentre i poliziotti lo trattenevano ma la ragazza aveva già frettolosamente imboccato l’uscita e non riuscì più a inveirgli contro come avrebbe voluto.
Non la vide più, neanche al processo che venne celebrato per direttissima nove giorni dopo. Gli diedero vent’anni, ma fece, si e no, quindici giorni. Fu trovato dissanguato un mattino, con i polsi tagliati.

 

Autore: Tarquinio Danieli
Messo on line in data: Settembre 2001