RACCONTO: MYDRIN di Astfelia

Britannia, I secolo d.C.
Mydrin se stava seduta in riva al lago, totalmente concentrata ed immersa nella meditazione. Era talmente immobile da sembrare inscindibile dal paesaggio che la circondava: dagli alberi, dal tappeto d’erba, della fresca brezza, dalle gocce di pioggia che cadevano su di lei, idratandola come una foglia.
“Il tuo addestramento è ormai compiuto”, le aveva detto quel giorno il suo vecchio Maestro, il Venerabile Dorwar. “Hai superato tutte le prove ed ora tu sei una Druidessa, una sorella della saggezza della quercia. Tuttavia non credere di aver già raggiunto il traguardo: è adesso che inizia il tuo vero viaggio”.

Un compito. Aveva sempre pensato che le avrebbero affidato una missione, invece nulla di tutto questo. Le era stato detto di andare, seguendo il suo istinto, e di trovare da sola il sentiero da percorrere, il suo scopo. Doveva lasciare l’isola dei Druidi, un’isoletta ad ovest della Britannia, per affrontare da sola il mondo e se stessa.
Mydrin si scosse dalla sua concentrazione ed alzò lo sguardo al cielo scuro di nubi. Incurante della pioggia che cadeva sempre più fitta sui suoi bruni capelli e sulle sue vesti, rimase immobile ancora per qualche minuto, respirando profondamente, annusando l’aria che sapeva di terra bagnata, con tutti i sensi all’erta. Da tempo percepiva qualcosa di lontano, oscuro e profondo che la turbava. Odiava il non riuscire ancora ad identificare di cosa si trattasse.
Abbassò lo sguardo a terra, sull’erba bagnata. Con un movimento rapido ed improvviso della mano, che infranse la stasi delle sue membra, staccò qualche ciuffo d’erba, denudando una piccola zolla di terra. Col dito indice disegnò nella terra un cerchio, il cerchio eterno della vita, simbolo dei Druidi. La pioggia prese a cadere ancora più fitta e, poco a poco, l’acqua fece scomparire il cerchio inciso nella terra. Mydrin guardò nuovamente il cielo: il nero di nubi cariche di pioggia veniva da oriente…

Mydrin cavalcava verso sud, verso l’antico tempio di Stonehenge. Non sapeva ancora perché si stesse dirigendo là, aveva semplicemente seguito il suo istinto, come le aveva consigliato il Venerabile Dorwar. Guidava tranquillamente il suo puledro bianco, ma il suo sguardo era sempre attento ad ogni minimo particolare intorno a lei.
Si portò una mano al collo per sfiorare il suo unico ornamento: la mezzaluna d’argento, simbolo dell’appartenenza alla Fratellanza Druida, donatale dal suo Maestro il giorno in cui era terminato il suo apprendistato. Ripensò alla conversazione tenuta quel giorno, che le pareva già lontano, col Venerabile Dorwar: “Sento qualcosa, Maestro, qualcosa di ancora lontano ed ignoto, ma pericoloso per il futuro del nostro mondo e della nostra fede”.
Gli scintillanti occhi grigi del vecchio Maestro si erano incupiti: si fidava delle premonizioni della sua allieva prediletta, al pari delle proprie.

“I Romani, sì, lo so, figlia mia. Ho avuto anch’io delle visioni su di loro che mi hanno rivelato che un giorno torneranno ad imperversare sui nostri lidi, più agguerriti di prima, ma noi non dobbiamo temerli: la loro religione è semplice e debole in confronto alla nostra. Ha attratto alcuni proseliti fra di noi e forse ne attrarrà degli altri in futuro, ma ciò non potrà minare le solide fondamenta della nostra antica fede che rimarrà salda nella terra di Britannia”.
“Sì, lo so”, aveva annuito Mydrin. “Ma non pensavo ai Romani. C’è qualcosa di più lontano, ma anche di più forte e pericoloso…”
Il Venerabile Dorwar l’aveva guardata sorpreso: “Più forte dei Romani? Possibile?”
“Sì, Maestro, ma non so ancora cosa sia, non riesco a coglierne la natura, e ciò mi rende furiosa con me stessa”.
“Allora, figlia mia, datti tempo”, aveva detto il Maestro in tono tranquillo. “Quando il tempo sarà maturo e tu sarai pronta, scoprirai la fonte di questa tua inquietudine. Vogliano gli dèi che tu abbia la forza di respingere il pericolo, se davvero c’è un pericolo in agguato”.

Mydrin spronò il suo cavallo: aveva fretta di raggiungere la destinazione che aveva scelta, pur ignorandone il motivo. Sapeva che ora lei era pronta e che il tempo era ormai maturo. Ciò che ancora non sapeva era se la sua forza sarebbe stata sufficiente…
Stonehenge, l’antico tempio, il centro sacro per la sua gente.
Mydrin vi giunse a sera. Il cielo era sereno, il tempio si offrì ai suoi occhi in tutto il suo fascino lasciato intatto dal tempo. La luna piena illuminava di luce argentea le antiche, gigantesche pietre: tra i due colonnati le magnifiche pietre azzurre, al centro della struttura la lunga pietra dell’altare, all’esterno la pietra del sacrificio. A quella grandiosa visione, la giovane Druidessa trattenne il respiro e rimase a lungo immobile, ancora in sella al suo cavallo, persa nella contemplazione di quel luogo solitario e sacro che le incuteva un profondo senso di pace e di smarrimento ad un tempo.

Smontò infine da cavallo, condusse il puledro al limitare dalla sacra area, lo legò ad un albero e si accampò per la notte. Era stata una giornata lunga e faticosa. Ora era tempo di fermarsi, meditare e riposare. La mattina seguente avrebbe deciso cosa fare e dove dirigersi, se nulla fosse accaduto nel frattempo, ma in cuor suo sapeva che qualcosa sarebbe accaduto, che presto qualcuno sarebbe arrivato…
Mydrin gettò qualche altro ramoscello nel fuoco che aveva acceso per ripararsi dal freddo della notte, stese davanti al fuoco una coperta ed il mantello e si sedette comodamente per contemplare ancora un po’ da lontano il grandioso tempio, prima di lasciarsi andare al sonno che le appesantiva le palpebre.
Stava per distendersi per dormire, quando un rumore di zoccoli mise all’erta i suoi sensi: qualcuno veniva. Volse lo sguardo e vide una donna avanzare lentamente, verso di lei, a cavallo. Si fermò a pochi passi dal fuoco. Mydrin la osservò attentamente: era strano che qualcuno giungesse in pellegrinaggio al tempio a quell’ora. Si avvide subito che la donna era straniera dalle sue vesti e dalle sue fattezze: carnagione scura, occhi e capelli nerissimi, uno guardo infinito. Incrociando quello sguardo, la Druidessa Mydrin si sentì quasi mancare: era quello l’incontro che da tempo aspettava, l’incontro del suo destino? Chi era quella sconosciuta straniera non più giovane, dal viso segnato dalla stanchezza di un lungo viaggio, da un misto di dolore e gioia?

Le due donne, l’una a cavallo, l’altra seduta a terra, rimasero a fissarsi per un tempo che ad entrambe parve molto lungo. Fu la straniera a parlare per prima in tono esitante, nella lingua dei Romani, ma con un forte accento straniero. La sua voce era flebile, sottile: “Perdonami, signora, posso riscaldarmi presso il tuo fuoco? Vengo da lontano e sono molto stanca”.
Mydrin annuì senza parlare e, con un gesto della mano, indicò alla straniera che il fuoco e la coperta erano a sua disposizione. La donna smontò da cavallo, legò il suo animale, quindi sedette accanto al fuoco, protendendo le mani verso la fiamma e rivolgendo alla giovane sconosciuta un sorriso di gratitudine. Osservandola attentamente, Mydrin si accorse che la donna teneva stretta a sé una piccola bisaccia logora. A giudicare da come se la teneva stretta, quella bisaccia doveva contenere qualcosa di molto prezioso, eppure la donna aveva un aspetto molto povero, nulla nella sua persona lasciava intuire che disponesse di beni preziosi.
La donna si accorse che la sua bisaccia era oggetto di osservazione da parte della giovane sconosciuta ed un lampo di preoccupazione passò nei suoi occhi scuri, ma disse in tono dimesso e gentile: “Ti ringrazio per avermi permesso di riscaldarmi qui con te, non ce l’avrei fatta a proseguire ancora a lungo e questi luoghi mi sono ignoti”.
Mydrin si decise a rivolgerle la parola, usando la lingua dei romani che aveva perfettamente appreso durante il suo apprendistato druidico: “Vieni da lontano, hai detto. Posso chiederti da dove? Non sei britanna, né romana, a giudicare dal tuo accento”.
“No, infatti, vengo da Oriente, dalla terra dei Giudei.”
Da Oriente… Le nuvole nere cariche di pioggia venivano da Oriente!
Il presentimento di un pericolo che veniva da lontano, l’incontro fatale tanto atteso…

Istintivamente, Mydrin portò una mano all’elsa della sua spada, la strinse, la donna si avvide di quel rapido movimento, dilatò gli occhi dallo spavento. Mydrin tolse la mano dall’arma, respirando profondamente: doveva restare calma e non agire avventatamente. Quella donna doveva avere almeno il doppio dei suoi anni e nemmeno un decimo della sua forza: sembrava così fragile ed indifesa! Come poteva costituire un pericolo? Ma cosa nascondeva in quella sua logora bisaccia? Mydrin avvertiva distintamente la preoccupazione della donna per il suo piccolo fardello. Decise di prendere tempo e di rassicurarla per cercare di scoprire chi fosse e quale segreto nascondesse, perché ormai era certa che ci fosse un segreto da scoprire.
“Non temere”, le disse. “Non voglio farti del male, né rubarti quella borsa che ti sta tanto a cuore, qualsiasi cosa essa contenga. Non sono una ladra, né un’assassina”.
“Sei una guerriera?”, le chiese la donna con trepidazione.
“No, sono una Druidessa”, rispose Mydrin con orgoglio.
La donna ebbe un lieve sobbalzo: “Una Druidessa…”, scandì lentamente “Una sacerdotessa o profetessa della religione di questa terra, giusto? Perché da voi anche le donne possono…”
“Sì, da noi anche le donne possono”, la interruppe bruscamente Mydrin. “Vedo che sei abbastanza informata sul mio popolo, donna della Giudea”.
“Ho appreso notizie su di voi e sulle vostre usanze durante il viaggio per mare con i miei compagni…”, la donna si interruppe, abbassando gli occhi, nei quali era calato un velo di profonda amarezza.

Mydrin se ne accorse: “Qualche brutto ricordo?”
“Sì, i miei compagni non sono arrivati fino qui. Durante il viaggio, hanno contratto una febbre che li ha portati alla morte. Ora io sono sola”.
“Capisco, mi dispiace, ma…”, la domanda che più stava a cuore alla Druidessa: “Come mai un gruppo di Giudei ha affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso per arrivare in una terra remota come la Britannia?”
La risposta risultò alquanto vaga: “Nel nostro paese non potevamo più restare… Eravamo in pericolo”.
“Per i Romani?”, insistette Mydrin.
“Non soltanto”.
La Druidessa comprese che per il momento non avrebbe potuto sapere di più, anche perché la donna giudea appariva molto provata e stanca. Forse anche lei era stata malata e magari era affamata: non sembrava avere viveri con sé. Dalla propria bisaccia, Mydrin tirò fuori del pane, qualche frutto e una borraccia d’acqua e ne offrì alla straniera, affinché si ristorasse. Lei mangiò e bevve avidamente, non senza averla ringraziata più volte ed aver mormorato, nella sua lingua, prima di toccare il cibo, quella che a Mydrin parve una breve preghiera di ringraziamento.

Nemmeno mentre mangiava dimenticò di tenere stretta a sé la sua misteriosa borsa.
Sul bel volto pallido ed affilato della giovane Drudessa aleggiò un lieve sorriso, nei suoi vividi occhi verdeazzurri una luce fra l’ironico ed l’incuriosito: “Si direbbe davvero che tu custodisca un grande tesoro lì dentro!”, disse.
La donna scosse la testa, abbassando lo sguardo: “Soltanto un caro, carissimo ricordo”.
La donna guardò improvvisamente verso Stonehenge: “Il vostro grande tempio… Sono venuta qui per visitarlo”, mormorò come se si fosse improvvisamente resa conto che la Druidessa cercava una motivazione della sua presenza in quel luogo.
Mydrin annuì, mentre il suo sguardo si faceva più attento: “Certo è strano che un donna giudea abbia interesse per l’antico tempio dei Britanni”.
La luce della luna allo zenith rivelò un lieve rossore sulle guance della straniera e la voce le uscì ancora più esitante: “I miei compagni di viaggio ed io eravamo guidati anche da un grande interesse per le religioni dei paesi stranieri…”
“Nobile interesse!”, ironizzò Mydrin. “Comunque, per quel poco che ho appreso sulla vostra religione durante i miei studi, mi risulta che essa è molto lontana dalla nostra”.
“Non so, ma forse non proprio lontanissima…”, mormorò la donna, sempre ad occhi bassi.
“D’accordo”, pensò Mydrin. “Per stanotte non mi dirai altro, ma domani…”
“Ora riposa, buona donna”, disse. “Devi essere molto stanca. Domani avremo tutto il tempo per parlare delle nostre rispettive religioni, se vorrai”.
La donna mormorò nella sua lingua qualcosa che poteva essere un augurio di buona notte, un grazie o una benedizione.
“Non ti comprendo”, le fece notare Mydrin.
“Oh sì, perdonami! Buona notte, mia generosa signora”.
“Mi chiamo Mydrin. E tu? Posso chiederti il tuo nome?”
Mentre si distendeva ai margini della coperta, stringendosi addosso le sue ampie, logore vesti e la sua piccola bisaccia al cuore, la donna giudea mormorò con voce appena udibile: “Maria Maddalena”.

Maria Maddalena… Il sonno di Mydrin si era dileguato. Quella donna giudea aveva qualcosa che l’aveva profondamente colpita. Si disse che forse l’aveva già incontrata in un’altra vita, perché era antica credenza della sua gente che le anime umane passassero per un numero infinito di esistenze. In ogni caso, la straniera costituiva un enigma da decifrare. Quella sua aria dolente, dolce, materna… Per associazione, Mydrin pensò alla propria madre che ricordava appena, alla propria infanzia. Non era nata in Britannia, ma sul continente, in un piccolo villaggio della Gallia, sperduto fra i monti Pirenei. Sua madre era un’umile donna di lì, suo padre un nobile britanno che, nel corso di un viaggio in quella regione, si era invaghito di una bella contadina e con lei aveva concepito una figlia. Poi era ripartito per tornare nelle sue terre, ma non aveva dimenticato la donna che aveva amata e la bimba nata da lei. Tre anni dopo era venuto a sapere della morte della donna, e allora era corso a prendere la bambina rimasta sola al mondo. L’aveva riconosciuta come sua figlia legittima, sebbene nel frattempo si fosse sposato e gli fosse nato un altro figlio. La bambina aveva presto rivelato delle doti particolari: già da piccolissima parlava e si comportava come un adulto e sembrava dotata di una certa preveggenza che le consentiva di sapere in anticipo quando e se qualcuno sarebbe arrivato, se qualcuno si sarebbe ammalato, se sarebbe morto, e molte altre cose ancora. Impressionato da tutto ciò, il padre l’aveva portata nell’Isola dei Druidi, scorgendo in lei una futura profetessa.
Riconoscendo le sue doti particolari, i Druidi l’avevano ben accolta ed addestrata con cura, e Mydrin aveva tratto grande profitto da quel duro addestramento. Ora lei stessa era una Druidessa, possedeva tutta l’antica “saggezza della quercia” e, in virtù di quella saggezza, avrebbe scoperto il mistero di quella strana donna giudea che dormiva accanto a lei, sulla sua coperta, e che aveva detto di chiamarsi Maria Maddalena.

Poco dopo lo spuntar del sole, le due donne già osservavano le solenni e solitarie pietre di Stonehenge. Mydrin aveva detto a Maria Maddalena che non poteva lasciarla entrare nell’area sacra, poiché lei non condivideva la fede di quel luogo, ma era rimasta con lei ai margini di quell’area, spiegandole i significati del tempio. Aveva deciso di essere gentile con la donna giudea per indurla a fidarsi di lei ed a rivelarle i suoi pensieri. Mentre le parlava, cercava di mettere in atto una tecnica druidica appresa durante il suo apprendistato, volta ad influenzare la mente di chi le stava davanti. Era la prima volta che la sperimentava da sola e non sapeva se avrebbe funzionato, ma la donna l’ascoltava, guardandola con occhi pieni di fiducia e questo era un buon segno.
“Questo tempio è molto antico”, concluse la giovane Druidessa. “Fu eretto probabilmente un millennio fa, ed in seguito i Druidi ne costruirono altri minori. Ora a Stonehenge si celebrano i sacri riti solo una volta all’anno, quando i Venerabili Druidi di tutta la Britannia e la Gallia si riuniscono qui per officiare una solenne cerimonia in onore di tutti gli dèi”.
“Voi avete molti dèi, vero?”, chiese Maria Maddalena.
“Molti dèi, perché il nostro culto è rivolto alle molteplici forze della natura”, replicò Mydrin. “Ma tre sono gli dèi supremi, dai vari nomi: Taranis-Omigos-Dagda, divinità della regalità; Belenos-Teutates, divinità della guerra, ed infine Lug-Lev, divinità delle arti e dei mestieri”.
“Dunque una Trinità!”, esclamo Maria Maddalena con ingenuo entusiasmo. “Forse le nostre fedi non sono tanto lontane, come tu credi: anche la mia fede ha un trinità: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo”.

Gli occhi di Mydrin si fecero più attenti: “Ma i Giudei non venerano un unico Dio?”
“Sì, ma il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo non sono che l’unico Dio!”
Maria Maddalena sospirò, sentendosi inadeguata: “Come vorrei non esser sola, ora, a parlarti di tutto questo! Se i miei compagni fossero qui con me, mi aiuterebbero a spiegarti e sarebbe molto più facile farti comprendere. Grande e profondo è ciò di cui ti parlo, perché la mia fede non è più soltanto l’antica religione giudaica, ma la religione dell’amore, la nuova, vera fede rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, morto sulla croce per salvarci dai nostri peccati, e poi risorto!”
Mydrin pensava che la disciplina druidica le avesse insegnato a dominare completamente la paura, ma fu proprio un brivido di paura che la scosse quando quelle parole le arrivarono alle orecchie: “La vera fede… Nostro Signore Gesù Cristo…” Fu come ricevere una sferzata. Mydrin capì che era quello il nodo da sciogliere, l’enigma, il grande pericolo.
Guardò gli occhi della donna giudea infiammati di passione e le disse con voce gelida: “Parlami di questa tua nuova fede”.

Tutta la mattinata passò in quei discorsi. Mydrin ascoltò attentamente la storia di Gesù Cristo: i suoi miracoli, la risurrezione di Lazzaro, la sua stessa risurrezione dopo la morte su una croce romana, morte decretata non tanto dai Romani, ma dallo stesso popolo giudaico: una storia strana, assurda. Un Dio che si fa uomo, insegna che bisogna amare i nemici, che prendere le armi contro di loro è sbagliato, e si lascia crocifiggere per salvare il mondo… Tutto ciò per lei non aveva alcun senso: non aveva senso l’amore per i nemici, un insegnamento volto solo ad indebolire un popolo; non aveva senso l’idea di peccato, così come lo concepivano quei seguaci di Cristo, perché, per la sua gente, la morale significava semplicemente il rispetto delle tradizioni e dei costumi tribali; non aveva senso soprattutto l’idea di una salvezza che veniva all’umanità dalla morte di un Dio su una croce romana.
Mydrin si sentiva stordita dal lungo, tormentato discorso della donna giudea. Lei voleva per forza trovare delle affinità fra le loro rispettive religioni, la giovane Druidessa pensava che esse più distanti ed inconciliabili di così non avrebbero potuto essere.
Maria Maddalena la guardava, aspettando trepida che lei dicesse qualcosa. Mydrin trasse un profondo sospiro e scosse il capo: “La tua è una favola” mormorò.
“No!”, gridò quasi Maria Maddalena, profondamente delusa. “Allora non sono riuscita a farti capire nulla! Il mio Signore Gesù ha vinto la morte: ha ridato la vita, è risorto egli stesso! E’ la verità!”

Mydrin posò brevemente le proprie mani sulle spalle della donna giudea e la guardò negli occhi con dolcezza: quella donna le incuteva inquietudine e tenerezza ad un tempo.
“Ascoltami”, le disse in tono gentile. “Non voglio offenderti, ma credo che tu ed i tuoi compagni siate caduti in preda ad una forte suggestione che troppe volte vi ha fatto gridare al prodigio. Il vostro profeta che chiamate Cristo doveva essere un uomo dotato di grande abilità e carisma. Per me, tutto ciò che mi hai raccontato è spiegabile in modo naturale: la risurrezione dell’uomo chiamato Lazzaro, per esempio, altro non poteva essere che un caso di morte apparente. Avete dato per morto ed avete sepolto quell’uomo troppo presto e, quando avete riaperto il sepolcro, lo avete ritrovato in vita, soltanto perché non era mai morto. Quanto al vostro Signore Gesù Cristo morto in croce e poi risorto, posso solo dirti che ciò non è possibile e, se non lo avete più trovato nel suo sepolcro, è solo perché qualcuno l’aveva portato via, come tu stessa credesti all’inizio”.
Maria Maddalena piangeva: “Tu credi di sapere tutto, ma sbagli. E’ anche colpa mia, non sono riuscita a farti capire. Se solo fosse qui Giuseppe…”
“Non rammaricarti”, la interruppe Mydrin. “Nessuno avrebbe potuto convincermi. Non piangere”.
Maria Maddalena si inginocchiò a terra, raccolse un ramoscello e disegnò nella terra un cerchio: “Questo è il simbolo della tua fede, vero?”
“Sì”.
Accanto al cerchio, Maria Maddalena disegnò una croce: “Questo è il simbolo della mia fede. Ora guarda…”
Disegnò infine una croce inserita in un cerchio: “Forse si possono riunire tutte le fedi e ricondurle all’unica vera fonte del sacro. Non sarebbe bello, se fosse così?”
“No”, rispose Mydrin, secca. “Abbiamo parlato a lungo, ora ho bisogno di silenzio. Andrò a fare una cavalcata e a meditare. Ci ritroveremo qui stasera e, se vorrai, parleremo ancora. Poi ci separeremo e ciascuna di noi riprenderà la propria strada”.
Ancora in ginocchio, Maria Maddalena le gridò: “Sei turbata, lo sento, forse Gesù ti sta già toccando il cuore!”

“Non sono affatto turbata, ma solo stanca delle tue chiacchiere”, le rispose Mydrin, montando a cavallo. “A stasera.”

Tuttavia, mentre si allontanava verso la foresta, udiva ancora dentro di sé le parole appassionate di Maria Maddalena: “ …Riunire tutte le fedi e ricondurle all’unica vera fonte del sacro…” e rivedeva il disegno che lei aveva tracciato nella terra: la croce inserita in un cerchio. Era turbata, sì, anche se non per una crisi mistica come avrebbe voluto quella donna giudea.
Mydrin si inoltrò un poco nella foresta, smontò da cavallo, sedette ai piedi di una grande quercia. Aveva ancora negli occhi quella figura inquietante: la croce inscritta nel cerchio. Si concentrò su quell’immagine, desiderando comprenderne il significato. Cadde in meditazione: parole e nomi sconosciuti si presentarono alla sua mente: “Cristianesimo, persecuzioni, Graal, Sant’Elena, sincretismo, eresie, Cavalieri Templari, Baphomet…”
Arrestò la propria mente, costringendola a tornare alla piena coscienza: sapeva che tutte quelle parole erano legate al credo dei seguaci di Cristo, ma sentiva che appartenevano ad un futuro ancora molto lontano di cui ora era inutile preoccuparsi, anche perché non aveva nulla a che fare col suo popolo e la sua fede, o almeno così preferì pensare, come se avesse bisogno di tranquillizzarsi, di sfuggire alla verità. Non era ancora del tutto pronta, ma non aveva consapevolezza di ciò. Si calmò e ripensò a Maria Maddalena come ad una povera, innocua invasata che non poteva far del male a nessuno con i suoi deliri. All’improvviso, però, ricordò la piccola, misteriosa bisaccia che la donna aveva tenuta stretta a sé anche quella mattina, durante la loro lunga conversazione. Sul contenuto di quella bisaccia non era riuscita a sapere nulla più di quanto la donna le aveva detto la sera prima: “Un caro ricordo…”.

Ora Mydrin era sicura che quel “ricordo” avesse a che fare con la nuova fede e voleva scoprirne il vero significato. Si rimproverò per non aver approfondito subito la questione, comunque c’era ancora tempo per chiarire quell’ultimo enigma. Al tramonto rimontò a cavallo per tornare indietro. Era certa che avrebbe trovata Maria Maddalena ad aspettarla dove l’aveva lasciata. In cuor suo rise di quella giudea che vagheggiava di fare di lei, una Druidessa, una nuova seguace di Cristo. No, quella donna non avrebbe avuto fortuna in Britannia e, se vi fosse rimasta, avrebbe probabilmente vissuto il resto dei suoi anni farneticando al vento della sua “vera fede”. Una simile religione non avrebbe mai attratto il popolo britanno. Mydrin trovò il fuoco acceso, ma non vide subito Maria Maddalena. Stava cominciando a piovere. Smontò da cavallo, guardandosi intorno alla ricerca della donna, ed infine la vide: stava immobile, al centro di Stonehenge con le braccia aperte a croce, gli occhi alzati al cielo.
Sacrilegio! Istintivamente, Mydrin afferrò la sua spada, pensando: “La uccido!”
Stava per precipitarsi contro di lei, quando vide tre lampi squarciare il cielo e convergere sulla donna. Il fragore di un tuono, e Mydrin vide Maria Maddalena accasciarsi al suolo, come fulminata. Corse verso di lei, sotto la pioggia battente, ormai priva di intenti assassini. La prese fra le sue forti braccia, avvertendo tutta la fragilità di quel minuto corpo, che le fece tremare il cuore d’una tenerezza struggente. La trascinò via dal recinto del tempio, mentre la pioggia cessava e il cielo si apriva, la portò vicino al fuoco che l’improvviso temporale aveva quasi spento, la distese sulla coperta, ravvivò il fuoco e vide che la donna si stava rianimando.

“Cosa volevi fare?”, l’assalì appena lei fu in grado di connettere.
“Volevo… Io volevo portare la mia fede all’interno del vostro tempio più sacro, affinché esso ne rimanesse permeato. Credevo di poterlo fare…”
“Invece non hai potuto. Quel tempio ed i suoi dèi ti hanno violentemente respinta, Maria Maddalena, tutta questa terra ti respinge, vai via da qui!”
Maria Maddalena scoppiò in lacrime: “Oh Mydrin, aiutami, sono sola e non so più che cosa devo fare!”
“Il tuo Dio non ti ascolta?” sorrise ironicamente la Druidessa.
“Il Signore mi ha protetta, come hai visto, i fulmini non mi hanno colpita a morte, ma ho bisogno anche dell’aiuto umano in questa terra ostile”.
“Tu vuoi il mio aiuto, ma io so che non sei stata del tutto sincera con me”.
“E’ vero”, ammise Maria Maddalena, chinando lo sguardo. “Non ti ho detto tutto. Mi ascolterai ancora?”
“Sì, se sarai sincera”.

Un altro lungo, tormentoso racconto: “Non sono arrivata in Britannia da poco, come ti avevo lasciato intendere, mi trovo qui da quasi due anni…”, iniziò Maria Maddalena, mentre la sua mente si smarriva nei ricordi. Erano partiti frettolosamente per mare dalla Giudea diretti verso Occidente, lei ed alcuni fratelli e sorelle nella fede, malvisti dalle autorità ebraiche dopo la crocifissione di Cristo, giudicati dei sovversivi, come era stato giudicato Cristo: “Il Signore risorto apparve a me per prima, poi ai discepoli e disse loro di andare per il mondo e predicare, il mio Signore che io amavo…”, sospirò dolorosamente Maria Maddalena.
“Che tu amavi non solo come si ama un Dio”, aggiunse Mydrin, leggendo nel suo cuore.
Un segreto da confessare una sola volta, ad una sola persona, per poi celarlo per sempre nel cuore: Maria Maddalena era stata la promessa sposa di Gesù, prima che Egli divenisse il Maestro, prima che si rivelasse il Figlio di Dio e che la sua parte umana si annullasse nel divino. Quando era partito per predicare alle genti, rinunciando a qualsiasi legame umano, tutti i sogni di Maria Maddalena sulla loro unione, sui loro figli si erano infranti.
All’inizio lei non aveva capito, non lo aveva accettato ed era fuggita, accecata dal dolore, era divenuta una donna perduta. Poi, all’improvviso, l’aveva ritrovato sul suo sentiero, Lui, il Cristo, ed era stato come vederlo per la prima volta. Aveva toccato la sua veste, era stata salvata e da allora l’aveva seguito ovunque, insieme ai discepoli, amandolo come loro l’amavano.

Maria Maddalena piangeva. Commossa, Mydrin le accarezzò una guancia rigata di lacrime, pensando che l’amore di una donna per un Dio era fatalmente sventurato. In quel momento non vedeva più in quella fragile donna una nemica. Lei prese la sua misteriosa bisaccia e ne trasse fuori un semplice un vasetto d’onice talmente piccolo da stare nel palmo di una mano: “Questo è quel che ho di più caro”, disse. “E’ il calice che Gesù levò nell’ultima cena con i discepoli, lo stesso in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il suo sangue, dopo la crocifissione…”
Una parola sconosciuta, già presentatasi a lei durante la meditazione di quel giorno, esplose nella mente di Mydrin: Graal! Il sacro calice infinitamente e vanamente cercato nel corso di tutti i secoli futuri…
Il racconto di Maria Maddalena proseguiva: il viaggio per mare, l’epidemia di febbre, i fratelli e le sorelle morti. Solo lei e Giuseppe d’Arimatea si erano salvati. Erano sbarcati nel sud della Gallia e lì Giuseppe avrebbe voluto lasciare Maria Maddalena, presso una piccola comunità giudaica locale, mentre lui avrebbe proseguito per la Britannia, dove voleva portare il sacro calice e fondare una chiesa.
“La febbre lo aveva lasciato debole ed era ormai anziano”, continuò Maria Maddalena. “Non volli lasciarlo andare da solo. Giungemmo in una località chiamata Avalon, dove c’era una forte comunità di Druidi. Era proprio sui Druidi che Giuseppe contava, sapeva che sono la casta più importante in Britannia e che, se loro avessero accolto la nostra fede, presto tutto il popolo li avrebbe seguiti”.
“Ma non fu così”, disse Mydrin con una luce fiera negli occhi.
“Non fu così, infatti”, replicò Maria Maddalena. “I Druidi non ci ostacolarono, ma non ascoltarono la nostra predicazione: rifiutarono sia il nostro credo, sia il sacro calice che Giuseppe avrebbe voluto affidar loro, se si fossero convertiti. Invece ci furono solo poche conversioni: povera gente, anime semplici colpite più dai racconti sui miracoli di Gesù che dal contenuto della vera fede…”

Maria Maddalena si interruppe, vedendo Mydrin sbiancare: “Cos’hai?”
Alcuni Britanni, sia pure povera gente, anime semplici, avevano accolto quella fede! Improvvisamente la Druidessa comprese che essa era destinata a trionfare, un giorno, sulla sua terra. Fino a quel momento si era illusa che fosse impossibile, aveva voluto ingannarsi. Ora fu assalita da una serie di visioni e di premonizioni. Una miriade di frammenti dei secoli futuri si presentarono al suo occhio interiore colpendolo come un bersaglio, ferendolo.
“Un arbusto, vedo crescere un rigoglioso arbusto davanti alla vostra chiesa…”, mormorò assorta.
“Sì”, annuì con stupore Maria Maddalena. “Un arbusto nacque da un germoglio del bastone che Giuseppe era solito conficcare nel terreno, quando pregava”.
La Druidessa, caduta ormai in una sorta di stato di trance, profetizzò solennemente: “Crescerà sempre più forte, come la tua fede che sarà perseguitata dai Romani, ma poi da loro stessi accolta. Col tempo la tua religione, che si chiamerà Cristianesimo, si diffonderà in tutti i territori dell’Impero, quindi fra i popoli che i Romani chiamano Barbari ed anche fra noi Britanni, un giorno, ma un giorno ancora lontano, perché noi saremo fra gli ultimi a cedere. Tu sei solo un preannuncio. Una donna di nome Elena verrà in futuro qui a diffondere la tua fede, ed altri dopo di lei. Non ora, però, dovranno trascorrere ancora dei secoli…”

Maria Maddalena era spaventata dall’espressione tesa, dagli occhi sbarrati della giovane Druidessa: “Mydrin…Per così tanto tempo vuoi che il tuo popolo resti avvolto nelle tenebre, lontano dalla vera fede?”
Lo sguardo allucinato della Druidessa si fissò sul volto della donna giudea: “Io voglio che il mio popolo resti se stesso il più a lungo possibile e mi batterò per questo con tutte le mie forze!”
Maria Maddalena era addolorata e delusa: “Allora non è proprio possibile…?”
“Che io divenga una di voi? Mai!” Un vago sorriso sul suo volto pallidissimo, gli occhi persi nel vuoto. “Sai, ho anche pensato di ucciderti, ma ora so che sarebbe stato inutile, perché verranno altri dopo di te”.
“Avrei voluto affidare a te il sacro calice…”, mormorò Maria Maddalena, come se non l’avesse udita.
“Il calice, il Graal… No, lo terrai tu e lo custodirai a lungo”.
“Ma sono quasi vecchia…”
Il sorriso di Mydrin si fece più amaro: “Ed io sono giovane, ma paradossalmente, tu sei il nuovo mondo, io il vecchio.” La sua espressione si addolcì un poco, prese le mani delle donna giudea e le disse: “Maria Maddalena, vivrai ancora a lungo. Non sei la fragile donna che vuoi apparire. Tu diverrai il simbolo della Grande Madre Universale, della Fede, della Conoscenza e come tale sarai venerata nei secoli che verranno. La croce inscritta nel cerchio, che hai disegnato oggi, diverrà realtà, indicherà la commistione fra le nostre due fedi, ma anche altre fedi si mescoleranno segretamente alla tua. Sincretismo, eresie, Cavalieri del Tempio, i tuoi cavalieri, Baphomet… a causa di quest’idolo bifronte i tuoi cavalieri saranno massacrati, fra più di mille anni…”
Mydrin si interruppe, incontrando gli occhi attoniti di Maria Maddalena: lei non poteva capire. Molte cose ancora avrebbe potuto dirle sul futuro della sua religione. Avrebbe potuto rivelarle quanto la Chiesa Cristiana sarebbe diventata intollerante ed implacabile con tutti i suoi avversari, negando infinite volte, nel corso della storia, l’insegnamento di Cristo di amare i nemici, ma tacque, non voleva angosciare con quelle terribili rivelazioni quella donna tanto innamorata della sua fede. Tacque anche perché era ormai esausta per lo sforzo estremo al quale aveva sottoposto le propria mente che si era spinta tanto avanti nel futuro.
Fiaccata e febbricitante, cadde a terra e sprofondò nel sonno.

Quando Mydrin si destò, il sole era già alto nel cielo. Vide il volto ansioso di Maria Maddalena chino sul proprio: la donna giudea doveva averla amorevolmente vegliata tutta la notte. Udì la sua voce chiederle: “Come stai, Mydrin?”
“Sto bene”.
Si sollevò sui gomiti, ma le girava ancora la testa.
“Rimani distesa”, le disse Maria Maddalena. “Hai avuto la febbre alta, ed hai delirato tutta la notte.”
La Druidessa scosse il capo, rimettendosi in piedi: “Ho riposato abbastanza. Ora dobbiamo prepararci per un lungo viaggio.”
Doveva portare a termine quella che aveva scoperto essere la sua prima missione: condurre al sicuro la donna giudea di nome Maria Maddalena. Mydrin aveva visto, nelle sue premonizioni, dove si trovava esattamente la comunità giudaica della Gallia meridionale alla quale Giuseppe d’Arimatea voleva affidarla: era nelle vicinanze del proprio villaggio d’origine, appollaiato su una collina, ai piedi dei Pirenei orientali, ove la Druidessa aveva vissuto i primi tre anni della sua vita e che, grazie alla potenza della propria mente, ricordava ancora. Anche questo non era un caso: Mydrin scorgeva chiaramente la volontà dei suoi dèi e forse anche del Dio di Maria Maddalena in tutto quello che stava accadendo.

Mentre viaggiavano verso sud, la giovane Druidessa si scopriva a guardare ormai con affetto la donna giudaica, che, per volontà ultraterrena, era capitata sulla sua strada e che ormai, ai suoi occhi, non aveva più alcuna colpa. La comunità giudaica accolse benevolmente Maria Maddalena, non potendo saper nulla di lei, della sua straordinaria storia, di tutto quel che era accaduto in terra giudaica. Vedevano in lei solo una donna molto provata dal dolore e dalla fatica di lunghi viaggi. Col tempo, lei avrebbe parlato, avrebbe raccontato, avrebbe piantato un germoglio che in seguito sarebbe divenuto un grande albero. Ma col tempo… Per ora aveva trovato un tranquillo, sicuro rifugio per se stessa e per il suo sacro calice. Mydrin doveva ripartire. Prima di montare in sella al suo cavallo, abbracciò sorridendo la sua dolce nemica: “Non ti dimenticherò, Maria Maddalena.”
“Nemmeno io potrò mai dimenticarti, Mydrin, e pregherò sempre per te. Ora dove andrai?”
“Tornerò in Britannia, nell’isola dei Druidi, racconterò loro di te, di tutto quello che da te sono venuta a sapere. Così ci prepareremo, e prepareremo quelli che verranno dopo di noi.”
“Li preparerete a combattere la vera fede?”
“Li prepareremo a difendere la nostra fede, finché sarà possibile.”
Maria Maddalena sospirò: “Oh Mydrin, se solo fossi riuscita a farti comprendere…”
“Non crucciarti. Se vuoi, prega il tuo Dio non solo per me, ma per tutta la Britannia che presto dovrà affrontare di nuovo i Romani e combatterli ancora a lungo.”
“Pregherò per te e per la tua terra.”
“Ed io pregherò i miei dèi per te.” Mydrin salì a cavallo.
“Addio, Maria Maddalena”, disse sorridendo, prima di spronare il destriero.
“Addio, dolce Mydrin”, mormorò la donna giudea, guardando con occhi velati di lacrime il bel volto radioso e fiero della giovane Druidessa, nella splendente luce del sole di mezzodì.

 

Rennes-le-Château, III millennio d.C.
Una ragazza inglese era in vacanza da sola nel sud della Francia e si aggirava senza entusiasmo per il paesino di Rennes-le-Château. Il suo viso era malinconico, i suoi occhi assenti. Quella vacanza avrebbe dovuto trascorrerla con il suo fidanzato, Daniel, invece lui l’aveva lasciata. A dividerli non era stata un’altra donna, né l’improvvisa scoperta di un’incompatibilità caratteriale, ma la fede: lei era indifferente in materia religiosa, lui, invece, di origine irlandese, era cattolico convinto. Ad un certo punto le aveva detto di aver sentito la vocazione e di aver deciso di farsi prete. Non c’era stato nulla da fare, ormai nessun legame umano era per lui più importante dell’amore per Dio, così aveva rotto un fidanzamento che durava da quasi cinque anni ed era entrato in seminario.

La ragazza, di nome Mary, si maledisse per l’ennesima volta per non aver cambiato la destinazione di quella vacanza programmata qualche mese prima col suo ex fidanzato: quei luoghi pieni di fascino, ma intrisi di fede cattolica non facevano che acuire i suoi ricordi. Le leggende su Maria Maddalena, sul Graal, sui Templari ed il loro misterioso tesoro convergevano tutte su Rennes-le-Château, e, per questo, quel paesino di appena una quarantina di abitanti contava ogni anno centinaia di turisti fra storici ed amanti del mistero. Anche Mary era un’amante del mistero ed aveva letto molti libri sulle leggende di Rennes-le-Château, tutti libri che il suo fidanzato disapprovava, perché spesso mettevano in discussione le verità dei Vangeli.
Alcuni autori si erano spinti tanto oltre da ipotizzare addirittura che Gesù Cristo non fosse morto sulla croce e che fosse giunto in quella regione della Francia con Maria Maddalena, sua moglie, dalla quale sarebbero nati dei figli che avrebbero dato origine alla dinastia dei Merovingi. Fantastoria del Cristianesimo, ma, secondo Mary, erano comunque ipotesi affascinanti.

Mary si dilettava da sempre a scrivere racconti di fantasia, ma le sue storie erano di poche pretese, parlavano di fate, gnomi e folletti: materia leggera ed agevole. Le sarebbe piaciuto scrivere qualcosa di diverso dalle sue solite fiabe, un racconto di fantasia un po’ più impegnativo, ad esempio incentrato sulla figura della Maddalena, che aveva sempre immaginato come una donna malinconica, legata al suo Signore da sentimenti d’intenso amore terreno, non solo da religiosa devozione. Se la Maddalena fosse davvero giunta in quei luoghi, dopo la crocifissione di Cristo, se avesse incontrato gli antichi Druidi, magari una Druidessa… Aveva parlato a Daniel di quella sua idea stravagante, poco prima che si lasciassero, e naturalmente lui non aveva approvato. Mary provò un senso di forte rabbia verso il suo ex fidanzato e verso la religione che gliel’aveva portato via.

Una donna giudea di nome Maria Maddalena, in amore vittima della religione, come lei; una Druidessa britanna… sì, l’avrebbe scritta quella storia, se non altro per rabbia, e fu con quella stessa rabbia che si strappò dal polso il braccialetto d’argento regalatole da Daniel tanto tempo prima, composto da piccole losanghe che recavano incise le dieci lettere dei loro nomi. Era l’ultima cosa che le era rimasta di Daniel e che non era ancora riuscita a togliersi. Il braccialetto si ruppe e le piccole losanghe con le lettere incise si sparpagliarono per terra. Mary, con gli occhi pieni di lacrime, si chinò per raccoglierle, ma alcune erano sparite e ne ritrovò solo sei che il caso presentò ai suoi occhi in quest’ordine: m-y-d-r-i-n.
Sorrise fra le lacrime: sembrava un nome che sapeva di un remoto passato, di mondi lontani, di antiche storie fantastiche. Strinse nella mano ciò che restava del suo braccialetto, e decise che così si sarebbe chiamata la Druidessa protagonista del suo nuovo racconto: Mydrin.

 

Autore: Astfelia
Messo on line in data: Marzo 2005