RACCONTO: SEMPLICITA’ di Graziella Caropreso

Tutti dicevano che un’annata calda così non s’era mai vista: l’inverno sembrava non esserci stato neppure, la neve non era mai caduta anche dove era un’abitudine. Aveva piovuto pochissimo, le speranze di qualche pioggia nel mese d’aprile erano ormai rimaste tali.
Come al solito Mirea, in giardino, leggeva annoiata il suo libro all’ombra della pergola, le cinque del pomeriggio, un caldo che non ti permetteva di fare altro in alternativa a una pennichella. Alzò lo sguardo al cielo sereno, senza neppure una nuvola. Che strana primavera. Meno male che ancora lì non c’era l’emergenza idrica, come invece già in altre zone; il torrente scorreva ancora con una discreta portata d’acqua e ci si poteva prendere il lusso di annaffiare il giardino.
Una ventata calda fece volare il segnalibro posato sul tavolo, Mirea si alzò per andare a raccoglierlo; pensò che era una bella immagine quella raffiguratavi sopra, mostrava una porta di una casa provenzale, di un colore violetto, una casa di campagna attorniata da distese infinite di lavanda, molto rilassante. Immaginò come doveva essere bella anche dentro, con quell’arredamento tipico nei colori pastello, che le era sempre piaciuto e che aveva tentato di ricreare anche a casa sua…

Girò la maniglia, la porta si aprì, in terra un pavimento in pietra chiaro, grandi finestre con tende azzurrine che lasciavano filtrare una bella luce nella stanza, e poi due credenze color malva e un lungo tavolo di legno adatto a grandi pranzi, l’ideale per bei momenti di convivialità davanti a buoni piatti. Salì tre scalini, una curva a sinistra, ancora una porta, la aprì e si ritrovò in un “giardino concluso”, un orto medievale molto grande, con le tipiche aiole squadrate bordate dal bosso, piante aromatiche disposte su file e che profumo… Le lavande dovevano essere in pieno tempo balsamico, perché bastava il vento per diffondere ovunque la nota fragranza.
Mirea si sedette su una panca in pietra e ricominciò a leggere il suo libro, un giallo contemporaneo. Non era molto avvincente, ma ormai l’aveva iniziato e interrompere un libro a metà era una cosa “da non farsi”. Si sentì lievemente sfiorare la spalla destra, si girò di scatto e il tizio che aveva davanti le chiese se gradisse del tè alla menta; Mirea accettò di buon grado e iniziò a complimentarsi per il bel giardino.
“E’ lei che lo cura? Dev’essere un lavoro rilassante curarsi di un giardino dei semplici”.
“Certo è la cosa più bella del mondo”, rispose l’uomo, con fare benevolo.
“Io lascio fare al giardiniere e di tanto in tanto annaffio solamente…” Si schermì lei, un po’ imbarazzata.
“Beva il suo tè, non lo faccia freddare e poi venga con me, le insegnerò qualcosa!”
Mirea sorseggiò la bevanda dissetante e profumata, poi con calma lui le prese una mano facendola scivolare su un arbusto dalle foglie chiare.
“Lo accarezzi con decisione e senta il profumo che ha sulle dita, cosa le fa pensare?”
“Fantastico! Non saprei, è un odore inebriante, quasi d’altri tempi direi…”
“Infatti, si tratta di assenzio, non molti lo conoscono, nel passato se ne ricavava un liquore eccitante, che fu anche messo al bando”.
“E quella fioritura in giallo cos’è?”
“E’ calendula, ne prenda una puntina e la sfreghi per sentirne l’aroma, che ne pensa?”
“Incredibile… un altro profumo che sembra appartenere ad altre situazioni, ormai lontane”.
“Come tutte le erbe dei semplici, aveva il suo scopo, ormai è solo una pianta ornamentale, per chi la conosce, ovviamente. Continui a passeggiare e non si preoccupi di sciupare le piante, le tocchi, ne prenda qualche foglia e ne gusti il profumo, ognuna di loro racconta qualcosa; ma soprattutto sappia che apprezzarle è già conoscerle”.

Mirea camminava lentamente carezzando qua e là foglie vellutate, ispide, spighe e fiori azzurri, gialli, viola. Spezzettava foglioline, si chinava su infiorescenze minute a gustarne i vari profumi, che ebbrezza! Un piacere nuovo nella vita, una piccola cosa in fondo, ma alla quale non aveva mai pensato prima, non aveva mai focalizzato il pensiero sul fatto che un odore potesse risvegliare sensazioni fisiche e spirituali; il suo corpo reagiva positivamente a questi stimoli olfattivi e il pensiero veleggiava, immaginando storie di vita legate a quegli aromi.
Decise che nel suo giardino avrebbero trovato spazio anche le umili piante aromatiche d’ora in poi, ma soprattutto che se ne sarebbe occupata personalmente, invece di delegare il giardiniere. Non conosceva infatti neppure il nome di certe piante che aveva sempre sotto gli occhi, se ne vergognò e continuando a godere di quella situazione inebriante, cominciò a progettare di metterne a dimora quante più possibile, principalmente nei luoghi di passaggio, dove si poteva toccarle e viverle. Pensò che avrebbe avuto bisogno di qualche dritta, qualche consiglio di una persona esperta per poterle trattare al meglio, così chiamò l’uomo che l’aveva condotta lì, rendendosi conto di non essersi presentata e quindi di non conoscerne il nome; si aggirò nel giardino, rientrò in casa aprì le porte delle varie stanze ma dell’uomo non c’era più traccia. Non senza una certa delusione, decise semplicemente di aspettare che l’uomo tornasse, ma le ore passarono e il tramonto diede un tocco infuocato alle pareti dell’orto concluso, fino a che il buio imminente la convinse a raccogliere il suo libro e andarsene…

Il tappeto di nepeta ai piedi della bella rosa Albertine sprigionò un’essenza pungente mentre Mirea inavvertitamente lo calpestava, per arrivare a recidere un fiore. Eppure non le era mai capitato di far caso a quella pianta, ma l’aveva messa il giardiniere a sua insaputa? Come era arrivata lì? Comunque il profumo era buonissimo e decise di lasciarla; girando la testa richiamata dal verso di un uccello, notò nella zona delle ortensie un prato di erbe verdi con pallidi fiorellini violetti; non ricordandone la presenza in quel luogo, ne fu comunque attratta e iniziò a strapparne delle foglioline, immediatamente l’aria si fece densa d’aroma di menta, e Mirea, stupefatta, non riusciva più a smettere di star lì, a bersi il profumo dissetante di quella piantina così discreta nell’aspetto, ma così prepotente nell’effluvio.
E così via ancora in giro per il giardino scoprì angoli, mai visti prima, ospitanti essenze profumatissime, riconobbe l’assenzio, la santolina, l’issopo e l’erba S. Pietro, la cedrina, il timo e ancora la perovskia, la salvia, il dragoncello, l’elicriso e tante tante altre…
Sicura che prima d’allora non ci fossero mai state, improvvisamente capì e ringraziò il suo amico giardiniere dei semplici, che le aveva fatto questo bel dono di semplicità.

 

Autore: Graziella Caropreso
Messo on line in data: Agosto 2007