ALDO MOSCATELLI: L’INTERVISTA di Redazione

Avevamo già intervistato Aldo Moscatelli, direttore editoriale della Casa Editrice I Sognatori e scrittore, nel dicembre 2006, a proposito dell’editoria in Italia.
In seguito Aldo ha scritto un e-book sulle sue esperienze come scrittore e soprattutto come editore, Le invio un manoscritto. Attendo contratto, che ha un sottotitolo emblematico, Ovvero: l’editoria finisce lì dove ha inizio la logica. Per questo abbiamo poi ripreso l’intervista (Marzo 2010).

REDAZIONE – Perché hai scritto questo libro e perché hai deciso di diffonderlo gratis?

ALDO MOSCATELLI – L’ho scritto fondamentalmente per tre motivi: il primo è che molti lettori lo reclamavano da anni. Ho un pubblico che mi segue con affetto, e nel parlare (tramite il blog della casa editrice) di vari argomenti connessi alla sfera editoriale, puntualmente qualcuno mi incitava a scrivere un libro tematico, cosa che ho fatto nei ritagli di tempo. Il secondo motivo è rappresentato dalla valvola di sfogo che la scrittura rappresenta per me: considerando quanti e quali brutture devo sorbirmi quotidianamente, posso ben dire che la redazione del pamphlet ha avuto quasi un effetto catartico. Il terzo motivo è legato all’esigenza di fare un po’ di chiarezza su certi argomenti, visto che – specie in rete – è possibile leggere una serie sconfinata di cazzate, quando si parla di editoria. Poi ci sono temi dei quali si parla poco (l’impreparazione culturale dei nostri editori – compresi quelli non a pagamento, ad esempio, o i meccanismi che regolano il rapporto tra case editrici e librerie, o l’invidia ai limiti dell’ostracismo che serpeggia fra gli scrittori esordienti italiani) e che a parer mio meritavano di ricevere un po’ di luce.
Perché lo diffondo gratis? Perché – nonostante il lavoro svolto – credo che l’e-book sia una cosa, il libro editato un’altra. Non mi sono rivolto a un tipografo, a una legatoria o a un distributore, non ho dovuto sostenere costi particolari. Se qualcuno desidera (di sua iniziativa) versare una cifra simbolica – pari a 4 euro – e fornire dunque una gratificazione economica al sottoscritto e a chi ha impaginato e illustrato l’e-book, può farlo. Ma niente obblighi.

REDAZIONE – Possiamo confermare la veridicità delle esperienze fatte da te e dei testi delle lettere: nel leggere il libro ci pareva di sentir raccontare esattamente quello che è capitato a noi, comprese le mail di chi ci invia opere chiedendoci di pubblicarle in una certa collana, affermando perfino di aver comprato tutti i libri della stessa collana da noi pubblicati… cosa decisamente impossibile, dato che noi non siamo editori e non pubblichiamo libri. Da anni andiamo predicando, spesso al vento, che molti esordienti si comportano da dilettanti e per questo vengono scartati a priori. Uno dei motivi è il testo zeppo di errori, inviato con noncuranza, perché tanto “è il contenuto che conta davvero” e poi ci sono sempre gli editor a rendere splendido un libro catastrofico. Ma allora “forma” o “contenuto” per un buon scrittore?

ALDO MOSCATELLI – E perché non entrambi? Certo, la differenza sussiste, ma è come chiedersi se è più importante che un’auto abbia il motore o l’airbag. La “forma” è la base, puoi essere profondo quanto ti pare nelle tue elucubrazioni, però se sbagli i congiuntivi significa che hai ancora parecchio lavoro davanti. Si comincia da lì, insomma, altrimenti non parti. I contenuti (bisognerebbe tuttavia chiarire cosa si intende per “contenuti”) sono fondamentali, ma non puoi correre se prima non impari a camminare. In Italia c’è gente che sa a malapena “gattonare”, eppure pretende ugualmente la pubblicazione.

REDAZIONE – La lettera prestampata degli editori per rifiutare le proposte editoriali: un’autodifesa o una pratica irrispettosa verso l’autore, oltre che irritante? Anche noi, per tre anni, abbiamo avuto un servizio di lettura gratuita con valutazione delle opere (in pratica, facevamo gratis il lavoro degli agenti letterari) e siamo giunti alla conclusione che è meglio rifiutare con formulette standard piuttosto che spiegare, con perdita di tempo e fatica raramente apprezzata, che cosa non va in un’opera. Per non parlare degli insulti sui Forum da parte di chi viene rifiutato e, considerandosi un genio, prende la cosa come un reato di lesa maestà.

ALDO MOSCATELLI – “Autodifesa” fino a un certo punto. La verità è che molte case editrici nemmeno li leggono i lavori che giungono in redazione. Se fossero un po’ più oneste, ammetterebbero una semplice verità: a loro interessano gli “scrittori” più che gli “scritti”, se puoi fornire delle rassicurazioni in merito alle vendite, o se puoi sfoggiare delle credenziali, o se hai già un nome o un ruolo in grado di attirare l’attenzione del pubblico – e questo a prescindere dalla validità del materiale – allora le strade ti si spianano. Ecco perché oggigiorno molti editori – prima di sottoporre un contratto e addirittura prima di valutare un testo – prendono le loro precauzioni, arrivando al punto di dichiarare che “uno scrittore che non è in grado di far acquistare il suo libro ad almeno 60 persone è uno scrittore che per primo non crede nel valore della propria opera”. Agghiacciante.
Stesso discorso per i “contenuti”: perché affermare che “la casa editrice valuta e pubblica romanzi fantasy” quando invece andrebbe ammesso che “la casa editrice pubblica fantasy identici a quelli che scalano le classifiche, in modo da battere il ferro finché è caldo e cavalcare mode e tendenze, quindi se nel vostro romanzo non ci sono maghi, orchi ed elfi non sperate di impressionarci ”? O ancora: perché chiedere agli autori l’invio di testo e sinossi quando sappiamo benissimo che nella stragrande maggioranza dei casi verrà letta soltanto la sinossi e l’opera verrà giudicata sulla base di un misero riassuntino? Non parliamo poi di quelli che teoricamente valutano un particolare genere letterario (che so… fantascienza), tu spedisci il tuo bel romanzo distopico e loro ti rispondono che “il materiale proposto non è in linea con quanto richiesto dalla casa editrice”. Casi come questi deprimono e al contempo fanno girare le balle, perché l’autore viene trattato alla stregua di un ritardato mentale, quando la semplice verità è che quella letterina viene inviata a tutti, sia a chi ha sbagliato indirizzo, sia a chi ha spedito materiale non richiesto, sia a chi ha seguito per filo e per segno le indicazioni di un sito.
La lettera prestampata, nella maggior parte dei casi, non è quindi un’autodifesa, ma un modo sbrigativo di liquidare un autore e il suo testo. Detto ciò, meglio mettere in chiaro le cose: compito di una casa editrice è pubblicare libri. E i libri (almeno sul piano teorico) vanno pubblicati dopo aver vagliato una pletora di testi e aver scelto quelli maggiormente interessanti, per tutta una serie di motivi. Tutto qui. L’editore non è tenuto in alcun modo a giustificare le proprie scelte, o a commentare un’opera che egli ha giudicato poco interessante. Se lo fa, compie un atto che si pone completamente al di fuori dei suoi obblighi professionali, e va ripagato.

REDAZIONE – Tu sei noto proprio per essere un’eccezione alla regola che vuole l’editore del tutto indifferente ai sentimenti e alle speranze dell’autore che si propone…

ALDO MOSCATELLI – Io per due anni e mezzo ho spedito schede di valutazione gratuite a centinaia di scrittori, ottenendo in cambio rancore e indifferenza. Nel frattempo altri editori s’arricchivano col contributo editoriale, e venivano incensati per la spaventosa quantità di (orribili) libri immessi sul mercato, la maggior parte dei quali ignota (nella forma e nei contenuti) persino all’editore. Nel momento in cui ho compreso davvero l’eccezionalità del mio agire mi sono comportato di conseguenza, imponendo una politica ad hoc. Se qualcuno desidera da me la solita letterina prestampata, quindi una valutazione ordinaria, benissimo, la otterrà senza nulla dare. Ma se qualcuno desidera una scheda di lettura dettagliata, e/o una valutazione in tempi rapidi (50 giorni) o rapidissimi (25 giorni), deve acquistare alcuni libri pubblicati da I Sognatori, proprio perché il servizio di valutazione prescinde dai miei obblighi professionali. Così come nessuno mi obbliga a leggere per intero un testo e spedire un responso in 50 giorni, considerando che la media delle altre case editrici gratuite si attesta sui 5-6 mesi per l’invio (quando contemplato) della letterina prestampata al centro del nostro discorso.
L’ho detto e lo ripeto: l’impegno e la professionalità meritano una gratificazione, oggi più che mai considerando che siamo circondati da imbrattacarte, burocrati e avvoltoi. D’altronde mi risulta che (in altri ambiti professionali) gli straordinari vengano pagati, non vedo perché l’editoria dovrebbe rappresentare un’eccezione. Per concludere: anche oggi continuo a raccogliere ostilità o indifferenza (meno rispetto al passato), ma perlomeno tutto quel lavoro non rimane a fondo perduto!

REDAZIONE – Editori a pagamento: siamo contrari, perché pensiamo abbia più senso una auto-pubblicazione da gestire in prima persona, piuttosto che pagare chi si dimenticherà del libro non appena avrà ricevuto l’assegno e, ugualmente, si dimenticherà di tutte le precedenti belle promesse di pubblicità e distribuzione nazionale. Chi pubblica con contributo paga a caro prezzo la sua voglia di emergere: gli editori (ottenuto il loro guadagno) si disinteressano del libro non appena lo hanno pubblicato e le librerie non lo vogliono (lo spazio è poco e riservato ai libri di editori seri). Quindi all’autore sconosciuto non resta che cercare una visibilità on line, chiedendo una segnalazione ai vari siti per esordienti. Ma di recente abbiamo notato che molti siti si vantano di non segnalare in nessun caso libri di editori a pagamento, partendo dal presupposto che chi paga la pubblicazione debba per forza essere del tutto privo di talento come scrittore. E non è sempre e automaticamente vero.

ALDO MOSCATELLI – Su un forum una volta ho letto la seguente dichiarazione (di una scrittrice esordiente): “sì, gli scrittori firmano i contratti, ma se l’editoria a pagamento non esistesse… allora noi scrittori non precipiteremmo nel baratro del contributo”. Purtroppo frasi come questa evidenziano la scarsissima conoscenza del fenomeno, e finanche una scarsa capacità sul piano dell’ermeneutica. Gli scrittori non capiscono (o forse non si capacitano) che l’editoria a pagamento è perfettamente legale, e testimonia una scelta compiuta a monte dall’editore, che deve stabilire se chiedere o no il contributo. Se opta per il “sì”, la palla passa poi allo scrittore: anch’egli infatti ha la possibilità di accettare o rifiutare.
Anch’io vieterei per Legge il contributo, ma attualmente non rappresenta un reato e allora cosa vogliamo fare? Chiederci quanto sarebbe bello il mondo senza di esso o fare qualcosa di concreto per combatterlo? Beh, se la risposta è la seconda, allora il contributo va rifiutato categoricamente, e questo discorso vale sia per gli editori che per gli scrittori. Altrimenti le lamentele degli esordienti restano chiacchiere. Io come editore ho urlato il mio NO, per quale strana ragione gli scrittori devono schermarsi dietro la scusa che “la colpa è degli editori che ce lo propongono, questo benedetto contributo”? È come se qualcuno giustificasse un omicidio compiuto a suon di fucilate tirando in ballo l’esistenza delle armi e delle armerie. Parafrasando la dichiarazione di quella scrittrice: “sì, le persone commettono gli omicidi, ma se le armi e le armerie non esistessero… allora noi non verremmo spinti a commettere una carneficina”.
A margine: non capisco perché vengono presi in considerazione soltanto gli scrittori esordienti, quando si parla di editoria a pagamento. Il danno non lo subiscono soltanto loro, ma anche i lettori (che rischiano di sperperare denaro in immani cavolate, dando peraltro manforte all’editoria a pagamento coi propri soldi, quasi sempre senza saperlo), gli scrittori di talento (i cui libri si perdono nel marasma) e il sistema letterario nella sua globalità (ormai saturo da decenni, d’altronde l’offerta è immensa e la richiesta esigua, tutti pubblicano e ben pochi leggono, tutti editano e ben pochi vendono). Oltre ovviamente agli editori gratuiti. Vi basti riflettere su questo: una casa editrice a pagamento guadagna in media 1000/1500 euro netti dalla pubblicazione di un manoscritto, anche a fronte di vendite pari a zero. Io per ottenere il medesimo risultato devo farmi un mazzo così e piazzare all’incirca 300/400 copie dell’opera, non so se mi spiego. E se la metà dei libri pubblicati ogni anno in Italia vende tra zero e una copia, potete allora immaginare quant’è semplice piazzare 300/400 copie di un libro scritto da un emerito sconosciuto… Al di là di questo, va da sé che l’editore che guadagna immediatamente 1500 euro (non è un fattore da sottovalutare, l’introito istantaneo) e pubblica 100 autori l’anno, può concedersi il lusso di acquistare spazi pubblicitari, assumere personale, farsi sponsorizzare da nomi e volti noti, in una sola parola “ingrandirsi” e “prosperare”, assumendo una notorietà che (per forza di cose) metterà in ombra la concorrenza, costantemente impegnata a raggiungere un faticosissimo pareggio di bilancio. Ecco allora che la gente si domanda: perché “Il Filo” ha centinaia di scrittori in catalogo e “Scrittura & Scritture” no? Perché “Il Filo” ha la pubblicità sul Corriere e “I sognatori” no? Perché alcuni libri de “Il Filo” presentano le prefazioni di Camilleri, Verdone e Morricone e quelli di Villaggio Maori invece no?

REDAZIONE- Editoria indipendente: noi da 10 anni leggiamo e recensiamo bravissimi autori, originali e interessanti nel contenuto, impeccabili nella forma, che meriterebbero spazio e pubblicità, ma sono costretti a pubblicare da sé con un tipografo (diventando, in sostanza, editori e distributori di se stessi) o (se va bene) con minuscoli editori con distribuzione minima, e spesso vedono il proprio, ottimo, libro restare invenduto. Perché nessuno li sostiene, dai giornalisti ai quali fai riferimento nel tuo libro agli stessi autori esordienti che, con la massima incoerenza, snobbano i colleghi e, addirittura, sostengono che non comprerebbero mai libri di autori esordienti? Pensi ci sia una soluzione o sei pessimista come noi?

ALDO MOSCATELLI – Né pessimista né ottimista: realista. Ai giornalisti meno celebrati interessano quasi sempre gli autori locali, e la loro pubblicità spesso non ha grande risonanza, per ovvie ragioni. Vi faccio un esempio: un mensile ha recensito tempo fa un mio libro, tiratura a cinque zeri e distribuzione a tappeto nei giornalai pugliesi. Copie vendute in un mese grazie a quella recensione: una. Ai giornalisti celebrati interessano i libri? Mah. Io ho spesso la sensazione che interessi piuttosto far parlare di sé, in riferimento al libro. Ecco perché tutte quelle stroncature e quelle esaltazioni, quasi mai vie di mezzo. Nella logica di molti giornalisti un’analisi oggettiva, professionale, non desta scalpore: io invece grido al miracolo quando mi ci imbatto. Figuriamoci poi quanto interesse possono nutrire per lo scrittore sconosciuto. È la stessa logica delle holding editoriali: perché farsi il mazzo quadrato nella promozione di un nome nuovo quando è possibile scrivere un articolo sull’autore già celebre, che attirerà senza sforzi l’attenzione dei fruitori?
Quanto agli scrittori che snobbano i colleghi, ne ho parlato diffusamente nell’e-book. Riassumo così, premettendo che le eccezioni sussistono sempre e comunque (io ne conosco più d’una): c’è una competizione spaventosa, un’invidia ai limiti del livore e un disinteresse generalizzato verso le opere altrui. Ogni tanto si creano gruppetti di scrittori intenti a sostenersi vicendevolmente, peccato che pure in questo caso l’appoggio sia dettato dall’amicizia più che dall’autentica stima. Più spesso il tifo ha termine nel momento in cui il collega taglia il traguardo della pubblicazione. Nei forum e in altri luoghi d’aggregazione fanno quadrato finché c’è da criticare l’editoria italiana, poi tanti saluti. Sei stato pubblicato? Buon per te, io no, quindi abbi rispetto per la mia “sofferenza” e sparisci. Per non parlare dell’indifferenza riservata agli scrittori esordienti svincolati dai forum, dai social network e così via… La soluzione? No, non ci sono panacee. Solo il duro lavoro.
Poi basta farsi un giro in rete per capire come siamo messi. A un tale che parla di lotta all’editoria a pagamento, un commentatore risponde così: “basta con questa storia, non se ne può più!”. E su un blog un altro tizio chiede candidamente: “se un romanzo fa schifo ma una casa editrice lo pubblica ugualmente dietro compenso, cosa c’è di sbagliato?”. Davanti a bestialità del genere… a che pro essere ottimisti o pessimisti? Meglio guardare in faccia la realtà, sfidandola a viso aperto. E nonostante questo andare avanti, col ghigno di chi nemmeno si preoccupa più di vincere o perdere.

Aggiungiamo, in coda all’intervista, la domanda di Angela, che riassume in sé le medesime domande fatte sul tema da numerosi altri lettori.

ANGELA – Io ho cercato di pubblicare senza pagare, perché credevo molto nella validità del mio libro; dopo 4 anni mi sono arresa e ho pubblicato con contributo, l’editore mi ha seguito benissimo e ho venduto quasi mille copie del mio saggio (stregoneria). Ho pubblicato il secondo e il terzo libro senza contributo, vendendo bene. Perché non avrei dovuto tentare, investendo su me stessa?

ALDO MOSCATELLI – Allora, innanzitutto (sul piano logico) occorre chiedersi, come ho scritto altrove, per quale strano motivo dovreste essere voi scrittori a investire denaro nel vostro manoscritto e nel vostro talento e non – come sarebbe normale– la casa editrice alla quale vi siete rivolti. L’azienda è la casa editrice, che mi risulti. Non l’autore. In questo modo si opera un transfert di competenze che a qualcuno potrà anche andar bene, ma che rappresenta inconfutabilmente un’anomalia: s’è mai visto un violinista che paga il proprietario del teatro per poter prendere parte a un concerto?
Passiamo ora al piano matematico. Al di là dei casi personali (fattore d’immane importanza, tornerò sull’argomento in chiusura di risposta), esistono dei dati generali che non possono essere sottaciuti. Mi spiego meglio. Nell’editoria a pagamento allo scrittore viene chiesto (in media) di pagare 2.500 euro per 500 copie di un libro che reca impresso un prezzo di copertina pari a 15 euro: se lo scrittore ha diritto al 10% sulle vendite, ipotizzando la vendite totale della tiratura lo scrittore va in perdita di 1780 euro; l’editore guadagna invece 2500 euro del contributo + il 90% del prezzo di copertina dei libri venduti, per un totale (al netto delle spese di edizione, che possiamo quantificare in 2.000 euro) pari a 7250 euro. Riassumendo: una volta esaurita la tiratura lo scrittore si ritrova 1780 euro in meno nel portafogli, l’editore si ritrova 7250 euro in più nel portafogli. Tutto ciò grazie al contributo editoriale. Questo da un punto di vista economico.

Da un punto di vista deontologico, la questione si fa più complessa. Qui entra in ballo la meritocrazia (e da qui in poi citerò il mio “Manifesto contro il contributo editoriale”). So per esperienza che della meritocrazia importa a pochi, ma tant’è. Poniamo questo caso, tutt’altro che inverosimile: una casa editrice ha intenzione di varare una collana dedicata al romanzo noir, e cerca dieci scrittori da pubblicare. A rigor di logica la casa editrice passerà al vaglio tutto il materiale giunto in redazione e stabilirà la rosa dei dieci autori cui fornire una chance di pubblicazione. Ammettiamo che sia rimasto libero un solo posto. Se la casa editrice è a pagamento, e offre l’ultimo contratto disponibile a un Autore di grandi capacità ma impossibilitato a fornire la cifra richiesta (o più semplicemente contrario per principio a tali proposte), il posto vacante verrà offerto immediatamente a un altro Autore e a un altro romanzo, non previsti nel progetto iniziale. Ipotizziamo una parità di talento: a quel punto, cos’è che stabilisce chi è dentro e chi è fuori? Semplice: i soldi, e la volontà di fornirli all’Editore.

È evidente, in questo modo, che su base economica e quindi extra-letteraria, l’editoria a pagamento agevola alcuni scrittori e ostacola altri: non può dunque essere considerata in alcun modo una forma imprenditoriale egualitaria e meritocratica. Ed è questo il motivo principale per il quale tutti gli scrittori esordienti dovrebbero osteggiarla. Nel momento in cui il pagamento del contributo viene considerato invece un “fatto” personale, senza tenere in considerazione quel che esso implica per un numero non indifferente di altre persone… ecco che scatta la vanity press. Si guarda al proprio orticello, e si dimenticano – o non si considerano affatto – conseguenze e implicazioni. Esattamente come colui che getta una cartaccia pensando che tanto una in più o una in meno non fa alcuna differenza. Per cui chi accetta di pubblicare un lavoro pagando una parcella di 500 euro, ritiene erroneamente di aver fatto un affare e di essersi rivolto a gente onesta, ignorando che col suo decisivo apporto ha rafforzato un sistema volto a conferire maggiore rilevanza ai soldi dello scrittore piuttosto che alle sue capacità. Un sistema che altrove, e ad altri scrittori, potrà concedersi il lusso di reclamare non 500 euro, ma 2.000, 4.000 o 6.000, o anche più. Ignorando persino, e in ultima analisi, che chi oggi rafforza il sistema con 500 euro domani potrà pagarne le conseguenze e vedersi recapitare soltanto richieste di contributo pari a migliaia di euro. Al di là dei discorsi di natura economica, infatti, dare a credere che il contributo editoriale sia “buono” quando può fornire un tornaconto personale e “cattivo” quando non garantisce alcun tornaconto personale, è l’essenza stessa della vanity press. E a voler essere pratici: per ogni scrittore che giudica positiva la propria esperienza con l’editoria a pagamento, io posso citare 100 scrittori usciti – dalla medesima esperienza – col morale a pezzi e il portafogli sgonfio. Non si può chiudere gli occhi sulle esperienze altrui e universalizzare la propria, nel momento in cui si desidera giudicare in maniera seria un intero sistema.

La domanda di Angela ha scatenato una serie di mail di commento (più di 140), con ulteriori domande. Aldo Moscatelli ha gentilmente acconsentito a rispondere, per cui le aggiungiamo qui sotto, raggruppate per argomenti.

1 – A PROPOSITO DI VANITY PRESS E DEGLI EDITORI DI SE STESSI…
Moscatelli parla di vanity press per quelli che pagano e dice che lui ha aspettato un sacco prima di pubblicare il suo romanzo. Però lui ha pubblicato se stesso, non ha aspettato all’infinito. E chi non può diventare editore per autopubblicarsi e darsi una patente di normalità, che deve fare?

ALDO MOSCATELLI – Ho aspettato un sacco, sì. Grossomodo dieci anni (ma quanta gente oggi resta al palo per dieci anni?), pur di non darla vinta agli editori a pagamento. Testardo a tal punto da mettermi in gioco come editore, a mia volta, passando dall’altro lato senza mai dimenticare lo schifo che ho dovuto ingoiare in anni di gavetta, in modo da poter “aiutare” altri scrittori. Il mio modello è Roberta Kalechofsky, che negli States è a suo modo un’icona. Ho rifiutato anche contratti di editori non a pagamento, per la cronaca: se una cosa non mi convince non scelgo il male minore. Tenetelo a mente. Noto che altri, invece, ragionano seguendo l’adagio: “se non puoi batterli unisciti a loro”.
Quello che ho fatto io può farlo chiunque, senza fondare necessariamente una casa editrice. Visto che quando si parla di editoria a pagamento viene nominato sempre Moravia, per il self publishing io cito Palazzeschi, Montale e la Merini: nomi grossi. E qui la patente di normalità non c’entra nulla, si tratta semplicemente di farsi leggere e dare un calcio nel culo a un sistema editoriale marcio. Vi fanno male i piedini?
Per pubblicare la mia opera prima, Il Filo mi chiese la modica cifra di 2.400 euro, tiratura pari a 500 copie, 10% per i diritti d’autore. Io l’ho pubblicata con una casa editrice appena nata, che all’inizio snobbavano tutti. Quando sei uno scrittore sconosciuto e pubblichi con una casa editrice alle prime armi, le difficoltà per ottenere visibilità sono le stesse che incontra l’autore di un testo senza logo. Se non pubblichi vieni considerato un aspirante autore come tanti, se pubblichi con una piccola casa editrice sconosciuta… vieni considerato uno scrittore esordiente come tanti. Altro che “patente”. Mettendomi in gioco, io ho coperto tutte le spese affrontate e in più ho guadagnato un migliaio di euro circa. Li ho utilizzati per pubblicare i libri degli altri, quei soldi, ma volete mettere la soddisfazione?
Attenzione: tra parenti e amici avrò piazzato sì e no venti copie, niente pubblicità sui giornali, sulle riviste, in radio, niente distribuzione in libreria o roba del genere. Nemmeno una presentazione mirata. Solo il tam tam fra i lettori della blogosfera e molte recensioni nei portali: un lavoraccio, ma si tratta comunque di roba alla portata di tutti. Siamo nel 2010. Desiderate un codice ISBN per far circolare il vostro testo nelle librerie virtuali? Acquistatelo, l’ISBN non è un’esclusiva delle case editrici, e i codici hanno prezzi più che accessibili. Verrà a mancare un editing esterno, lo so, ma una marea di case editrici a pagamento stampa l’opera così com’è, e lo stesso discorso vale per la correzione della bozza. La differenza è che questi tizi vi chiedono fior di soldi per pubblicarvi. Va da sé comunque che nei riguardi del self publishing un minimo di tolleranza in più è sempre contemplata, non scordatelo. Non credo nemmeno di essere stato furbo, a suo tempo: semplicemente, avveduto. Basta saper far di conto. Quante copie avrebbe dovuto piazzare Il Filo per garantirmi i risultati che ho ottenuto con le mie sole forze? Per la copertura della spesa affrontata (2400 euro), un numero di copie pari a 2087. Per la copertura della spesa affrontata + un guadagno di circa mille euro, un numero di copie pari a 2957. Ora vi prego di telefonare ai tipi del Filo, o al direttore di qualsivoglia casa editrice a pagamento, e chiedere quanti dei loro autori sconosciuti vendono tra le 2087 e le 2957 copie. Fatemi sapere.

2 – A PROPOSITO DEI SERVICE EDITORIALI…
Sei contrario anche ai service editoriali o solo agli editori a pagamento?

ALDO MOSCATELLI – Ne parlo nel mio e-book. Dal momento che questa intervista nasce come commentario all’opera in questione (Le invio un manoscritto. Attendo contratto), spero di non apparire antipatico se chiedo che l’opera venga letta, onde evitare di scrivere cose già dette.

3 – A PROPOSITO DEGLI EDITORI CHE RIFIUTANO UN LIBRO DI UN AUTORE CON GIUDIZI STRONCANTI, POI PUBBLICANO ROBACCIA COMMERCIALE…
Perché devo arrendermi di fronte al parere di un editore che pubblica gratis cose che io, se fossi editore, non pubblicherei mai? Ma li avete letti certi libracci pubblicati da editori “normali”, cioè senza contributo? Gli editori scelgono i libri secondo il loro gusto e il marketing, ma non sono divinità con potere di vita, di un libro, o di morte. Quindi pubblico con chi mi pare, anche pagando, se non esiste alternativa, a parte la non pubblicazione. E questo perché penso di dire cose interessanti e leggibili, non perché mi credo pronto al Nobel.

ALDO MOSCATELLI – Non prendiamoci in giro: tutti gli scrittori pensano di dire cose “interessanti e leggibili”. Se un editore “free” dovesse dare ascolto all’opinione che ogni autore ha del proprio lavoro, si ritroverebbe a pubblicare (sulla parola) cento romanzi al mese. Pubblicare a pagamento soltanto perché si ritiene di aver scritto “cose interessanti e leggibili” è una scusa che non tiene, d’altronde l’editoria a pagamento fa leva proprio su questo amor proprio, fomentandolo attraverso complimenti e accostamenti altisonanti, fuori dal mondo.
Questione “gusto personale”: un editore serio non agisce certo in quel modo. Fa comodo pensarla così. Ci sono degli elementi oggettivi attraverso i quali giudicare un testo, e soprattutto una politica editoriale cui tener fede. Non è questione di “ah, un epigono del mio amato Moravia, adesso lo pubblico”. Personalmente non seguo alcun gusto personale, lo dimostra il fatto che io – noto appassionato di letteratura di tensione – in catalogo non ho nemmeno un horror.
Pensate che alcuni editori pubblichino “libracci”? Evitateli, dov’è il problema? Un editore che investe di tasca propria si mette comunque in gioco presso i lettori, se pubblica cazzate il pubblico gli fa “ciao” con la manina e lui paga le conseguenze dei suoi errori, prima o poi, e viceversa (io tempo fa ho venduto una copia di “Lapsus” – romanzo di Flavio Pagani – a una lettrice, dopo venti giorni quella stessa persona ha ordinato l’intero catalogo). Invece all’editore a pagamento non importa un emerito di pubblicare porcate, tanto lui ha coperto tutte le spese – o quasi – già in partenza.

Tutt’altro discorso per le leggi di mercato. Su quello sono d’accordo. Anche fra gli editori non a pagamento, infatti, le esigenze commerciali la fanno da padrona. Spesso (non sempre) a fare la differenza è l’appetibilità. Volete un consiglio? Non spedite raccolte di racconti in giro, un po’ tutti affermano di gradirle poi però ci pensano su cento volte prima di (non) pubblicarle. È la solita tiritera: “i lettori non amano i racconti, le novelle non hanno mercato”. Vi prendono in giro, insomma, visto che nei siti non specificano le scarse chance di pubblicazione di certi generi letterari, che pure richiedono. Io nel mio piccolo combatto questa tendenza, ma non sono l’unico. Cito nuovamente Flavio Pagani: tutti gli editori gli dicevano che era bravo ma che il suo romanzo era troppo strano, non gliel’avrebbe pubblicato mai nessuno. Adesso è nel catalogo dei Sognatori. E ho pubblicato una raccolta di racconti di vari autori (“Il sussurro delle cose nascoste”) facendo scouting, niente selezione attraverso concorsi.
Ad ogni modo, se qualcuno sta pensando che il sottoscritto voglia lanciare un messaggio del tipo: “abbasso l’editoria a pagamento, affidatevi all’editoria gratuita che è SEMPRE seria e professionale”, non ha capito nulla. Io combatto la cattiva editoria, ovunque si annidi. Se il marcio alberga soprattutto – ma non esclusivamente – in quella a pagamento, non è un caso e nemmeno colpa mia. Il giorno in cui qualcuno mi dimostrerà, inoltre, che in una pubblicazione con contributo conta più il talento che il denaro, allora la smetterò di considerare l’editoria a pagamento una forma deviata e farsesca di (para)editoria. Fin qui non ci è riuscito nessuno, comunque.
Faccio presente infine che molti editori a pagamento sostengono (spesso senza addurre spiegazioni credibili) di essere differenti da altri editori a pagamento, differenti cioè da quelli che “lucrano sugli scrittori esordienti”. Anche questa voglia di differenziarsi non è per niente casuale, vi invito a rifletterci su.
Passiamo all’altra faccia della medaglia: gli scrittori sono i primi a vendersi al mercato, metà dei manoscritti che ricevo sono strapieni di clichè modaioli: preti pedofili, fine del mondo nel 2012, giovani vampiri e così via. E un editore sceglie cosa pubblicare in base al materiale che giunge in redazione. La categoria degli scrittori esordienti (globalmente intesa) si facesse un esame di coscienza, grazie.

4 – A PROPOSITO DELLA SCELTA DI PUBBLICARE A PAGAMENTO QUALSIASI COSA…
Io credo che tutto questa polemica sia una perdita di tempo: con i miei soldi faccio quel che mi pare, mi iscrivo a una palestra, faccio un viaggio o pubblico un libro. Non è illegale e l’immoralità ce la vedi solo tu.

ALDO MOSCATELLI – Che frase illuminante! Chi ritiene che iscriversi in palestra, fare un viaggio e pubblicare un libro siano la stessa cosa, non può che foraggiare con entusiasmo l’editoria a pagamento. D’altronde che differenza c’è tra mostrare ad amici e parenti le foto del viaggio in Messico, due chiappe sode o la copertina di un libro recante il proprio nome? L’importante è sentirsi al centro della scena. Se la chiamano Vanity Press ci sarà un motivo, no? Chi ritiene invece che tra “pubblicare un libro”, “acquistare un frigorifero” o “rifarsi il seno” ci sia un po’ di sana differenza, magari preferisce arrivare al traguardo in altri modi.
“Non è illegale”: mai sostenuto il contrario. L’editoria a pagamento è legale. Come un mucchio di altre cose. Anche la coprofagia lo è, per esempio.

5 – A PROPOSITO DEL FATTO CHE, SE PAGHI, LO SANNO TUTTI E SEI SEGNATO A VITA…
Mica conviene pagare. Tanto ormai si sa chi pubblica a pagamento e chi no, tipo l’Albatros del Filo, e anche con Lulu e gli altri service, quindi sei già bollato in partenza come uno sfigato che nessuno vuole e il tuo libro non lo compra nessuno. Il mio, fatto con Lulu, non è stato non dico recensito, ma manco segnalato, a parte voi. E non ho i soldi e/o le raccomandazioni per ottenere belle recensioni da chi si fa pagare o da chi osanna solo gli amici degli amici.

ALDO MOSCATELLI – Credo che il senso dell’intervento sopra riportato sia questo: “non pensiate che pubblicando a pagamento, o con Lulu, il vostro libro abbia chissà quali opportunità: nessuno lo segnalerà e tanto meno lo comprerà”.
Salvo rare eccezioni, ritengo che sia vero. Ci sono troppe testimonianze al riguardo, scarseggiano quelle di segno contrario. E se le pubblicazioni a pagamento e i rispettivi autori, pur con le eccezioni del caso (che alla fine confermano la regola) non godono di una gran fama, un motivo deve pur esserci. Sarò anche il solo a vederci qualcosa di sbagliato, in questa forma di editoria, di certo non sono l’unico a giudicare con sufficienza certi fenomeni. Leggetevi questo articolo di Raffaella Catalano per avere una conferma (ma potrei citarne un centinaio): www.gerypalazzotto.it
Aggiungiamo il fatto che si moltiplicano i siti, i blog, i forum, le riviste, le e-zine che si rifiutano di dare spazio promozionale alle pubblicazioni a pagamento.

Giusto? Sbagliato? Non apro bocca, sappiate però che le cose stanno così.
Lulu rappresenta un’alternativa, però debolissima. È un fenomeno passeggero, si sgonfierà nell’arco di pochi anni. I suoi libri (troppi, davvero troppi, d’altronde non c’è filtro) non entrano nel circuito, sono un mondo a parte. Ribadisco: salvo rarissime eccezioni.
Per quanto riguarda segnalazioni e recensioni, non si può certamente pretendere che siano i siti ad accorgersi di voi. Per me che sono un piccolo editore è la stessa storia, ne parlo nell’e-book. Vuoi una recensione? Devi farti notare, prendere contatti, spedire copie omaggio. Funziona così, per i piccoli editori e per gli scrittori sconosciuti. Se ti affidi a un editore incapace (a pagamento o meno) o pubblichi con Lulu (che è fondamentalmente una tipografia), è chiaro che nessuno parla del tuo lavoro. A meno che non sia tu a farti il mazzo, segnalandolo qua e là. Però non esageriamo, non credo che occorra sborsare soldi o farsi raccomandare per ottenere uno straccio di visibilità. Io non ho mai pagato nessuno (c’ha provato una tizia, anni fa, e le è andata male), tuttavia le recensioni dei miei libri (in rete) sono davvero tante. Dipende anche dalle persone a cui ti rivolgi: io vengo regolarmente snobbato dai critici blasé, però ho un buon seguito presso i lettori comuni. Ho costruito la base di questo seguito nei blog. Poi c’è stato l’interesse delle fanzine indipendenti, dei siti letterari e così via. Ho raccolto anche tanta ostilità, ma è nell’ordine naturale delle cose. Sempre meglio che raccogliere indifferenza. Non voglio negare che tante recensioni siano influenzate da simpatie e antipatie, anzi, nel mio e-book lo dico chiaro e tondo. Aggiungo però che gli spazi liberi e indipendenti ci sono, occorre armarsi di pazienza e cercarli.
Ad ogni modo, non esistono solamente il print on demand e l’editoria a pagamento. Aprite gli occhi. Non voglio passare per il buon padre di famiglia, ma credetemi: oggi la situazione è ben diversa rispetto a un tempo. Quando il sottoscritto assemblava faticosamente i suoi primi tentativi letterari, grazie a una macchina per scrivere alla quale rimane terribilmente affezionato, sulla politica delle case editrici non si sapeva nulla. Niente forum, niente blog, niente siti, niente social network. La Microsoft non sapeva nemmeno cosa diavolo fosse, Internet.
Oggi qualcuno può affermare: “tanto ormai si sa chi pubblica a pagamento”. Beh, anni fa invece no. Tutto era silenzio. E molti mentivano, sì, o tacevano per interesse. Il senso di frustrazione era terribile. Pensate un po’: non esistevano il print on demand e gli e-book, non potevi nemmeno sfogarti su un blog o su FaceBook. Rimanevi isolato, col tuo manoscritto destinato alla polvere.
Oggi è possibile carpire informazioni, è possibile dialogare con altri autori. L’esperienza altrui come base sulla quale formarsi un’opinione. Le alternative mancavano un tempo, non oggi. A me sembra che oggi, in tanti scrittori ma non tutti – per fortuna, manchino la grinta, la creatività, la capacità di mettersi in gioco e in discussione, la voglia di non abbassare la testa, di non arrendersi al sistema sclerotizzato che un po’ tutti detestano e un po’ tutti alimentano.
Volete pubblicare a pagamento? Liberissimi di farlo, signori miei, ma non tirate in ballo scuse balzane, del tipo “tanto non c’è alternativa”.
Ciò nonostante, se va bene a voi… buona editoria a tutti!
E adesso perdonatemi, ma devo tornare al lavoro, l’intervista m’ha preso la mano e ho la posta da controllare. Toh, una mail. Vediamo cosa dice (copio e incollo, anche se qualcuno penserà che la sto inventando di sana pianta):
Buonasera, volevo gentilmente chiederVi un opinione sul romanzo editato dal sottoscritto con la Casa Editrice […], con la quale ho grandissimi problemi e scarsissimi risultati nonostante l’oneroso importo da me versato…  

REDAZIONE – Ringraziamo Aldo Moscatelli per la disponibilità e la cortesia, oltre che per la pazienza; e tutti gli autori che ci hanno scritto, per l’appassionata partecipazione: si vede che l’argomento cattura l’interesse!
Speriamo di aver sciolto i vostri dubbi; in caso contrario, siamo qui…