L’UOMO IN ORIENTE E IN OCCIDENTE di Lilith

La costituzione dell’Uomo in Oriente e in Occidente

Ho molto apprezzato l’articolo intitolato “La mente” di Vincenzo Pollicoro, pubblicato sulla rivista Viveka e mi sono particolarmente soffermata sul concetto di “aggregati” della filosofia buddhista, intesi come combinazioni dinamiche di elementi ed energie che operano sinergicamente e si modificano continuamente, suddivisi in “aggregato della materia”, “aggregato delle sensazioni”, “aggregato delle percezioni”, “aggregato delle formazioni mentali” e “aggregato della coscienza”, nonché sulla parallela ripartizione vedantina dei cinque panchakosha, ovvero cinque involucri dal centro verso l’esterno, che vanno dal corpo fisico, al corpo di energia, al corpo mentale, alla pura coscienza.

A fondamento della considerazione che queste non siano soltanto astruse nozioni filosofiche, ma effettive categorie dell’essere vi è il fatto che esse trovano corrispondenza nella concezione strutturale dell’uomo elaborata dalla tradizione ermetica e alchimista occidentale, che ravvisa l’esistenza di quattro corpi:

a) un ente terrestre, o corpo fisico, sul quale agisce la forza della Terra, che regge la modalità greve, dura e tangibile del nostro corpo animale (“il nostro piombo”), al quale è strettamente legato l’elemento eterico, o più propriamente vitale da cui è compenetrato;

b) un ente acqueo o lunare (“fluidico”), detto anche corpo astrale, ovvero il “ka” degli antichi egiziani, cui è riferibile la nozione generale di “doppio”, sede della sfera emozionale e della sensitività da cui scaturisce la potenza dell’immaginazione;

c) un ente fluidico più sottile, detto anche corpo mentale, caratterizzato da un’intima compenetrazione con il principio spirituale (mercurio congiunto al fuoco), ovvero con l’intelletto;

d) un ente spirituale, che è il Sole o l’Oro nell’uomo, principio di una stabilità spirituale, radiante e non inerte, ovvero la potenza del fuoco, definita nel Corpus Hermeticum come “essenza incorporea, non mossa da qualcosa, né verso qualcosa, né per qualcosa, perché essa è una forza prima e ciò che precede non ha bisogno di ciò che segue”.

 

I Cabalisti configurano la struttura dell’essere umano attraverso l’albero della Vita, nel quale le dieci Sephirot formano tre figure triangolari, definite Superni: il primo (triangolo superno), l’unico rivolto verso l’alto, composto da Kether, Binah e Chokmah, costituisce la parte spirituale dell’uomo, rappresentativa della consapevolezza e del Principio Supremo, che si differenzia nelle polarità maschile e femminile; il secondo (triangolo etico), costituito da Geburah, Chesed e Tipharet, è rappresentativo delle forze che governano la vita e il terzo (triangolo astrale), costituito da Netzach, Hod e Yesod, che rappresenta la componente magica ed energetica dell’uomo, cui segue il sephirot Malkut, che rappresenta il legame con la materia.

La più complessa suddivisione alchemica e cabalistica dell’uomo viene trasfusa, nell’ambito della tradizione cattolica, nella tripartizione Corpo – Anima – Spirito, nella quale lo Spirito costituisce l’elemento soprannaturale, portatore della forza aurea e solare, mentre l’anima, portatrice della forza lunare e mercuriale, rappresenta l’insieme delle energie psico-vitali, che costituiscono l’elemento intermedio tra il corporeo e l’incorporeo e danno origine alla vita. Se nel Cristianesimo delle origini questa suddivisione era chiara, nei giorni nostri in Occidente si tende a identificare nel termine Anima i concetti di Spirito e Anima e a contrapporre l’Anima al Corpo. Sarebbe invero più corretto, dal punto di vista metafisico, associare l’anima al corpo, espressioni dell’io psico-fisico, distinguendoli dallo Spirito.

Questa semplificazione dell’originaria dottrina non è casuale, ma costituisce il portato dell’attenzione che la nostra civiltà ha progressivamente rivolto all’elemento corporeo e materialistico, piuttosto che ai piani superiori dell’essere. E’ infatti significativo che sia stato dimenticato lo Spirito, ovvero l’elemento trascendente e si sia riproposta nel binomio corpo – anima e dunque a livello immanente, l’esigenza di un’interpretazione dicotomica e dualistica del reale. Ne è scaturito il paradosso di contrapporre tra loro l’anima e il corpo, che secondo l’originaria dottrina erano strettamente connessi.

Oggi si attribuisce soverchia importanza alle esigenze del corpo, perseguendo come obiettivo primario l’eterna giovinezza ed esorcizzando in vari modi i fantasmi della morte, del dolore, della malattia e del decadimento fisico. Da questa tendenza ideologica generalizzata verso la sacralizzazione della vita fisica non è immune, anzi ne è portatrice, la cultura cattolica dominante e esempi di ciò possono essere le campagne condotte nel campo della morale sessuale (contro la contraccezione di ogni tipo e l’aborto), della bioetica (si veda il recente dibattito sull’utilizzo delle cellule staminali) e in genere per la difesa della vita. Orbene, con queste considerazioni non si intende sminuire l’importanza del corpo e della vita fisica e il lodevole intento che sorregge i movimenti che perseguono la tutela dei diritti della persona, ma si vuole solo evidenziare l’errore metafisico in cui sta incorrendo la civiltà occidentale.

Invero, nella concezione buddhista e orientale il corpo ha importanza come strumento attraverso cui “la mente” può sperimentare la dimensione fisica, al fine di esaurire i legami karmici e conseguire la liberazione dalla ruota del samsara. Il corpo è dunque un vestito, che viene abbandonato nel momento in cui non è più utile, per assumere un altro “vestito”, attraverso la catena delle incarnazioni. Secondo la concezione orientale, a parte l’elemento più propriamente vitalistico legato al corpo, l’anima preesiste al corpo fisico e si lega ad esso con la nascita, per abbandonarlo con la morte.
Nella vigente concezione occidentale, invece, la vita fisica è di per sé sacra, tanto che si esclude la preesistenza dell’anima, che viene creata al momento del concepimento, ovvero dell’origine della vita fisica. Ciò conduce all’improbabile conseguenza che la divinità sia necessitata a creare un’anima immortale in conseguenza del concepimento di una vita fisica.

Ulteriore conseguenza di questa difforme concezione tra Oriente ed Occidente è che, mentre il primo ha ben chiara la distinzione tra salvezza – rinascita a una nuova vita fisica – e liberazione – uscita dalla ruota del samsara, a seguito della suprema illuminazione -, l’Occidente conosce soltanto la salvezza, senza averne un’idea chiara, non conoscendo la dottrina della reincarnazione. Tutto ciò appare essere il segno dei tempi. I grandi rishi dell’India da molto tempo hanno preconizzato che, al momento attuale, l’umanità è immersa nell’oscurità “tamasica” del Kali yuga, nella quale ha assunto grande rilievo la dimensione fisica e materialistica e si è invece perduta la visibilità della dimensione trascendente, ovvero dei piani superiori dell’essere.

 

Autore: Lilith
Messo on line in data: Novembre 2006