ALTARI E CULTI di Andrea Romanazzi

Tradizioni afroamerindie: dal Terreiro al proprio altare di culto

Cosa è un luogo di culto?
Come si può realizzare nell’ottica di culti sud Americani?
Cerchiamo, con questo articolo, di fare un po’ di luce sulle gerarchie religiose di culti sudamericani quali Santeria e Candomblè cercando però di dare suggerimenti a chi, anche se geograficamente lontano da tali aree, voglia comunque avvicinarsi a tali pratiche.

La tradizione magica presente nel Nuovo Continente è il frutto di una commistione di culti che riportano all’animismo, al feticismo e al totemismo africano, culti atavici gestiti spesso da un “intermediario” tra l’uomo e la divinità, un individuo che conosce il linguaggio degli dei e che può comunicare con Loro. In Africa quest’uomo è lo stregone, il mganga, “colui che gestisce la forza”, o il “signore della parola“.
Il Magus africano è una persona potente perché possiede il sacro potere e lo deve manifestare con atti plateali, riaffermando, in ogni rito, il suo ruolo fondamentale nella società. In Africa i rituali religiosi erano svolti a diretto contatto naturale. Alle periferie dei villaggi venivano lasciati porzioni di foresta incolta all’interno dei quali officiare i rituali. Solo successivamente dall’open-space naturale si passa alla realizzazione di luoghi di culto dedicati, i prolegomeni dei terrieros sudamericani.

All’interno del Tempio esiste una vera e propria gerarchia, che in realtà cambia da tradizione a tradizione, al cui vertice è presente il Babalawos, il custode dei segreti del destino e di Ifà, seguono poi i Babalorishà, se maschi, oppure le Mamalorishà se femmine, detti anche Pai-de-santo, ovvero Mãe-de-santo.
Gli Iniziati prendono il nome di Filhos-de-santo, ovvero “figli di santo”, che seguono un cammino di studio con l’aiuto appunto dei membri più anziani del Terreiro. Essi subiscono un vero e proprio rituale di iniziazione, sotto la supervisione di un Pae o di una Mae, e rituali ben definiti come bagni battesimali con acqua, sapone di cocco, arance e garofani. In realtà, soprattutto fuori dalla tradizione del Terreiro, i seguaci “eclettici” di questi culti si presentano in modo profondamente differente.

L’altare privato del seguace delle varie Regle appare come una sorta di cosmo in miniatura. Normalmente è diviso in una parte pubblica, cioè visibile a tutti, e in una privata, chiamata Congá o Pejì, dove, di solito, sono presenti i feticci più “potenti”, spesso di origine africana. In ogni caso sono suddivisi in tre parti, una raffigurante il Mondo Superiore, una il Mondo di Mezzo e l’ultima il Mondo Inferiore.
La parte inferiore, detta Boveda, è dedicata normalmente al culto degli Eguns, gli Antenati, cui sono offerti Ebbò quali fiori, sigari, bevande alcoliche e differenti tipologie di cibi. In qualunque cerimonia e cultuazione gli Antenati e gli Spiriti dei Defunti sono invocati per primi, come nella tradizione più marcatamente africana.

La parte centrale e superiore è normalmente dedicata agli Orishas.
Esisteranno poi almeno due altari dedicati a Exù o Eleggua, l’energia del movimento, il “messaggero” degli spiriti. Il primo è rigorosamente posto al di fuori dell’abitazione/terreiro, in una piccola casetta costruita appositamente, anche tipo buca per le lettere, chiuso a doppio giro da catene e lucchetto. Egli è il portiere del luogo, colui che impedisce con violenza ai nemici di entrare, ma anche il Santo più pericoloso, tanto da esser tenuto sempre sotto chiave. Le offerte vanno poste fuori dalla sua alcova, e consistono in sigari e monetine.
Un secodo Exù è invece posto dietro la porta di ingresso; egli è la versione “bianca” del precedente, il genius loci, il protettore della dimora che arresta ogni maleficio e cattiva influenza. All’interno della casa poi si trovano gli altari agli Orishas.

Deve essere chiaro che sia nel Terreiro che nella singola casa dell’Umbandero gli altari non possono essere dedicati a un solo Orisha, ma a un pantheon più o meno grande. Gli altari possono essere delocalizzati nelle varie stanze o in un unico ambiente cercando di evitare la presenza contigua di Orishas le cui energie non sono compatibili, come ad esempio Ogum e Xangò.
Ogni angolo della casa/terreiro dovrebbe essere dedicato a un Santo, tenendo conto delle incompatibilità esistenti tra gli stessi. Nella stanza principale è posto il Santo di Testa del fedele, seguono poi tutti gli altri. Ad esempio Yemanjià o Oshun possono essere poste laddove esiste un dominio delle acque, ovvero nel bagno, Ogum o Shangò nel luogo dedicato al lavoro o allo studio, la cucina è invece dominio Nanà, protettrice del focolare domestico.

Nella stanza dei bambini può esser posto l’altare ad Ibeji, mentre normalmente la stanza da letto rimane scevra oppure può essere sobriamente dedicata a Ewa. Il giardino o il balcone, invece, è dedicato all’Orisha dell’area aperta, ovvero Ossae. Non è necessario, anche perché spesso costoso, possedere statue dei vari Santi, anche stampe o semplicemente sassi colorati con il pigmento dell’Orisha possono andare più che bene. Se guardiamo ai singoli curanderi meso e sud americani essi utilizzano feticci realizzati anche con carta o legno nel quale viene confinata l’energia vitale. Sarebbe opportuno, anche in forma metaforica o magari avendo un pilastro nel centro della casa/terreiro, impostare un luogo di culto ad sacro palo Iroko, ovvero all’elemento priapico.

In realtà quanto detto sin ora non è indispensabile: lo spazio sacro può essere anche molto piccolo, può bastare un altare con gli elementi principali fin qui elencati o esclusivamente mirato allo scopo da raggiungere (denaro, salute, amore…). Una volta realizzato l’altare il fedele deve ovviamente effettuare una serie di riti quotidiani, offerte di candele, cibo, fiori e soprattutto non devono mancare i bicchieri d’acqua per placare la sete degli Spiriti, spesso segnati con il pontos del Santo o dell’entità a cui è offerto. Nell’effettuare l’offerta non servono complessi rituali, gli Spiriti conoscono il praticante che li ripaga dei loro servigi e li ringrazia nella maniera più semplice e naturale.

 

Autore: Andrea Romanazzi
Messo on line in data: Maggio 2014
Il testo è tratto da Lo Sciamanesimo Afro-Amerindio, Anguana Editrice.