L’ARA DI TORRICELLA di Gaetano Dini

Montefeltro magico

Montefeltro, luogo di monti, storia e castelli. E misteri…
Procedendo da Rimini lungo la S.P. Marecchia, passando in mezzo alle “forche caudine” di Verucchio e Torriana si entra nella Media Valmarecchia e poi continuando si penetra nell’Alta Valmarecchia.
Ci troviamo nel Montefeltro magico e misterioso.

Inesorabile scenario montano, questo, che continua inalterato fin dove inizia la Toscana al termine della vallata dove scorre il fiume Marecchia sfociante a Rimini.
D’inverno brina sui campi e neve sui monti che fanno da cornice.
In primavera ed estate, con la bella stagione c’è invece un tripudio di vegetazione con distese di fiori vari, specie margherite bianche e gialle in bella vista su prati verdi, boschetti accattivanti spruzzati qua e là con qualche grosso masso vicino a m0′ di contorno, il tutto racchiuso sotto l’azzurro/blu del cielo.
In autunno predominano invece le varie tonalità di colore delle foglie, miscelato tra il giallo e il rosso. Il vento soffia sovente.

E’ questa, per noi montefeltrani, la nostra piccola Monument Valley americana.
E procedendo dentro questa vallata all’orecchio sensibile sembra come di sentire una sinfonia montante di musica classica tale a quella che viene tradizionalmente suonata nelle navi da crociera quando queste si lasciano dietro le acque argentine ed entrano in quelle dell’Antartide trovandosi a navigare in uno scenario imponente e maestoso fatto di alte creste di ghiacci e di semoventi iceberg, scenario questo che esige una musica di quel tipo.

 

L’Ara di Torricella

Procedendo lungo la S.P. Marecchia si arriva a Novafeltria, la si supera e poco dopodeviando dalla provinciale, si giunge nella bella frazione di Torricella.
Siamo in provincia di Rimini. Si prosegue lungo la strada per un 100 metri e sulla sinistra, semicoperta alla vista dal boscosi trova un’antica ara sacrificale umbra.
Ci sono i cartelli turistici di segnalazione per arrivarci. Dal ciglio della strada all’ara saranno 15 metri di distanza.
Arrivato lì ho fatto naturalmente delle foto.

Tutta l’Alta Valmarecchia era stata popolata dagli Umbri fin dal X/IX sec. a. C.
Il popolo degli Umbri, infatti staccandosi dai Sabini, praticò il proprio “Ver Sacrum” andando verso Nord. 
Dopo gli Umbri sono arrivati in queste zone gli Etruschi, i Galli Senoni e in seguito i Romani.

Questa di Torricella era un’ara sacrificale antico-umbra, si pensa riservata agli animali per leggere il colore del loro sangue, interpretare lo stato delle loro viscere.
Quelle popolazioni antiche officiavano per ottenere responsi sulla regolarità dei cicli stagionali, sulla clemenza degli agenti atmosferici, sulla fertilità dei campi, solidale questa alla fertilità femminile in senso lato, sia umana che animale del luogo, sulla regolarità dei loro parti senza intoppi. Quelle popolazioni officiavano anche per il mantenimento della pace e della buona armonia tra loro.


L’ara di Torricella, o vasca rupestre che dir si voglia, è un masso di arenaria con vasche
 e scanalature sagomate dallo scalpello di quegli antichi uomini per immolare e poi far scolare e raccogliere il sangue degli animali sacrificati.
Inoltre la conformazione di quel grosso masso ricorda quella di un fegato e tutti sappiamo quanto la disamina di questo organo fosse importante nelle antiche pratiche aruspicine.
Quella di Torricella doveva essere un’ara che chiamava al rito le popolazioni umbre che abitavano negli odierni comuni di Talamello, Novafeltria, Maiolo, Pennabilli, Sant’Agata Feltria la parte del suo comune che dà sul fiume Marecchia.
Un’altra ara sacrificale antico umbra si trova nella zona di Montefotogno in comune di San Leo vicino a Ponte Santa Maria Maddalena, frazione che si trova lungo la S.P. Marecchia e poteva richiamare a officiare gli Umbri che abitavano nelle odierne zone di Secchiano, Ponte S. Maria Maddalena, San Leo e Pietracuta.

Non possiamo escludere che queste are sacrificali siano state utilizzate religiosamente anche dalle altre popolazioni che si sono succedute agli Umbri nella zona, gli Etruschi, i Galli, i Romani.
Sempre mondo pagano era il loro.
Gli studiosi ritengono che con la fine del mondo pagano e l’avvento del Cristianesimo
il masso di Torricella, ora non più considerato ara, fu adibito dalle popolazioni del luogo
a svolgere tranquille attività di vita quotidiana come la raccolta di acqua piovana, il pestaggio di graminacee, di legumi.

Era metà novembre quella volta, ero solo attorno al masso e devo dire che anche se erano le 11,30 di mattina dopo qualche minuto che ero lì in mezzo al boschetto, nel silenzio e con un venticello che faceva stormire le fronde dei rami, ho sentito l’esigenza di andarmene perché l’atmosfera del tutto aveva assunto un che di inquietante per i miei gusti.
L’è mei andè via” (è meglio andare via), così ho pensato ed ho fatto.

Ed invece ho sbagliato ad andare via.
Di fronte a queste testimonianze della natura che ci si parano davanti silenziose ed eloquenti insieme, bisogna saper vincere l’inquietudine e rimanere astanti per assaporare le giuste atmosfere e percepire i messaggi antichi che promanano da esse.
Sono pietre queste che cantano una propria silenziosa melodia.
Riverbera infatti oggi a noi da quel masso antico di Torricella l’esperienza del sacro di quelle popolazioni di ieri.
L’esperienza dello spazio sacro era da loro vissuta come un “Orientatio”, un procedere cioè verso un centro sicuro per allontanarsi dalla vertigine di un disturbante disorientamento.

Era quello un ancestrale mondo pagano in parte anche sciamanico.
Quei monoliti su cui gli antichi officiavano fungevano infatti da “pietre di transito, di passaggio” dal mondo del visibile a quello dell’invisibile, retaggi di un antecedente epoca litica sacrale fatta di pietre grandi che offriva intonse agli uomini la natura e di pietre piccole lavorate come selci simboliche dalla mano dell’uomo.
Dimensioni evocative così intense si poterono riprodurre nelle successive religioni storiche solo con le esperienze di vita anacoretica in luoghi deserti ed isolati.
In quei tempi pagani e sciamanici insieme si aveva invece una partecipazione corale al rito da parte del gruppo, della comunità.

I monoliti come quello di Torricella, are sacrificali o vasche rupestri che si vogliano chiamare, sono monumenti offerti spontaneamente dalla natura, non costruiti ma solo sagomati dalla mano dell’uomo, cattedrali naturali che contengono l’impronta dell’infinito, dell’assoluto.
Arti figurative quelle plasmate ed offerte dalla natura e che portavano in se la dimensione della trascendenza in uno scenario austero, silenzioso e dolce insieme. Erano quelli degli spazi sacri che non incalzavano gli antichi uomini chiedendo loro reazioni emotive e sentimenti personali. Rappresentavano invece un’organizzazione sacrale dello spazio limitrofo visto come Imago mundi” costituito da boschi, sorgenti, villaggi, campi coltivati, luoghi questi che dovevano essere consacrati con riti e preghiere frequenti per poterli preservare dall’influenza del maligno.
E tutto in quel mondo doveva essere corale, partecipato ed indivisibile per raggiungere lo scopo.
Esperienze sacrali quelle relative ad un tempo cosmico sancito dai cicli di nascita, sviluppo, morte e rinascita.

Ed i riti delle comunità del luogo servivano a trasformare le “terrae incognitae” con i loro pericoli imprevisti e improvvisi in una campagna limitrofa, in una foresta vicina con i suoi odori silvestri di erbe, di muschi, di essenze nostrane, di fertilità segrete, zone di sottobosco umido ed ombroso, ma zone divenute amiche coi riti officiati dall’uomo e rese accessibile all’insediamento colonico mediante le tranquille opere di dissodamento e coltivazione.

I Latini quel luogo di rito comunitario lo chiamavano “Lucus” cioè il Luogo della foresta posta generalmente in pianura nel quale filtrava la Luce del sole passando tra le fronde delle piante.
Dalla parola Lux deriva infatti il termine Lucus cioè Luogo della Luce.
Lucus era quindi il luogo magico dove filtrava la Luce vincendo la semioscurità del bosco, della foresta ed era il punto esatto dove la comunità doveva officiare.
Le popolazioni antiche posero il proprio “Lucus” anche sulle cime dei monti limitrofi ai loro villaggi officiandovi periodicamente. Lassù avevano sagomato dei grossi massi ricavando altari e vani per appoggiare la strumentazione necessaria.
Per espletare i riti la popolazione saliva in processione con i sacerdoti dai loro villaggi al monte. Il masso di Torricella, anche se non si trova su un monte, faceva parte a pieno titolo della logistica liturgica del posto ed era un importante Lucus sacrale.

In un periodo successivo gli uomini costruirono edifici di culto, prima piccoli templi immersi nella natura non lontano dai loro villaggi poi in epoca più tarda templi dentro le città. I riti di quel mondo sacro pre-pagano e pagano erano invece officiati su altari naturali, massi, genghe ricoperti oggi da un’opacità storica dovuta all’usura del tempo così come vengono ricoperte le superfici dei sassi dal progredire del muschio.
E solo odierni occhi attenti sono in grado di togliere da questi antichi “convitati di pietra” la patina d’oblio che li circonda riportando così alla luce la loro giusta archeologia del simbolo all’interno di un ecumene del sacro che informava luoghi e comunità di quei tempi.

Quella mitologia e liturgia delle pietre affondava le sue radici storiche nelle epoche paleolitiche antecedenti a quelle dei metalli, proprie queste all’età del bronzo e del ferro.
Durante quei riti antichi il gruppo entrava in comunione con la natura circostante, con lo spirito dei boschi, dei campi e delle sorgenti e con lo spirito degli antenati. La roccia, il blocco di pietra portava infatti in se il senso di un’incorruttibilità statica avulsa dal divenire del tempo, fungendo così da giusto tramite per il necessario salto nell’invisibile.

Con l’urbanizzazione delle popolazioni ed il formarsi di città sempre più grandi, quel mondo silvestre popolato da spiriti immanenti pian piano si affievolì. Assursero d’importanza gli dei antropomorfi che andarono a costituire il pantheon
dei vari popoli inurbati. In ogni caso quell’Animismo antico continua ad investirci ancor oggi con tutta la sua improvvisa potenza e la sua carica di suggestività, legato com’è per vie misteriose a quell’arcaico mondo del sacro geometrico e visionario al tempo stesso.

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Settembre 2021
Immagini a cura dell’Autore