I CANTI XVI E XVII DELL’INFERNO di Gaetano Dini

Dante e il suo tempo: Canto XVI e XVII dell’Inferno

In questi canti Virgilio e Dante chiamano a sé il mostro Gerione, che sale su come se nuotasse anche se il suo è un volo aereo, dall’ottavo al settimo cerchio (quello dei Sodomiti), dove si trovano i due poeti.
Dante, su indicazione di Virgilio, si è sciolto la corda che aveva legata ai fianchi e l’ha data al poeta latino che, dopo averla raggomitolata, la getta nel baratro che separa il settimo dall’ottavo cerchio. 
Con l’uso di questa corda Dante aveva creduto, tempo addietro, di vincere con le sue sole forze la Lonza dalla pelle colorata, di vincere cioè l’animale simbolo di incontinenza per le passioni e di concupiscenza che è amore per il falso bene.
Secondo le mie considerazioni, ora invece il Poeta, con l’aiuto di Virgilio, si sente pronto all’impresa e fiducioso nella vittoria.

Sia per la Critica ufficiale sia per il dantista Luigi Valli, la corda rappresenta per la sua posizione sui lombi, la resistenza umana sia alle passioni della vita che alla lascivia sessuale. Essersela slacciata Dante e datala a Virgilio che la butta nel profondo sono gesti che fungono da esca per chiamare il mostro Gerione, facendogli credere che in alto lo stanno attendendo due dannati.
Mentre aspettano l’arrivo di Gerione, Dante scruta Virgilio e pensa: “Ahi quanto cauti li uomini esser dienno presso a color che non veggion pur l’ovra ma per entro i pensier miran col senno”.
Questa la parafrasi della Critica ufficiale: “Quanto devono essere cauti gli uomini rispetto a coloro (Virgilio) che vedono gli atti esteriori ma con la loro intelligenza penetrano nel pensiero degli altri”.
Secondo me, invece: “Quanto devono essere cauti gli uomini di fronte ai saggi (Virgilio) che non vedono solo le opere esteriori ma penetrano coi pensieri nel significato recondito delle cose”.

Che ci si trovi in un momento di intensi significati allegorici lo dice il Poeta con le seguenti terzine: “El disse a me: Tosto verrà di sovra ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna; tosto convien che al tuo viso si scovra”.
Parafrasi della Critica ufficiale: “Egli (Virgilio) mi disse: tra poco arriverà di sopra da noi ciò che io attendo e che il tuo pensiero immagina correttamente; tra poco è opportuno che tutto questo si scopra, si riveli ai tuoi occhi”.
E subito dopo segue una terzina ancora più misteriosa della precedente: “Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna de’ l’uom chiuder le labbra fin che puote, però che sanza colpa fa vergogna”.
La Critica ufficiale: “L’uomo deve sempre tacere fin che può quella verità che ha l’aspetto di menzogna perchè questa verità fa ritenere menzognere chi la rivela”. 
Cioè la verità non può essere direttamente rivelata, perché facendolo si può andare incontro all’inquisizione religiosa. 
Ma la verità non va espressa neppure sotto forma di menzogna, in quanto chi la dice viene considerato dagli altri uomo menzognero e quindi perde di credibilità e di immagine di fronte a tutti.

Il mostro è ora arrivato al cospetto dei due poeti.
Il Gerione dantesco ha volto accattivante di uomo, tronco di serpente, zampe con artigli, il dorso e i fianchi multicolori, la coda che si biforca in due punte avvelenate come negli scorpioni.

Nell’immagine a lato,
“Gerione” di Paul Gustave Louis Christophe Doré (1832-1883)

Sia per la Critica ufficiale che per Luigi Valli il mostro rappresenta nel suo corpo multiforme la Frode umana e l’Inganno.
La terzina lo descrive così: “Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti e rompe i muri e l’armi ! Ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza!
Così la Critica ufficiale: “La Frode umana, l’Inganno è una bestia feroce, potenza incontenibile che rompe mura di castelli e sconfigge le armate e che appuzza tutto il mondo, allentando infatti la Frode i vincoli sociali che tengono uniti gli uomini”. 

Ora Virgilio e Dante prendendo il loro lato destro fanno dieci passi e raggiungono il punto dove è disteso Gerione sull’abisso che immette nell’ottavo cerchio.
Da qui Dante osserva altri dannati di questo girone. 
Poi i due poeti salgono in sella al mostro, che docile spicca il volo aereo dentro l’abisso e come una navicella a lenti e larghi giri li porta nel cerchio inferiore.

Secondo la mia interpretazione, con la lettura dei due canti, le perifrasi della Critica ufficiale e di Luigi Valli si concentrano sull’immagine della corda di Dante rappresentante l’argine all’incontinenza, alla concupiscenza, alla lascivia umana.
Si concentrano poi sulla figura del mostro Gerione simboleggiante la Frode e l’Inganno umano. Viene messo in evidenza anche il momento altamente allegorico dell’azione, senza però andare oltre, senza cercare ulteriori interpretazioni.
Perifrasi letterali e interpretazioni allegoriche queste pertinenti e preziose riguardo il contenuto dei due canti.
Io voglio cercare di andare oltre e per farlo mi devo avvalere della mitologia greca che Dante di certo conosceva.

Ercole e le sue fatiche
Nel mito greco Gerione era descritto come un gigante con tre teste, tre busti, sei mani, un solo bacino e quindi due gambe. La somma di tutte le parti del suo corpo, 3 + 3 + 6 + 1 + 2  fa  15, multiplo di 3.
Per compiere la sua decima fatica, Ercole usò la barca dorata di Helio, il dio del Sole, con la quale raggiunse via mare l’isola di Eritea dove regnava Gerione, posta questa vicino alla mitica città protostorica di Tartesso e alle Colonne d’Ercole.
Il suo è un viaggio che si spinge fino l’estremo Occidente semisconosciuto. L’eroe uccide il gigante, il suo cane a due teste e il pastore che governava le greggi. 
Poi ruba le mandrie di Gerione composte da buoi e da giovenche di color rosso, animali sacri agli dei. 
La decima fatica è così compiuta.

Helio, dio del Sole e fratello di Selene, la Luna, ogni mattina si sollevava a Oriente dalle acque del fiume Oceano che circondava tutta la terra e guidava nel cielo da Oriente a Occidente il carro splendente del Sole, trainato da quattro cavalli che gettavano fuoco dalle narici.
Al termine del suo corso quotidiano Helio utilizzava una barca d’oro e girando attorno all’emisfero boreale tornava a Oriente immergendosi nel fiume Oceano, dove riposava la notte nel suo splendido palazzo.
A volte invece, al termine del suo corso quotidiano in Occidente, scendeva nel Giardino delle ninfe Esperidi, guardiane dei pomi d’oro, e vi lasciava a pascolare i cavalli del suo carro e con loro riposava lì durante la notte.


Nell’immagine sotto,
“Ercole e le mandrie di Gerione” di Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553)
Herzog Anton Ulrich Museum, Braunschweig

Virgilio e Dante compiono dieci passi per avvicinarsi a dove si trova disteso Gerione al limite dell’abisso che porta all’ottavo cerchio. 
Dieci passi come decima fatica è stata quella di Ercole di rubare le mandrie di Gerione. Gerione è inoltre descritto, con similitudine dantesca, come una barca, una navicella, e inoltre il Poeta fa riferimenti specifici al mondo dei marinai.
Virgilio e Dante prendono la loro destra, simbolo di retta e giusta via, e salgono sul dorso di Gerione che a mo’ di barca scende con ampi giri aerei nel profondo abisso fino a portarli di sotto nell’ottavo cerchio. 
Il loro è un viaggio iniziatico che allegoricamente li conduce alla ricerca di nuove conoscenze, di nuove verità.
Lo scorpione la cui coda biforcuta  è come quella del mostro dantesco, era il simbolo dell’Impero Romano che aiutava i suoi sudditi, ma all’occorrenza li puniva anche.
Ercole, il semidio greco, compie sulla barca di Helio la traversata del mare da Oriente a Occidente, quindi in senso orario.
Virgilio e Dante, rappresentanti rispettivamente l’Aquila romana e il Cristianesimo teologico medievale, per andare nel cerchio sottostante salgono sulla “barca” Gerione e per farlo scendono da sinistra a destra quindi in senso antiorario.

Ercole solca le acque sulla barca magica del dio Helio, Virgilio e Dante con Gerione come destriero effettuano il loro volo iniziatico come trasportati da una barca.
Quello che compiono l’eroe greco e i due poeti latino e cristiano è un tragitto mistico dal sapore sacro, assolto seguendo la rotta magica tenuta ogni giorno dal dio Helio.
L’ allegorico viaggio rotatorio attorno alla terra si viene così a perfezionare con il coinvolgimento e il concorso prima della “Vis” del mondo pagano greco, poi delle altre due, quella imperiale romana ancora pagana e quella cristiana medievale.
Il primo semicerchio del tragitto terrestre è stato infatti compiuto da Ercole sulla barca di Helio, il secondo semicerchio del tragitto viene compiuto da Dante e Virgilio sulla “barca” Gerione. 
Gli ideali archi geometrici relativi ai due tragitti circolari sono di 180 gradi l’uno, la cui somma fa 360 gradi, angolo giro di un cerchio completo, simbolo questo di perfezione. 
La grande mitica epopea si è quindi conclusa, trasformata in perfetto linguaggio geometrico di cui risulta permeata tutta la Commedia.
E Dante con rime ermetiche vuole far capire al lettore che questa perfezione iniziatica lui l’ha raggiunta nell’episodio descritto da queste due cantiche.

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Dicembre 2022