LE DODICI FATICHE DI ERCOLE di Gaetano Dini

Mitologia dei Greci: le dodici fatiche di Ercole

Ercole, Eracle in greco, il cui nome di nascita era Palemone, è stato il più grande eroe della Grecia antica.
Figlio del dio Giove e dell’umana Alcmena, godeva fin dalla nascita di natura divina e umana insieme.
Gli dei dell’Olimpo, a un certo punto della sua vita, lo fecero impazzire. Così Palemone durante la sua pazzia, uccise tutti i suoi figli.

Recuperata in seguito la ragione, Palemone si chiuse per dei giorni in una camera buia lontano dagli uomini. In seguito, dopo essersi purificato, si recò dall’Oracolo di Delfi e chiese alla sacerdotessa cosa dovesse fare per espiare le proprie colpe. La Pizia gli vaticinò di andare da Euristeo, re della città di Tirinto, di rimanere al suo servizio per dodici anni e di compiere tutte le fatiche che il re ritenesse di imporgli. Come compenso per le prove, gli dei avrebbero concesso a Palemone l’immortalità. Prima di separarsi da lui, la sacerdotessa gli mutò il nome da Palemone in Eracle.

Così Eracle, raggiunta la reggia del re, si sottopose alle fatiche che Euristeo scelse per lui.
Quello di Ercole è un percorso iniziatico. Come il sole che “visita” sulla sfera celeste i dodici segni zodiacali completando il circolo dell’eclittica, così Ercole con le dodici fatiche compie un percorso ascetico completo distaccandosi progressivamente dalla propria natura umana e acquisendo stati superiori dell’essere.

La prima fatica:  il leone Nemeo
Vicino alla città di Nemea c’era un leone che compiva stragi di uomini.
Ercole raggiunge la sua grotta 
e lo affronta prima scagliando frecce rivelatesi inefficaci poi usando la clava che si spezza, infine a mani nude riescendo a soffocarlo. Scuoia il leone, con la sua pelle si fa il vestito e con il suo cranio il proprio elmo.
Gli studiosi vedono nella lotta con il leone gli antichi combattimenti rituali dei re con vari animali sacri, prima di cingere la corona. Si concorda in pieno con questa interpretazione. Qui il superamento della fatica indica la vittoria dell’eroe sulle proprie passioni fisiche.

Nell’immagine sopra,
“Ercole in lotta con il leone di Nemea” di Pieter Paul Rubens (1608). Bucarest, Muzeul National de Arta al Romaniei

La seconda fatica: l’idra di Lerna
La zona di Lerna sorgeva vicino al mare non lontana dalla città di Argo. Questo territorio era terrorizzato dall’idra, enorme serpente acquatico con molte teste.
Ercole affronta la bestia e le taglia tante teste, che ricrescono però prontamente. Aiutato da un umano che cauterizza col fuoco i tronconi delle teste tagliate, impedendo così loro di ricrescere, Ercole riesce finalmente a tagliare la testa immortale del mostro, uccidendolo. Questa fatica rappresenta la vittoria su un mostro acquatico dove le acque rappresentano allegoricamente il divenire, il fluire del mondo.

Nell’immagine a lato,
“Ercole e l’Idra di Lerna” di Antonio del Pollaiolo (1431-1498)

La terza fatica: la cerva di Cerinea
Era questa tra le cinque, la cerva sfuggita alla cattura della dea Artemide. La cerva si era rifugiata sulla collina di Cerinea. Aveva dimensioni gigantesche e zoccoli di bronzo.
Ercole insegue la cerva per un anno spingendosi a nord fina alla terra degli Iperoborei. Quando la cerva si ferma esausta per riposarsi, Ercole le trafigge le zampe anteriori con una freccia passando tra ossa e tendini. Si carica poi la cerva sulle spalle e la porta nella città di Micene. In seguito su intercessione di Artemide, la cerva viene liberata.
Gli studiosi vedono nella caccia alla cerva, la faticosa ricerca della saggezza da parte del nostro eroe durante il suo percorso iniziatico. Si concorda in pieno con questa interpretazione.Ercole andando fino alla terra degli Iperborei a nord, si riappropria della tradizione e della saggezza archetipa del popolo greco, sceso dal nord Europa in Grecia durante il II millennio a.C.

La quarta fatica: il cinghiale Erimanzio
Questo cinghiale di dimensioni enormi infestava le pendici del monte Erimanto vicino alla città di Psofide.
Ercole stana l’animale e lo cattura vivo. Lo carica poi sulle spalle e lo porta a Micene. Momentaneamente Ercole abbandona le proprie fatiche e si unisce al gruppo degli Argonauti in partenza per la ricerca del Vello d’oro.
Il cinghiale nel mondo greco era sacro alla luna per le sue zanne ricurve. Questo animale presso i Celti e presso gli Indeuropei cui le popolazioni greche appartenevano per razza, rappresentava simbolicamente il potere spirituale, quello della casta sacerdotale. Vincere il cinghiale significa quindi partecipare delle conoscenze e dei segreti di questa casta, che Ercole però travalica e supera nel suo percorso iniziatico. Lasciare la città di Micene, imbarcarsi in nave con gli Argonauti alla ricerca del Vello e tornare poi in Grecia per continuare le proprie fatiche, significa che l’uomo il suo cammino spirituale può anche interromperlo per dedicarsi a cose terrene, riprendendolo poi assolti questi obblighi.

La quinta fatica: le stalle di Augia
Le immense stalle del re Augia non erano ripulite dal letame da tanti anni. Lo sterco di vacche, pecore, tori e stalloni rendeva inoltre sterili i campi circostanti
Ercole per pulire le stalle e i campi devia il corso di due fiumi.
Ercole, deviando il corso dei fiumi, vince le correnti delle acque che simboleggiano il divenire del mondo ed elimina lo sterco che rappresenta  gli elementi materiali del mondo.

La sesta fatica: gli uccelli Stìnfali
Terribili uccelli infestavano la palude stìnfala in Arcadia. Questi uccelli avevano le dimensioni delle gru ed avevano becchi ed artigli di bronzo. Uccidevano anche gli uomini, cibandosi di brani del loro corpo.
Atena allora regala ad Ercole delle nacchere di bronzo con le quali lui fa rumore spaventando gli uccelli e facendoli alzare in volo. Prontamente l’eroe con le frecce ne abbatte a decine. I pochi uccelli rimasti fuggono via.
Tutte le tradizioni antiche parlano di un linguaggio misterioso degli uccelli. Vincere gli uccelli significa allegoricamente capire questo linguaggio, cosa che in tutte queste tradizioni è prerogativa di alta iniziazione. Ercole, partecipando quindi di questo linguaggio, avanza verso gradi sempre più alti nel suo cammino d’ascesi.

La settima fatica: il toro cretese
Ercole devette andare a Creta dove un mostruoso toro che sputava fiamme dalle narici, devastava i domini del re Minosse. Ercole cattura la belva e la porta in Grecia dal re Euristeo. Dopo varie peripezie il toro viene sacrificato.
Gli studiosi riferiscono che il combattimento contro i tori rappresentava una prova da superare per il candidato al trono. Si concorda in pieno con questa interpretazione. Qui Ercole non concorre però per un trono storico, ma spirituale. Grande importanza hanno avuto infatti in epoca storica i giochi coi tori nel bacino del Mediterraneo, a Creta, in Spagna, nella Francia del Sud.

L’ottava fatica: Le cavalle di Diomede
Il re tracio Diomede teneva nella sua stalla quattro cavalle selvagge legate con catene di ferro e che mangiavano in greppie di bronzo dove il re buttava loro in pasto pezzi di carne dei propri ospiti dopo averli uccisi.
Ercole uccide Diomede e butta il suo corpo alle cavalle che lo divorano. Poi fa uscire le cavalle dalla stalla e le doma facilmente. Domando le cavalle, Ercole vince i propri sensi fisici progredendo in questo modo nel proprio cammino spirituale.

La nona fatica: la cintura di Ippolita
Ippolita era una delle tre regine delle Amazzoni che vivevano sulle rive del Mar Nero.
Giunto nella città di Ippolita, Ercole attaccato dalle Amazzoni uccide la loro regina sfilandole la cintura.
Le Amazzoni erano delle sacerdotesse guerriere che praticavano culti iniziatici femminili. Portare via la cintura a una loro regina significa partecipare dei segreti e delle conoscenze di queste sacerdotesse che vengono poi superati all’interno di un percorso iniziatico maschile.

La decima fatica: i buoi di Gerione
Gerione era re di Tartesso in Spagna. Questo re era geloso della propria mandria ed era considerato l’uomo più forte del mondo avendo tre teste, sei braccia e tre busti che partivano dalla vita.
Ercole uccide Gerione trapassandogli tutti i tre corpi con una sola freccia. Impossessatosi della mandria, Ercole prima di lasciare la Spagna pianta due colonne nel punto più avanzato del suo cammino, le Colonne d’Ercole, limite geografico invalicabile per gli uomini. Porta poi i buoi in Italia e dopo varie peregrinazioni in Sicilia.
Nella Grecia arcaica le donne per averle come spose, ancelle o schiave venivano valutate a capi di bestiame. In alcune parti dell’Africa le donne vengono ancor’oggi acquistate barattandole con cammelli o con capi di bestiame. Razziando queste mandrie e facendole sue, Ercole supera simbolicamente l’attaccamento al femminile e quindi alle passioni, alle cose del mondo.

L’undicesima fatica: i pomi delle Esperidi
Questi frutti erano appesi a un melo che era piantato in un giardino sulle pendici del monte Atlante. Guardiane di questi frutti erano le Esperidi, figlie di Atlante.
Quando Ercole giunge nel giardino, su consiglio delle divinità chiede ad Atlante di raccogliere direttamente lui i pomi. In cambio Ercole lo avrebbe sostituito per il tempo necessario nel reggere la volta celeste. Atlante raccoglie tre mele e le porta ad Ercole che con uno stratagemma ripassa il globo celeste ad Atlante.
Ercole si allontana coi pomi che passati di mano in mano arrivano poi agli dei dell’Olimpo. Impossessarsi dei pomi significa raggiungere i gradi più alti della conoscenza, dell’iniziazione.

Nell’immagine sotto,
“Ercole nel giardino delle Esperidi” di Pieter Paul Rubens (circa 1638). Torino, Galleria Sabauda

La dodicesima fatica: la cattura di Cerbero

L’ultima fatica prevede la discesa agli inferi, il Tartaro. Per prepararsi a questa impresa Ercole deve essere iniziato ai Piccoli ed ai Grandi Misteri Eleusini. Raggiunto così il livello iniziatico più alto, Ercole scende lungo l’orrido baratro. Caronte impaurito dal cipiglio dell’eroe, lo traghetta subito al di la dello Stige dove Ercole incontra Ade e Persefone, signori degli Inferi. L’eroe chiede ad Ade dove poter trovare Cerbero, custode del Tartaro. Ercole affronta allora il terribile cane a tre teste, vincendolo e portandolo in superficie. Con l’ultima fatica, la discesa agli Inferi e la vittoria su Cerbero custode del Tartaro,  Ercole raggiunge il livello più alto del suo percorso iniziatico, concludendolo. Si distacca così dalla sua natura umana raggiungendo una dimensione superiore che tende al divino.

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Giugno 2018

Bibliografia
Graves Robert – I miti greci, Edizioni Longanesi