GEOMETRIA OCCULTA: LA GEOMETRIA DANTESCA di Gaetano Barbella

Il Geometra della Divina Commedia

Brescia, 31 maggio 2005

In laude di Dante
Sono frequenti, in questi ultimi tempi, interventi di studiosi del campo scientifico, che si dedicano a porre in luce insondate angolature della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri. La novità, che sembra emergere dalle loro disamine, fa pensare ad una competenza matematica di Dante poeta, non di poco conto. Questo non vuol dire – secondo me – che Dante fosse un matematico, ma dimostra quanto egli sia stato attento anche alla cultura scientifica della sua epoca. C’è propensione nel cogliere l’occasione, di simile invitante prospettiva, per accostare le arti umanistiche con il mondo della scienza, mai state in felice intesa. Ma, per quanto sia stata ben argomentata questa singolare potenzialità, tale da far emergere, in seno alla Divina Commedia, un interessante «geometra», questi resta, in ogni modo, un fantasma dell’opera seppur autorevolmente simpatico e attrattivo.

Stando così le cose, restano interrogativi supremi legati ad enigmi di una notevole mole, innegabilmente emergenti qua e là nella Divina Commedia, che potrebbero stuzzicare l’interesse di studiosi volenterosi, poco imbrigliati. Sono convinto che la Commedia possa costituire un sorprendente anello di collegamento a qualcosa di “sepolto”, appartenente al passato remoto, argomentato da Dante come «letargo» che esorterebbe a rimuovere.
L’immagine di Dante Alighieri, che il mondo si è fatta con la lettura delle sue opere, non è, a mio avviso, completamente vera. Il «geometra», che si vuol riconoscere in lui, è come un artificioso vezzo per lasciar intendere che è un rassicurante “neo” erotico sulla sua gota, quale “segno” di una peculiare umanità in predicato da “portare” in Paradiso senza troppo discutere. Si può mai accettare di minimizzare fino a questo punto una sorvolata «canoscenza» che è stata invocata, proprio, da Dante nell’opera in questione?
Quale, in realtà, il viso del poeta, che non accetterebbe mai di apparire ai posteri così conciato? Un viso che con dovizia fu così “fotografato” da un intenditore, Giovanni Boccaccio:

«Fu dunque questo nostro poeta di mediocre statura |…|,
il suo volto fu lungo e il naso aquilino, e gli occhi
anzi grossi che picciuoli,
le mascelle grandi |…| e sempre |era| nella faccia malinconico e pensoso
»

(Dal Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio)

Chi era Dante, realmente, dietro le quinte del vero «geometra» che non si è voluto, o saputo, far emergere? Quale il cruccio che cercava di nascondere, quasi con malcelata mortificazione, che si rivelava attraverso quel «lui», mascherato con ambigui “numeri”, per niente armonioso?
Dipendeva da lui questo inconcepibile stato disarmonico? O del mondo in cui il poeta si trovò a nascere, vivere e morire, e perciò, pur pagandone lo scotto e non riuscendo a spuntarla, non poté fare altro che lanciare, alla fine, la sua personale «bottiglia del naufrago»? Per porre in salvo, almeno, la sua ideale limpida coscienza che non intendeva far scalfire dalle oscenità mortificanti del suo tempo? Io credo di sì e per Dante, perciò si trattò di disporre per un futuro da venire, un prezioso “figlio”, «messo di Dio», del suo “Dio”, ben celato fra le maglie di una “culla” fatta di numeri, «cinquecento diece e cinque». Una culla come una provvidenziale piccola arca che oggi ancora galleggia sul «cammin di nostra vita». Idealmente su un biblico «Nilo», assimilabile ad un certo «pensare geometrico», forse quello degli antichi egizi giusto in relazione alla «Sfinge» dantesca…

Scarica il file in formato .pdf  Geometria Dantesca

 

Autore: Gaetano Barbella
Messo on line in data: Dicembre 2005
Apparato iconografico a cura dell’Autore.