GEOMETRIA OCCULTA: MELENCOLIA (PARTE PRIMA) di Gaetano Barbella

L’oro in Melencolia I di Albrecht Durer- Prologo

«Per essere veramente immortale un’opera d’arte deve uscire completamente dai limiti dell’umano: in essa il buon senso e la logica mancheranno del tutto. In tal modo l’opera si avvicinerà al sogno e anche alla mentalità infantile.»

Questo detto, del famoso artista contemporaneo Giorgio de Chirico, permette di capire quali siano le migliori condizioni intellettuali di chi si accinge a visitare templi d’arte come quello in proposizione, Melencolia I di Albrecht Dürer.

 

Nell’immagine a lato,
Melencolia I di Albrecht Dürer. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi

 

Dunque, conta essere come bambini, ma anche con spirito di chi è capace di svincolarsi dalle pressioni della ragione sia quella imperniata sulla concezione del materialismo, che l’altra disposta a radicali concezioni metafisiche. Perciò nel caso della lettura di opere come questa, Melencolia I, le ragioni siffatte sono di serio ostacolo.

Tuttavia la presenza del bambino suddetto tiene in vita un clima di serena fiducia, per quel tanto che basta, per disporsi all’opera di Melencolia I in studio, fuori dai canoni accademici del razionale. E a questo punto può anche cedere e disporsi ad altra fede ignota che serve per stadi superiori di verità da conseguire. Ed è questo che vuole significare la presenza del cane dormiente che tanto ricorda Argo il cane di Ulisse, dei racconti omerici, che lo riconobbe al suo rientro ad Itaca e che poi morì. Ma Argo porta alla consapevolezza del modo di riconoscere un certo suo “padrone”, cosa che ci viene dal mito. Argo (in greco, Argos) è un nome che si riscontra spesso. Esistono infatti altre quattro figure mitologiche che portano tale nome:
– Argo Panoptes (Argo “che tutto vede”) è un gigante con cento occhi. Era anche il fratello della ninfa Io.
– Argo era l’eponimo della città di Argos. Figlio di Zeus e Niobe, figlia di Foroneo, successe allo zio Apis come Re di Foronea, che ribattezzò dandole il suo nome.
– Argo è il nome della nave usata dagli Argonauti, nonché il nome del suo costruttore. Il vascello venne usato da Giasone nella sua ricerca del vello d’oro. Giasone e i suoi compagni si chiamarono Argonauti dal nome della nave.
– Argo era il figlio maggiore di Frisso e Calciope, figlia di Eeta. Argo e i suoi fratelli partirono per far ritorno nel regno del nonno, ad Orcomeno, ma fecero naufragio e vennero salvati dagli Argonauti. Argo e i fratelli Frontide, Melante e Citissoro, aiutarono Giasone e gli argonauti nella loro ricerca, e fecero ritorno assieme ad essi in Grecia.

Come si è visto, da Argo derivano gli Argonauti, ma poi Argo fa coniare altre parole come argot, per esempio. Su argot traggo dal libro di Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, edizione Mediterranee, le seguenti argomentazioni.
I dizionari definiscono la parola argot come «il linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intorno». È, quindi, una vera e propria cabala parlata. Gli argotieri, quelli che si servono d’un tale linguaggio, sono i discendenti ermetici degli argonauti, i quali andavano sulla nave Argo, parlavano la lingua argotica, navigando verso le fortunate rive della Colchide per conquistare il famoso Vello d’Oro. Ancor oggi si dice d’un uomo molto intelligente, ma anche assai scaltro: sa tutto, capisce l’argot. Tutti gl’Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli, – col poeta Villon alla loro testa, – e anche i Frimasons (2), o frammassoni del medioevo, «che costruivano la casa di Dio», ed edificavano i capolavori argotiques ancor oggi ammirati. Anche loro, i nautes costruttori, conoscevano la strada che portava al Giardino delle Esperidi.

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Autore: Gaetano Barbella
Messo on line in data: Giugno 2009
Apparato iconografico a cura dell’Autore.