GIOBBE di Gaetano Dini

Esoterismo della Bibbia: Giobbe, la sofferenza del giusto

Il Libro di Giobbe fa parte dei libri biblici sapienziali. La trama del racconto è questa.
C’era un servo di Dio, un uomo giusto chiamato Giobbe. Aveva tutto nella vita, figli, servi, case, bestiame.
Satana parlò di Giobbe a Dio, dicendo che è facile essere un buon fedele quando tutto va bene nella vita.
E così Dio permise a Satana di “toccare”, di colpire Giobbe per vedere se fosse rimasto fedele anche nella cattiva sorte. 
Giobbe venne così privato dei figli, dei servi, dei beni.
Inoltre divenne afflitto nel corpo da una piaga che lo costringeva a grattarsi con un coccio e a stare seduto cosparso di cenere.
La moglie gli disse allora di maledire Dio, ma Giobbe rimase saldo nella sua integrità religiosa.

Nell’immagine sopra,
“Satana manda le piaghe a Giobbe” di William Blake (1757-1827)
Tate Britain (ex Tate Gallery), Londra

Saputo delle sue disgrazie, lo vennero a trovare tre amici, Elifaz, Bildad, Zofar, e con essi Giobbe instaurò dei dialoghi che vertevano sull’argomento della giustizia divina.
I tre amici difesero a turno la tesi religiosa tradizionale della “Retribuzione terrena”: se Giobbe soffre ed è privato di tutto significa che ha peccato agli occhi di Dio, anche se lui non sa che peccati possa aver commesso.
Ma Giobbe, pur tra tanti tentennamenti, resistette nella propria fede.

Viene poi introdotto nel racconto biblico un altro personaggio, Elihu, che cerca di spiegare e giustificare la condotta di Dio.
A questo punto interviene sulla scena Dio stesso che “parlando dal turbine”, in una sorta di prosa poetica dice agli astanti che l’uomo non deve cercare di spiegare la condotta dell’Altissimo in quanto infinitamente sapiente e onniscente. Al termine del discorso divino Giobbe si pente dei dubbi avuti e si mette a totale disposizione di Dio dicendogli: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”.
Il racconto si conclude con Dio che ristabilisce Giobbe nel suo stato iniziale raddoppiandogli quanto aveva perduto.

Le mie considerazioni
Il Dio di Giobbe non è un “Deus Otiosus”, Entità che dà vita al creato disinteressandosi in seguito di esso, chiudendosi nella sua perfezione e delegando il governo del mondo a esseri spirituali intermedi. E’ invece un Dio che permea le dinamiche del mondo intervenendo in esse.
La trama di questo racconto è di una metafisica spregiudicata di difficile comprensione, trama religiosa che seppur lunga e didascalica in sé si offre al lettore per essere afferrata mediante riverberi comunicativi quasi aforistici, più che capita.
Nella letteratura cortese medievale solo al Matto, al Giullare, al Buffone di corte che si trova sotto la protezione del dio Ermes, di Mercurio, è permesso di rimanere nella sala del trono in intimità giocosa col re in quanto la saggezza del Giullare è mascherata da un’ironia paradossale e quindi da una presunta follia.

Il comportamento del Matto, del Giullare, del Buffone è infatti il superamento sia della Razionalità del mondo che del Caos di esso, ponendosi in questo modo in uno stato di spiritualità superiore. Tutti gli altri cortigiani invece sono persone che rientrano nei parametri della normalità, per cui devono sapersi comportare secondo il proprio grado sociale e con senso della misura. Chi sbaglia tra loro viene punito dal re. Solo il Matto, il Giullare, il Buffone va esente da punizioni in quanto non fa parte della dimensione umana della normalità.
Nel racconto di Giobbe Dio è come il re della corte medievale e Giobbe, prima semplice cortigiano in quanto ricco di averi, durante le proprie sofferenze si trasforma in Matto, in Giullare, in Buffone di Dio fino a raggiungere uno stadio spirituale superiore che si perfeziona con un atto di fede perspicace e consapevole.

Dio nel racconto simboleggia lo Spirito del mondo, l’Assoluto, mentre l’Anima, il Sentimento, posizionati in modo subalterno allo Spirito, all’Assoluto, sono rappresentati dalla figura di Giobbe. Dio, avendo portato Giobbe all’apice del livello spirituale superiore del Matto, del Giullare, del Buffone, lo premia infine ritrasformandolo in cortigiano e riposizionandolo nella normalità della vita. Ora Giobbe è di nuovo un cortigiano di Dio ma con la consapevolezza superiore del Matto, del Giullare, del Buffone acquisita durante la sua sofferenza e pertanto la sua vita sia spirituale che materiale non sarà più quella di prima, in quanto sarà vissuta con un’intensità superiore, adesso superumana e liberatoria.
Riguardo i figli di Giobbe avuti prima e dopo la sua sofferenza essi rimangono Dieci (10), Sette (7) maschi e Tre (3) femmine. Il numero Sette (7) indica Completezza e viene qui collegato all’elemento maschile. Il numero Tre (3) simboleggia invece Allegria, Creatività, Trasformismo e viene collegato nel racconto all’elemento femminile, le figlie di Giobbe. La somma del numero dei figli e figlie di Giobbe dà Dieci (10), numero che simboleggia Positività ed Ottimismo presenti all’inizio del racconto e confermati alla fine di esso.


Valori numerici del racconto
Abbiamo all’inizio 7 figli e 3 figlie, 7.000 pecore, 3.000 cammelli, 1.000 buoi e 500 asine.
La somma dei numeri  7 + 3 + 7.000 + 3.000 + 1.000 + 500 = 11.510 da cui sommando le relative cifre si ottiene 1 + 1+ 5 + 1 + 0 = 8
Il numero Otto (8) nella Numerologia simboleggia l’infinito e l’equilibrio cosmico. Alla fine del racconto Dio fa concepire a Giobbe di nuovo Dieci figli, Sette maschi e Tre femmine, e gli raddoppia i beni. Quindi 14.000 pecore, 6.000 cammelli, 2.000 buoi, 1.000 asine  per un totale numerico di:

7 + 3 + 14.000 + 6.000 + 2.000 + 1.000 = 23.010
da cui sommando le relative cifre si ottiene 2 + 3 + 0 + 1 + 0 = 6

Il numero Sei (6) rappresenta l’equilibrio degli opposti, la natura divina ed umana che si confrontano tra loro. Giobbe, dice il racconto, vive altri 140 anni. La somma delle cui cifre 1 + 4 + 0  dà  5. Quattro (4) sono le generazioni dei suoi discendenti che Giobbe in vita sua vedrà. Il numero Quattro (4) è un numero di stabilità presente ovunque. Quattro sono i punti cardinali, quattro le stagioni, le fasi lunari, le arti liberali medievali del Quadrivio, i lati del quadrato. Il Quattro (4) è simbolo anche di perfezione morale e proporzione equilibrata dell’uomo. 

Sommiamo tra loro i numeri in gioco: 8 + 6 + 5 + 4 = 23 la cui somma delle due cifre 2 + 3  dà  5.
Il numero 23 (23) torna anche sommando 11.510 + 23.010 + 140 + 4 = 34.664 le cui cifre sommando 3 + 4 + 6 + 6 + 4 si ottiene 23.  
Ventitre (23) è un numero formato dalla miscela del numero Due (2) e Tre (3). Il Due (2) simboleggia il lavoro di squadra, la responsabilità, la stabilità, la spiritualità e il giusto tatto usato nelle varie situazioni.
Il Tre (3) simboleggia l’immaginazione, lo sviluppo, il supporto, la realizzazione. Questi due numeri insieme come lo sono nel Ventitre (23) esprimono umanità, magnetismo, ma anche contraddizione.
Nella Smorfia Napoletana, sorta di codice numerico che deriva da antichi libri dei sogni, il numero Ventitre (23) indica lo Scemo inteso anche come Buffone, Giullare. Figura positiva che se sognata può aiutare a riacquistare la fiducia persa.

Il numero Cinque (5) è il simbolo dell’Uomo Universale, dell’Uomo Vitruviano di Leonardo e rappresenta il cambiamento, l’esplorazione fisica e mentale, l’unione armonica della luce e del cuore. In geometria il Cinque (5) rappresenta il Pentagono e la Stella a cinque punte. Per i Pitagorici il numero Cinque (5) significa assenza di contesa, equilibrio e quindi stabilità matrimoniale tra uomo e donna.
Nel Buddismo rappresenta i cinque elementi (Etere, Fuoco, Aria, Acqua, Terra). Nell’Islam cinque sono i Pilastri della fede, cinque le preghiere canoniche giornaliere. Anche la “Mano di Fatima”, prezioso amuleto, si basa sul numero Cinque (5) simbolo di libertà femminile e di spazi autonomi alla donna dedicati. Lo stesso tipo di amuleto con significati analoghi prende nel mondo ebraico il nome di “Mano di Miriam”, la sorella di Aronne e Mosè. Il numero Cinque (5) rappresenta anche i cinque Libri della Torah ed è la quinta lettera dell’alfabeto, l’He che è uno dei nomi di Dio. Nell’Induismo il numero Cinque (5) si riferisce a Shiva dio poliedrico rappresentato con cinque volti.
Nella Smorfia Napoletana il numero Cinque (5) simboleggia la Mano, parte importante del corpo la quale svolge nelle religioni funzione di supporto mimico alla parola fino anche a volte a sostituirla e rappresenta un fondamentale strumento di benedizione.

Tutti questi numeri del racconto, sia direttamente presenti che calcolati, sono numeri nobili e madidi di significati allegorici.
Gli opposti sono nel creato l’insieme del tutto, sempre presenti in ogni realtà. Questo non lo sancisce solo il Taoismo cinese, ma anche l’Islam che veicola questo concetto tramite il nome stesso di Allah, il Dio assoluto.
Togliamo l’H dal nome Allah, l’H è usata spessissimo nella lingua araba per la pronuncia dei suoi vari suoni aspirati. Rimane quindi AL  LA  lettere disposte al contrario tra loro, il che significa il Bianco e il Nero, il Positivo e il Negativo, lo Yin e lo Yang taoisti, cioè gli opposti tra loro sempre esistenti in natura, uno facente parte dell’altro a significare che non esiste un Dio o meglio un Sistema Divino solo buono ma esiste un Dio o Sistema Divino in cui sono presenti gli opposti come del resto lo sono nel creato e negli esseri viventi.
La “Legge degli Opposti” che vanno a formare l’unità è presente come concetto anche nella Genesi.

L’Adamo ed Eva biblici rappresentano l’Ermafrodita Primordiale per usare l’ immagine  di Platone, figura però che si è già scisso. Ma nella Genesi, ancor prima di Adamo ed Eva, c’era nell’Eden un uomo unico, l’Ermafrodita al quale soffrendo lui di solitudine, Dio volle concedere una compagna, Eva traendola dall’Ermafrodita stesso come carne della sua carne.
Questo mito adombra la caduta di livello spirituale dell’umanità che dall’Uno stato spirituale superiore si trasforma nel Due, stato spirituale inferiore. Questa di cui parliamo è la “Legge degli Opposti” che ridicolizza quel genere di religione intesa come “Legge della Ricompensa terrena”, cioè se sono buono Dio mi premia. 
Con la “Legge della Ricompensa terrena” ci troviamo come fedeli più o meno al livello mentale dei bambini che fanno i“Fioretti” durante il Catechismo.
La “Legge degli Opposti” fa quindi comprendere e risolvere il “mistero dell’iniquità divina” cioè il cosiddetto Dio non buono il quale non sempre soccorre in vita l’uomo giusto che con suo grande stupore si sente trattato a volte pari o peggio dell’ingiusto.

Nel Libro di Giobbe non c’è quindi nessuna fede che vince le avversità della vita, nessuna premiazione terrena per il giusto. Rimane solo la disperazione e desolazione dell’uomo quando tocca il fondo della propria sofferenza.
Ma quella di Giobbe è una disperazione che si arrende e si rimette sempre a Dio. E’ l’autore di questo Libro senz’altro un rabbino od un gruppo di essi che decide al termine del racconto di premiare Giobbe donandogli nuovi figli e raddoppiandogli i beni in precedenza avuti.
Lo fa per fini didascalici, per cementare la fede in Dio del popolo ebraico in modo da ottenere una maggior coesione sociale del gruppo. Infatti il premio biblico finale di Giobbe per la sua sofferenza di Giusto, non è detto che si ottenga nella vita reale.

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Aprile 2022